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Riflessioni di un genitore sull'autismo
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Riflessioni di un genitore sull'autismo
Ci affidiamo alla bontà d'animo?
L’accoglienza del "diverso" deve nascere principalmente da una volontà interiore, non può essere imposta per legge. Non è possibile imporre la cultura dell'handicap per legge; anzi, è quanto mai opportuno, invece, lavorare dall'interno, sensibilizzando studenti, docenti e dirigenti scolastici "normodotati".
Questo, però, non vuole dire che la legge debba tenersi alla larga, anzi! Se è vero che non si può imporre una cultura, è altrettanto vero che non si può affidare alla bontà d’animo ciò che è un diritto delle persone con disabilità. La "bontà d’animo" è importante, ma quando si tratta dei diritti dello studente, è lo Stato che si deve muovere, non ipotizzando soluzioni future, ma affrontando e risolvendo i problemi esistenti, "sporcandosi le mani" nella realtà, per rendere funzionali ora le risorse informative e didattiche, perché è ora che le persone ne hanno bisogno.
A tutt’oggi le ASL, la Scuola e la Riabilitazione lavorano in piena autonomia, salvo che per un piccolo spazio, per il disbrigo di pratiche formali. Mai, insomma, che nessuna parte "superi il confine altrui". Forse non sanno comunicare? Oppure sanno "solo" dire che va tutto bene e che ciascuno ha fatto la propria parte, ma quando si tratta di concretizzare, di costruire insieme, è tanto difficile... Ma è così difficile costruire un raccordo tra le parti? A questo punto ci si chiede: «Chi è il garante che dovrebbe regolare tutto ciò?». L’imperativo è: "Dobbiamo andare avanti!”, ma avanti dove? Dobbiamo davvero "correre" a scuola? Siamo sicuri che sia questa la strategia migliore? Dobbiamo per forza assecondare una società che ci impone la fretta a tutti i costi? Che ci impone di "non perdere tempo a parlare", di "sbrigare ad ogni costo il programma", ciò che sembra costituire uno dei principali motivi d’ansia dei nostri insegnanti...
A tal proposito ci sarebbe molto da riflettere, ad esempio su come individuare alcuni princìpi-guida per la progettazione intorno a un’idea forte, al raccordo del PEI [Piano Educativo Individualizzato, N.d.R.] con la programmazione di classe, alla ricerca di strategie di facilitazione, alle tecnologie informatiche, al coinvolgimento delle famiglie.
L’opzione "persona disabile" richiama costruttivamente alla valorizzazione e alla costruzione di abilità. L’inserimento dei disabili a scuola - se lo si guarda con interesse professionale - deve portare a seguire l'alunno "da molto vicino". Dovrebbe trattarsi, in altre parole, di un’azione complementare al gestire una classe, contribuendo a variare la diversità in "normalità". La prossimità al singolo, infatti, permette di cogliere le modalità di apprendimento e le loro problematiche.
Nella fase iniziale i ragazzi erano inseriti solo là dove gli insegnanti erano disponibili, mentre ora l'inserimento è "normale". E tuttavia sono ancora in pochi a condividerne la responsabilità, questo, purtroppo, è il dato culturale e sociale di oggi.
(di Giuseppe Felaco) Genitore.
L’accoglienza del "diverso" deve nascere principalmente da una volontà interiore, non può essere imposta per legge. Non è possibile imporre la cultura dell'handicap per legge; anzi, è quanto mai opportuno, invece, lavorare dall'interno, sensibilizzando studenti, docenti e dirigenti scolastici "normodotati".
Questo, però, non vuole dire che la legge debba tenersi alla larga, anzi! Se è vero che non si può imporre una cultura, è altrettanto vero che non si può affidare alla bontà d’animo ciò che è un diritto delle persone con disabilità. La "bontà d’animo" è importante, ma quando si tratta dei diritti dello studente, è lo Stato che si deve muovere, non ipotizzando soluzioni future, ma affrontando e risolvendo i problemi esistenti, "sporcandosi le mani" nella realtà, per rendere funzionali ora le risorse informative e didattiche, perché è ora che le persone ne hanno bisogno.
A tutt’oggi le ASL, la Scuola e la Riabilitazione lavorano in piena autonomia, salvo che per un piccolo spazio, per il disbrigo di pratiche formali. Mai, insomma, che nessuna parte "superi il confine altrui". Forse non sanno comunicare? Oppure sanno "solo" dire che va tutto bene e che ciascuno ha fatto la propria parte, ma quando si tratta di concretizzare, di costruire insieme, è tanto difficile... Ma è così difficile costruire un raccordo tra le parti? A questo punto ci si chiede: «Chi è il garante che dovrebbe regolare tutto ciò?». L’imperativo è: "Dobbiamo andare avanti!”, ma avanti dove? Dobbiamo davvero "correre" a scuola? Siamo sicuri che sia questa la strategia migliore? Dobbiamo per forza assecondare una società che ci impone la fretta a tutti i costi? Che ci impone di "non perdere tempo a parlare", di "sbrigare ad ogni costo il programma", ciò che sembra costituire uno dei principali motivi d’ansia dei nostri insegnanti...
A tal proposito ci sarebbe molto da riflettere, ad esempio su come individuare alcuni princìpi-guida per la progettazione intorno a un’idea forte, al raccordo del PEI [Piano Educativo Individualizzato, N.d.R.] con la programmazione di classe, alla ricerca di strategie di facilitazione, alle tecnologie informatiche, al coinvolgimento delle famiglie.
L’opzione "persona disabile" richiama costruttivamente alla valorizzazione e alla costruzione di abilità. L’inserimento dei disabili a scuola - se lo si guarda con interesse professionale - deve portare a seguire l'alunno "da molto vicino". Dovrebbe trattarsi, in altre parole, di un’azione complementare al gestire una classe, contribuendo a variare la diversità in "normalità". La prossimità al singolo, infatti, permette di cogliere le modalità di apprendimento e le loro problematiche.
Nella fase iniziale i ragazzi erano inseriti solo là dove gli insegnanti erano disponibili, mentre ora l'inserimento è "normale". E tuttavia sono ancora in pochi a condividerne la responsabilità, questo, purtroppo, è il dato culturale e sociale di oggi.
(di Giuseppe Felaco) Genitore.
Ultima modifica di leterbuck il Mar Nov 01, 2011 4:39 pm - modificato 1 volta. (Motivazione : riuniti post con lo stesso oggetto e spostati in "Valvola di sfogo")
Ospite- Ospite
Mettere come limite il non limite
Mettere come limite il non limite
(di Giuseppe Felaco*)
Il mestiere di genitore non si impara in una scuola di formazione alla genitorialità ed esserlo di un bambino con handicap è ancora più difficile.
Non vogliamo qui approfondire le diverse problematiche dell'handicap e di cosa esso sia in grado di suscitare nell'animo di un genitore, in particolare nel dover gestire la negatività che tali stati d'animo possono determinare sulla personalità del bambino il quale ha in sé tutta la forza della sua fanciullezza che lo spinge a correre incontro alla vita, con strumenti che non sono proprio come quelli di qualunque altro bambino.
E tuttavia le ore trascorse insieme - quando non sono sovrastate dall'ansia, dalla paura di non farcela - ritrovano un loro svolgersi sereno. I momenti dedicati sono ricchi di dialogo, di parole accompagnate da gesti, da carezze, da contatti affettivi, che rendono ancora più forte la volontà di costruire la vicinanza col bambino. Accrescono la necessità di accompagnarlo nel percorso dell'esistenza, affinché possa trovare, all'incontro con il mondo esterno, un contatto buono.
Il genitore affida alla scuola il proprio figlio, la cosa più importante, e si preoccupa di trovare, in essa, un dirigente "che faccia la differenza", che abbia la voglia e la capacità di accettare una sfida.
Quel signore sicuramente c'è, basta cercarlo, forse non si troverà nella scuola sotto casa, ma vale la pena scovarlo, se non si vuole correre il rischio di ritrovarsi in una scuola con "semplici" e demotivati insegnanti.
Ci vogliono "maestri" sufficientemente onesti da addossarsi personalmente il peso delle responsabilità, rivestendo appieno il proprio ruolo, per affrontare così agevolmente il difficile compito affidato. Un ruolo che richiede ed esige comprensione, prudenza, capacità di insegnare e l'impegno a dare il buon esempio, per condurre il bambino a un contatto sereno col mondo.
Il genitore apprezza i sacrifici e riconosce i problemi che gli insegnanti devono affrontare, sa che possono farcela a dare al bambino l'ispirazione giusta per sfruttare appieno il suo potenziale.
Se solo insegnassero, oltre alla sociologia, nozioni preziose per i rapporti con gli altri, l'autostima oltre all'ortografia, il senso civico oltre alle scienze, la tolleranza oltre alla grammatica e l'entusiasmo per la conoscenza oltre alla maestria nella materia... Se fossero disponibili a mostrarsi come consulenti, amici, moderatori esperti di dinamiche di gruppo, specialisti in difficoltà dell'apprendimento, oratori specializzati in motivazione, oltre che maestri esperti della materia che insegnano...
Se solo preparassero le lezioni con creatività e dinamismo, in modo da mantenere l'attenzione di un gruppo numeroso, con metodi di insegnamento fatti "su misura" per singoli studenti, ognuno con i suoi modi diversi di imparare e difficoltà di apprendimento...
Certo! Hanno scelto la professione che presenta più sfide, ma anche quella che offre più soddisfazioni di qualunque altra. Anche se il loro lavoro non paga granché in termini di denaro, le gratifiche psicologiche ed emotive possono essere enormi. Si parla della luce negli occhi di uno studente che ha ritrovato la motivazione per studiare, del sorriso che compare quando un concetto "impossibile" viene finalmente afferrato, della risata gioiosa di un bambino rifiutato che viene accettato dal gruppo, dei sorrisi pieni di gratitudine, degli abbracci e dei "grazie" di genitori riconoscenti, di un biglietto di ringraziamento scritto da uno studente "perduto" che invece decide di continuare e di farcela, della soddisfazione interiore che si prova sapendo di aver fatto la differenza, di aver fatto qualcosa che conta veramente, di aver lasciato un segno indelebile per il futuro, per così tante persone, per così tanto tempo.
A volte, nella vita, mettere come limite il non limite induce ad andare avanti oltre l'apparente confine e scoprire, con gioia, che al di là della lotta tra il bene e il male c'è molto di più: c'è la vera vita.
*Genitore.
(di Giuseppe Felaco*)
Il mestiere di genitore non si impara in una scuola di formazione alla genitorialità ed esserlo di un bambino con handicap è ancora più difficile.
Non vogliamo qui approfondire le diverse problematiche dell'handicap e di cosa esso sia in grado di suscitare nell'animo di un genitore, in particolare nel dover gestire la negatività che tali stati d'animo possono determinare sulla personalità del bambino il quale ha in sé tutta la forza della sua fanciullezza che lo spinge a correre incontro alla vita, con strumenti che non sono proprio come quelli di qualunque altro bambino.
E tuttavia le ore trascorse insieme - quando non sono sovrastate dall'ansia, dalla paura di non farcela - ritrovano un loro svolgersi sereno. I momenti dedicati sono ricchi di dialogo, di parole accompagnate da gesti, da carezze, da contatti affettivi, che rendono ancora più forte la volontà di costruire la vicinanza col bambino. Accrescono la necessità di accompagnarlo nel percorso dell'esistenza, affinché possa trovare, all'incontro con il mondo esterno, un contatto buono.
Il genitore affida alla scuola il proprio figlio, la cosa più importante, e si preoccupa di trovare, in essa, un dirigente "che faccia la differenza", che abbia la voglia e la capacità di accettare una sfida.
Quel signore sicuramente c'è, basta cercarlo, forse non si troverà nella scuola sotto casa, ma vale la pena scovarlo, se non si vuole correre il rischio di ritrovarsi in una scuola con "semplici" e demotivati insegnanti.
Ci vogliono "maestri" sufficientemente onesti da addossarsi personalmente il peso delle responsabilità, rivestendo appieno il proprio ruolo, per affrontare così agevolmente il difficile compito affidato. Un ruolo che richiede ed esige comprensione, prudenza, capacità di insegnare e l'impegno a dare il buon esempio, per condurre il bambino a un contatto sereno col mondo.
Il genitore apprezza i sacrifici e riconosce i problemi che gli insegnanti devono affrontare, sa che possono farcela a dare al bambino l'ispirazione giusta per sfruttare appieno il suo potenziale.
Se solo insegnassero, oltre alla sociologia, nozioni preziose per i rapporti con gli altri, l'autostima oltre all'ortografia, il senso civico oltre alle scienze, la tolleranza oltre alla grammatica e l'entusiasmo per la conoscenza oltre alla maestria nella materia... Se fossero disponibili a mostrarsi come consulenti, amici, moderatori esperti di dinamiche di gruppo, specialisti in difficoltà dell'apprendimento, oratori specializzati in motivazione, oltre che maestri esperti della materia che insegnano...
Se solo preparassero le lezioni con creatività e dinamismo, in modo da mantenere l'attenzione di un gruppo numeroso, con metodi di insegnamento fatti "su misura" per singoli studenti, ognuno con i suoi modi diversi di imparare e difficoltà di apprendimento...
Certo! Hanno scelto la professione che presenta più sfide, ma anche quella che offre più soddisfazioni di qualunque altra. Anche se il loro lavoro non paga granché in termini di denaro, le gratifiche psicologiche ed emotive possono essere enormi. Si parla della luce negli occhi di uno studente che ha ritrovato la motivazione per studiare, del sorriso che compare quando un concetto "impossibile" viene finalmente afferrato, della risata gioiosa di un bambino rifiutato che viene accettato dal gruppo, dei sorrisi pieni di gratitudine, degli abbracci e dei "grazie" di genitori riconoscenti, di un biglietto di ringraziamento scritto da uno studente "perduto" che invece decide di continuare e di farcela, della soddisfazione interiore che si prova sapendo di aver fatto la differenza, di aver fatto qualcosa che conta veramente, di aver lasciato un segno indelebile per il futuro, per così tante persone, per così tanto tempo.
A volte, nella vita, mettere come limite il non limite induce ad andare avanti oltre l'apparente confine e scoprire, con gioia, che al di là della lotta tra il bene e il male c'è molto di più: c'è la vera vita.
*Genitore.
Ospite- Ospite
Per capire l'autismo
Per capire l'autismo
(di Giuseppe Felaco*)
Se riusciamo a toglierci le paure e i dubbi che in una certa misura incontriamo, incominciamo ad avere fiducia in noi stessi e solo allora saremo pronti per andare incontro ai bambini con autismo, in quel loro mondo elementare ma sconosciuto, nel quale forse per paura o per sentirsi più al sicuro, essi si sono rifugiati. Forse per sfuggire al continuo accumularsi di stress dovuto a una cattiva gestione o al continuo "trattare" con un mondo che non vuole "capire", ma vuole insegnare a camminare diritto, invece di togliere il peso necessario, per arrivare a un loro recupero.
L'incomprensione è diventata per questi bambini una vera e propria "tortura" e un ottimo metodo per aumentare la frustrazione, che spesso è alla base di quei comportamenti problematici che vengono percepiti come "incomprensibili" e privi di un'apparente causa scatenante.
Questi bambini non percepiscono il mondo attraverso le parole e i gesti, ma si affidano alla loro spiccata ipersensibilità emotiva, con la quale riescono a leggere il nostro stato più profondo, per cui noi - per loro - siamo come dei "libri aperti". Un'ipersensibilità, però, che non consente di distinguere se un nostro turbamento ha a che fare con loro oppure no, cosicché anche se un nostro modo di fare ci può sembrare chiaro nei loro confronti, la loro interpretazione degli atti può produrre l'effetto contrario e portarli a considerarli come ostili.
Hanno la percezione che c'è qualcosa che non va e il comportamento del nostro corpo lo dimostra. Il corpo rigido, le espressioni facciali tirate, gli ormoni e anche l'odore della pelle inviano segnali negativi, che vengono percepiti come un pericolo, o come un voler "invadere il loro spazio", l'unico "regno" in cui riescono a trovare un rifugio sicuro.
Ecco perché molte volte è impossibile trattare e comunicare con loro. Un genitore può scuotere o rimproverare il figlio senza che questo ne abbia paura, ma i bambini autistici, che non distinguono queste azioni, possono ritirarsi dalla paura oppure esprimere la loro rabbia.
La rabbia e il disagio di questi bambini non sono la causa del problema, ma il risultato di una cattiva comunicazione. Anche nella strategia per ottenere/rifiutare, un bambino "normale" può colpirsi, pigliandosi a schiaffi e a pugni, ma quando il genitore gli ordina di smettere - visto che l'effetto desiderato non è stato ottenuto - smetterà e adotterà un altro comportamento; il bambino autistico, invece, quando il genitore gli ordina di smettere, non lo può fare, perché non sa di avere un'alternativa e perciò si picchierà sempre più forte finché non verrà trattenuto.
È faticoso per loro trovare canali giusti di comunicazione, ma nessuno prenderebbe nemmeno in considerazione l'idea di farlo né di cercare gli strumenti, se non ci si aspettasse che questi bambini potessero essere in grado di comunicare con noi.
Trovano difficoltà nel contatto perché troppo spesso vi è un contrasto con le parole e con i gesti. Per loro è come ascoltare, contemporaneamente, voci sovrapposte che, pur provenendo dalla stessa persona, molte volte sono "contrastanti". Risulta loro difficile mostrare la propria identità, non riescono a capirci, sono disorientati dal nostro modo di vivere, dove l'unica vita possibile è quella sopra a un "palcoscenico", dove non si può essere se stessi.
E questo è inconcepibile per loro che, invece, non sanno cosa sia la falsità o la convenienza e soprattutto non sono disposti a vivere il contatto con il nostro mondo, al costo di perdere la capacità di pensare o agire senza la propria espressività intenzionale. Sono persone speciali, sono molto meglio di noi cosiddetti normali.
*Genitore.
(di Giuseppe Felaco*)
Se riusciamo a toglierci le paure e i dubbi che in una certa misura incontriamo, incominciamo ad avere fiducia in noi stessi e solo allora saremo pronti per andare incontro ai bambini con autismo, in quel loro mondo elementare ma sconosciuto, nel quale forse per paura o per sentirsi più al sicuro, essi si sono rifugiati. Forse per sfuggire al continuo accumularsi di stress dovuto a una cattiva gestione o al continuo "trattare" con un mondo che non vuole "capire", ma vuole insegnare a camminare diritto, invece di togliere il peso necessario, per arrivare a un loro recupero.
L'incomprensione è diventata per questi bambini una vera e propria "tortura" e un ottimo metodo per aumentare la frustrazione, che spesso è alla base di quei comportamenti problematici che vengono percepiti come "incomprensibili" e privi di un'apparente causa scatenante.
Questi bambini non percepiscono il mondo attraverso le parole e i gesti, ma si affidano alla loro spiccata ipersensibilità emotiva, con la quale riescono a leggere il nostro stato più profondo, per cui noi - per loro - siamo come dei "libri aperti". Un'ipersensibilità, però, che non consente di distinguere se un nostro turbamento ha a che fare con loro oppure no, cosicché anche se un nostro modo di fare ci può sembrare chiaro nei loro confronti, la loro interpretazione degli atti può produrre l'effetto contrario e portarli a considerarli come ostili.
Hanno la percezione che c'è qualcosa che non va e il comportamento del nostro corpo lo dimostra. Il corpo rigido, le espressioni facciali tirate, gli ormoni e anche l'odore della pelle inviano segnali negativi, che vengono percepiti come un pericolo, o come un voler "invadere il loro spazio", l'unico "regno" in cui riescono a trovare un rifugio sicuro.
Ecco perché molte volte è impossibile trattare e comunicare con loro. Un genitore può scuotere o rimproverare il figlio senza che questo ne abbia paura, ma i bambini autistici, che non distinguono queste azioni, possono ritirarsi dalla paura oppure esprimere la loro rabbia.
La rabbia e il disagio di questi bambini non sono la causa del problema, ma il risultato di una cattiva comunicazione. Anche nella strategia per ottenere/rifiutare, un bambino "normale" può colpirsi, pigliandosi a schiaffi e a pugni, ma quando il genitore gli ordina di smettere - visto che l'effetto desiderato non è stato ottenuto - smetterà e adotterà un altro comportamento; il bambino autistico, invece, quando il genitore gli ordina di smettere, non lo può fare, perché non sa di avere un'alternativa e perciò si picchierà sempre più forte finché non verrà trattenuto.
È faticoso per loro trovare canali giusti di comunicazione, ma nessuno prenderebbe nemmeno in considerazione l'idea di farlo né di cercare gli strumenti, se non ci si aspettasse che questi bambini potessero essere in grado di comunicare con noi.
Trovano difficoltà nel contatto perché troppo spesso vi è un contrasto con le parole e con i gesti. Per loro è come ascoltare, contemporaneamente, voci sovrapposte che, pur provenendo dalla stessa persona, molte volte sono "contrastanti". Risulta loro difficile mostrare la propria identità, non riescono a capirci, sono disorientati dal nostro modo di vivere, dove l'unica vita possibile è quella sopra a un "palcoscenico", dove non si può essere se stessi.
E questo è inconcepibile per loro che, invece, non sanno cosa sia la falsità o la convenienza e soprattutto non sono disposti a vivere il contatto con il nostro mondo, al costo di perdere la capacità di pensare o agire senza la propria espressività intenzionale. Sono persone speciali, sono molto meglio di noi cosiddetti normali.
*Genitore.
Ospite- Ospite
Re: Riflessioni di un genitore sull'autismo
"E questo è inconcepibile per loro che, invece, non sanno cosa sia la falsità o la convenienza e soprattutto non sono disposti a vivere il contatto con il nostro mondo, al costo di perdere la capacità di pensare o agire senza la propria espressività intenzionale. Sono persone speciali, sono molto meglio di noi cosiddetti normali".
Quindi?
Quindi?
Sumat- Advanced Member
- Numero di messaggi : 123
Data d'iscrizione : 11.09.09
QUELLO CHE SERVE PER INSEGNARE
QUELLO CHE SERVE PER INSEGNARE
(di Giuseppe Felaco)#
Una corretta strategia può avere un impatto profondo sullo sviluppo,sulla capacità di comunicazione e sull'acquisizione di abilità nei bambini.
Dobbiamo tener presente che l'interazione è la prima sfida da affrontare, quindi la nostra attenzione si focalizzerà in primo luogo sull'aiutarli ad interagire, a creare relazioni con gli altri e ad agire in modo spontaneo piuttosto che secondo abitudini acquisite meccanicamente.
Il segreto sta nel riuscire ad avere i bambini dalla nostra parte e suscitare in loro un interesse riguardo quello che stiamo cercando di comunicare, poi gli potremo insegnare qualsiasi cosa vogliamo.
Solo così apprenderanno facilmente con successo e a velocità sempre maggiore.
Da dove iniziamo?
Cominciamo col non cercare di bloccare o modificare i loro interessi,ma uniamoci ai loro.
Spesso si obietta che unirsi ai bambini non fa altro che rafforzare i comportamenti scorretti, invece, è vero il contrario.
Seguirli non fa altro che stabilire una vera connessione tra il bambino e il suo genitore o insegnante.
Le ragioni di questo non sono in alcun modo misteriose. Solitamente si chiede in
continuazione di smettere di fare ciò che stanno facendo e iniziare a fare ciò che vuole qualcun'altro. Poi ci stupiamo di fronte al fatto,che suscitare l'interesse dei bambini sembri una vera sfida. Noi siamo forse diversi? La chiave per un'interazione sociale vera e genuina sta in un dare ed avere tra le persone, un interesse nei confronti dei desideri e delle motivazioni uno dell'altro. Non stringiamo forse relazioni con quelle persone che mostrano i loro interessi e che allo stesso tempo sanno focalizzarsi sui nostri? Eppure quando insegniamo,
utilizziamo tattiche che sono diametralmente opposte ai principi basilari dell'interazione umana.
La linea di partenza, è cominciare, seguendo i loro interessi,collegandoci a loro, solo allora l'insegnamento e l'interazione sociale divengono possibili e riusciremo così ad insegnare ai bambini quello che a loro manca.. Il principio chiave è facilitare l'acquisizione di capacità capitalizzando le motivazioni, piuttosto
che imporre un particolare metodo di apprendimento per imparare e interagire. Tradizionalmente tendiamo a considerare per prima cosa ciò che noi vorremmo che il bambino imparasse, solo in un secondo tempo pensiamo a come insegnare. Il processo invece, si deve ribaltare.
Ci dobbiamo focalizzare prima nell'individuare le aree di interesse del bambino e poi decidere cosa insegnare e come.
In questo modo usiamo le abilità di apprendimento e gli interessi che già possiede invece di cercare di insegnare in contro tendenza usandoun nostro metodo.
Per l'effettivo utilizzo di questo principio è fondamentale riconoscere che l'apprendimento è il fattore in assoluto più importante per la crescita.
Questo concetto deve essere ben chiaro e palese in ogni area di apprendimento.
Sappiamo che i bambini imparano di più e più velocemente quando sono motivati e interessati a ciò che stanno imparando. Eppure vediamo questo principio raramente applicato.
Spesso il metodo di insegnamento e gli interessi del bambino non combaciano.
Eliminando dall'insegnamento le componenti di pressione e stress che normalmente sono presenti e focalizzandoci sulle aree di apprendimento in cui c'è necessità, stimoliamo il desiderio a imparare, che accresce le capacità di apprendimento senza sforzo e con la loro volontaria cooperazione.
L'interazione e la connessione ci porteranno in prospettiva sempre più avanti, quindi cerchiamo di raggiungere gli obiettivi precisi ma mai a dispetto dell'interazione e della connessione.
#Genitore
(di Giuseppe Felaco)#
Una corretta strategia può avere un impatto profondo sullo sviluppo,sulla capacità di comunicazione e sull'acquisizione di abilità nei bambini.
Dobbiamo tener presente che l'interazione è la prima sfida da affrontare, quindi la nostra attenzione si focalizzerà in primo luogo sull'aiutarli ad interagire, a creare relazioni con gli altri e ad agire in modo spontaneo piuttosto che secondo abitudini acquisite meccanicamente.
Il segreto sta nel riuscire ad avere i bambini dalla nostra parte e suscitare in loro un interesse riguardo quello che stiamo cercando di comunicare, poi gli potremo insegnare qualsiasi cosa vogliamo.
Solo così apprenderanno facilmente con successo e a velocità sempre maggiore.
Da dove iniziamo?
Cominciamo col non cercare di bloccare o modificare i loro interessi,ma uniamoci ai loro.
Spesso si obietta che unirsi ai bambini non fa altro che rafforzare i comportamenti scorretti, invece, è vero il contrario.
Seguirli non fa altro che stabilire una vera connessione tra il bambino e il suo genitore o insegnante.
Le ragioni di questo non sono in alcun modo misteriose. Solitamente si chiede in
continuazione di smettere di fare ciò che stanno facendo e iniziare a fare ciò che vuole qualcun'altro. Poi ci stupiamo di fronte al fatto,che suscitare l'interesse dei bambini sembri una vera sfida. Noi siamo forse diversi? La chiave per un'interazione sociale vera e genuina sta in un dare ed avere tra le persone, un interesse nei confronti dei desideri e delle motivazioni uno dell'altro. Non stringiamo forse relazioni con quelle persone che mostrano i loro interessi e che allo stesso tempo sanno focalizzarsi sui nostri? Eppure quando insegniamo,
utilizziamo tattiche che sono diametralmente opposte ai principi basilari dell'interazione umana.
La linea di partenza, è cominciare, seguendo i loro interessi,collegandoci a loro, solo allora l'insegnamento e l'interazione sociale divengono possibili e riusciremo così ad insegnare ai bambini quello che a loro manca.. Il principio chiave è facilitare l'acquisizione di capacità capitalizzando le motivazioni, piuttosto
che imporre un particolare metodo di apprendimento per imparare e interagire. Tradizionalmente tendiamo a considerare per prima cosa ciò che noi vorremmo che il bambino imparasse, solo in un secondo tempo pensiamo a come insegnare. Il processo invece, si deve ribaltare.
Ci dobbiamo focalizzare prima nell'individuare le aree di interesse del bambino e poi decidere cosa insegnare e come.
In questo modo usiamo le abilità di apprendimento e gli interessi che già possiede invece di cercare di insegnare in contro tendenza usandoun nostro metodo.
Per l'effettivo utilizzo di questo principio è fondamentale riconoscere che l'apprendimento è il fattore in assoluto più importante per la crescita.
Questo concetto deve essere ben chiaro e palese in ogni area di apprendimento.
Sappiamo che i bambini imparano di più e più velocemente quando sono motivati e interessati a ciò che stanno imparando. Eppure vediamo questo principio raramente applicato.
Spesso il metodo di insegnamento e gli interessi del bambino non combaciano.
Eliminando dall'insegnamento le componenti di pressione e stress che normalmente sono presenti e focalizzandoci sulle aree di apprendimento in cui c'è necessità, stimoliamo il desiderio a imparare, che accresce le capacità di apprendimento senza sforzo e con la loro volontaria cooperazione.
L'interazione e la connessione ci porteranno in prospettiva sempre più avanti, quindi cerchiamo di raggiungere gli obiettivi precisi ma mai a dispetto dell'interazione e della connessione.
#Genitore
Ospite- Ospite
Re: Riflessioni di un genitore sull'autismo
Spesso per affrontare i comportamenti di sfida dei bambini utilizziamo modi che li rafforzano. Pensate a cosa facciamo normalmente, quando i bambini fanno qualcosa che noi non vorremmo che facessero: "Oddio, guarda cos'è successo! Carlo no! Ti avevo detto di non toccarlo è molto pericoloso. Siamo agitati e facciamo una gran scena per quello che è appena successo. Naturalmente stiamo facendo del nostro meglio, ma questo ci porta veramente dove vogliamo? È importante capire che i bambini non sanno esattamente come comunicare ciò che vogliono e soprattutto non sanno farlo nello stesso modo in cui lo facciamo noi.
Fanno del loro meglio per comunicarci quello che vogliono e usano le nostre reazioni come unità di misura per verificare se la loro comunicazione è efficace.
Le nostre reazioni sono una forma di comunicazione, incoraggiamo qualsiasi cosa di fronte alla quale abbiamo una forte reazione. Quando
gridiamo o ci rallegriamo stiamo incoraggiando la cosa, al contrario se abbiamo una reazione sotto tono non incoraggiamo tale comportamento.
Il punto di inizio, cruciale per questo percorso è rimanere calmi e rilassati quando i bambini fanno delle cose che noi non vogliamo.
I bambini stanno solo provando a comunicare. Stanno provando a prendersi cura di loro nel modo migliore che conoscono (come noi del resto).
Potremmo pensare: più facile a dirlo che a farlo!
Faremmo bene a chiederci sempre: cosa sto insegnando o promovendo con la mia reazione, e qual è il modo migliore di reagire se voglio
insegnare a mio figlio o alunno?
Rallentando e abbassando i toni delle nostre reazioni a comportamenti scorretti e aumentando quelli a comportamenti che vogliamo (l'opposto
rispetto al modo in cui reagiamo di solito alle situazioni di ogni giorno), faciliteremo cambiamenti veloci e repentini. In questo modo
li aiuteremo a comunicare efficacemente senza usare comportamenti di sfida. Sappiamo bene che quando un modo di comunicare cessa di essere
efficace perché non determina più il risultato desiderato e soprattutto non causa una reazione eccessiva, quel bambino smetterà di usarlo.
È molto utile dare al bambino una buona parte del controllo del proprio ambiente, questo fa sì che il bambino inizi a sentirsi libero di uscire dai propri confini. Più controllo i bambini sperimentano,più si sentiranno in grado di rapportarsi agli altri. Facciamo si che l'interazione sia centrale nel processo di insegnamento e riduciamo drasticamente le battaglie per il controllo che ostacolano la crescita e l'interazione che si sviluppano solo in un ambiente nel quale possiamo sentirci a nostro agio. Pensiamo che possiamo portare i bambini a sempre nuovi traguardi, là dove nessuno vede questa prospettiva possibile. Non mettiamo limiti al futuro apriamo la porta ad una crescita senza limiti.
Cordialità, Giuseppe Felaco (genitore)
Fanno del loro meglio per comunicarci quello che vogliono e usano le nostre reazioni come unità di misura per verificare se la loro comunicazione è efficace.
Le nostre reazioni sono una forma di comunicazione, incoraggiamo qualsiasi cosa di fronte alla quale abbiamo una forte reazione. Quando
gridiamo o ci rallegriamo stiamo incoraggiando la cosa, al contrario se abbiamo una reazione sotto tono non incoraggiamo tale comportamento.
Il punto di inizio, cruciale per questo percorso è rimanere calmi e rilassati quando i bambini fanno delle cose che noi non vogliamo.
I bambini stanno solo provando a comunicare. Stanno provando a prendersi cura di loro nel modo migliore che conoscono (come noi del resto).
Potremmo pensare: più facile a dirlo che a farlo!
Faremmo bene a chiederci sempre: cosa sto insegnando o promovendo con la mia reazione, e qual è il modo migliore di reagire se voglio
insegnare a mio figlio o alunno?
Rallentando e abbassando i toni delle nostre reazioni a comportamenti scorretti e aumentando quelli a comportamenti che vogliamo (l'opposto
rispetto al modo in cui reagiamo di solito alle situazioni di ogni giorno), faciliteremo cambiamenti veloci e repentini. In questo modo
li aiuteremo a comunicare efficacemente senza usare comportamenti di sfida. Sappiamo bene che quando un modo di comunicare cessa di essere
efficace perché non determina più il risultato desiderato e soprattutto non causa una reazione eccessiva, quel bambino smetterà di usarlo.
È molto utile dare al bambino una buona parte del controllo del proprio ambiente, questo fa sì che il bambino inizi a sentirsi libero di uscire dai propri confini. Più controllo i bambini sperimentano,più si sentiranno in grado di rapportarsi agli altri. Facciamo si che l'interazione sia centrale nel processo di insegnamento e riduciamo drasticamente le battaglie per il controllo che ostacolano la crescita e l'interazione che si sviluppano solo in un ambiente nel quale possiamo sentirci a nostro agio. Pensiamo che possiamo portare i bambini a sempre nuovi traguardi, là dove nessuno vede questa prospettiva possibile. Non mettiamo limiti al futuro apriamo la porta ad una crescita senza limiti.
Cordialità, Giuseppe Felaco (genitore)
Ospite- Ospite
Re: Riflessioni di un genitore sull'autismo
Nell’approccio con un bambino, portatore di handicap non è possibile pensare di avere un buon risultato partendo dalla didattica o avendo come priorità la letto-scrittura. Per avere una buona riuscita bisogna conoscere per lo meno come catturare l'attenzione, che linguaggio usare, quali canali sfruttare e come far nascere la motivazione ad apprendere. Per capirci: la paginetta di A B C e le fotocopie in bianco e nero, prese dai libri delle elementari, sono generalmente una vera e propria tortura ed un ottimo metodo per aumentare la frustrazione. Immaginate che vi presentino un compito fitto di geroglifici e vi chiedano, magari in arabo, di completarlo mentre voi non siete in grado, assolutamente, di comprenderne il significato e lo scopo. Immaginate la frustrazione, derivante dal non riuscire, dal non capire e dal non saper gestire la comunicazione, che spesso è alla base di quei comportamenti problematici che vengono percepiti come incomprensibili e privi di un'apparente causa scatenante. Spesso si sente dire dagli insegnanti: "non vuole scrivere"; "ha strappato il compito"; "se gli chiedo di fare qualcosa si butta per terra" e simili. Suggerirei agli insegnati di documentarsi su alcuni punti: - quale linguaggio è preferibile usare quando si parla ad un bambino con handicap; - quali distrazioni e fastidi possono venire dall'ambiente circostante; - come aumentare la possibilità di catturare l'attenzione e come motivare il bambino. L'insegnamento senza errori abbasserebbe la frustrazione, trasformandosi in uno strumento sicuro per avere successo. Si sente spesso rispondere che gli insegnanti non sono terapisti, che la terapia a scuola non si può fare, ecc. Le tecniche comportamentali non sono una terapia sanitaria in senso stretto, ma sono semplicemente lo strumento più efficace per INSEGNARE a bambini con handicap. Non si può pensare all'insegnamento solo in un modo "classico" o "standard" facendo perdere a questi bambini le opportunità migliori per ottenere il loro recupero.
Quando sono diventato cieco ho incominciato a vedere.
Cordiali Saluti, Giuseppe
Quando sono diventato cieco ho incominciato a vedere.
Cordiali Saluti, Giuseppe
Ospite- Ospite
Re: Riflessioni di un genitore sull'autismo
"Suggerirei agli insegnati di documentarsi su alcuni punti: - quale linguaggio è preferibile usare quando si parla ad un bambino con handicap; - quali distrazioni e fastidi possono venire dall'ambiente circostante; - come aumentare la possibilità di catturare l'attenzione e come motivare il bambino. L'insegnamento senza errori abbasserebbe la frustrazione, trasformandosi in uno strumento sicuro per avere successo"
...beh, mi scusi sig. Giuseppe ma siamo all'abc dell'insegnamento.
Perchè non ci racconta qualcosa di lei e della sua esperienza personale? Forse potrebbe esserci più utile. Grazie. Cordialmente.
...beh, mi scusi sig. Giuseppe ma siamo all'abc dell'insegnamento.
Perchè non ci racconta qualcosa di lei e della sua esperienza personale? Forse potrebbe esserci più utile. Grazie. Cordialmente.
Sumat- Advanced Member
- Numero di messaggi : 123
Data d'iscrizione : 11.09.09
Re: Riflessioni di un genitore sull'autismo
Carissimi,
Vi consiglierei di leggere attentamente i miei post, presentati in questi giorni così, conoscerete meglio me e il mio pensiero.
Cordialità, Giuseppe Felaco (genitore)
Vi consiglierei di leggere attentamente i miei post, presentati in questi giorni così, conoscerete meglio me e il mio pensiero.
Cordialità, Giuseppe Felaco (genitore)
Ospite- Ospite
L'apparente «inutilità» del gioco
L'apparente «inutilità» del gioco
(di Giuseppe Felaco*)
Nel periodo dell'infanzia, i bambini istituscono col reale un rapporto speciale, essenzialmente tramite il gioco, creando - con il possesso e il controllo di tutti gli elementi - un linguaggio globale, come modalità di espressione, oltre che di conoscenza.
Generalmente il gioco è un'attività che viene svalutata, a vantaggio di occupazioni definite "più utili" e "più importanti", come imparare e accumulare il sapere. Accumulare il sapere! Imparare! È dunque solo questo ciò che conta? Per il gioco vengono ritagliati spazi e determinati i tempi, che molte volte sono una semplice "ricompensa" successiva a continui compromessi. Anche alcune persone autistiche - per attirare l’attenzione e per mettere in pratica alcune delle convenzioni sociali e stabilire una certa relazione con gli altri - utilizzano il gioco nell'apparenza di una sua forma stereotipata.
In realtà non si è ancora capita la positività creativa e ricreativa contenuta nel gioco, facendo così perdere ai bambini la possibilità di codificazioni alternative e di capacità simboliche utili a conoscere l'Altro. Infatti - attraverso un contatto che utilizzi il corpo nelle sue rappresentazioni tattili e relazionali - il bambino può accedere al linguaggio del corpo, molto più importante di quello verbale. È come una metamorfosi che deve avvenire, quella che rivela una nuova consapevolezza e permette il risveglio alla vita in una manifestazione di sentimenti.
Il gioco, da illusione creativa, diventa allora capacità di interagire con il mondo, dando la possibilità al corpo di "mettere in scena il mondo", ossia come esso lo pensa e lo racconta. L'apparente inutilità dei comportamenti ludici può essere in realtà un modo di conoscenza dell'altro e per sperimentare questo "luogo comune" cosa c'è di meglio dell'ovvietà di esserci, per sentire, attraverso le emozioni, una distanza che si colma, per avere la possibilità di sentirsi in armonia con se stessi e col mondo con il quale e nel quale si interagisce? Ci vorrebbe insomma un mondo non più diviso in "mio" e "tuo", dove la cultura dell’interazione nascesse principalmente da una volontà interiore libera di esprimere la pienezza del Sé.
Sembra quasi offensivo e inutile sottolineare che l’isolamento porta inevitabilmente a innesti psicotici, indicativi di una chiusura al mondo esterno, specie se applicata a persone già segnate da sindromi patologiche le quali comportano, automaticamente, proprio il rinchiudersi in se stessi. E dunque la persistenza di questo stato di cose può solo determinare un rinforzo di questo stato di fatto e in particolare portare le famiglie a un comportamento iperprotettivo, in una sorta di compensazione che rischia però di soffocare la personalità autonoma del bambino/ragazzo.
Diventa quasi un'"ingiunzione alla non esistenza" che porta la persona con handicap a fare affidamento solo sulle sue esperienze acquisite, ghettizzata nei centri di riabilitazione o in altre istituzioni simili, come ad esempio i laboratori protetti, per un'attività lavorativa in situazione tutelata. Questi sembrerebbero essere giusti supporti, ma non è così, è solo una delega costante e definitiva in cui l'autonomia rimane esclusivamente al livello dell'autosufficienza di base e non arriva al riconoscimento delle risorse del bambino/ragazzo.
Ecco cosa succede: che lo spazio protettivo e potenziale si riduce in uno spazio dove degli esseri umani sono costretti a vivere la vita "come animali in una gabbia". Accumulare il sapere! Imparare! È dunque questo, il risultato?
*Genitore.
(di Giuseppe Felaco*)
Nel periodo dell'infanzia, i bambini istituscono col reale un rapporto speciale, essenzialmente tramite il gioco, creando - con il possesso e il controllo di tutti gli elementi - un linguaggio globale, come modalità di espressione, oltre che di conoscenza.
Generalmente il gioco è un'attività che viene svalutata, a vantaggio di occupazioni definite "più utili" e "più importanti", come imparare e accumulare il sapere. Accumulare il sapere! Imparare! È dunque solo questo ciò che conta? Per il gioco vengono ritagliati spazi e determinati i tempi, che molte volte sono una semplice "ricompensa" successiva a continui compromessi. Anche alcune persone autistiche - per attirare l’attenzione e per mettere in pratica alcune delle convenzioni sociali e stabilire una certa relazione con gli altri - utilizzano il gioco nell'apparenza di una sua forma stereotipata.
In realtà non si è ancora capita la positività creativa e ricreativa contenuta nel gioco, facendo così perdere ai bambini la possibilità di codificazioni alternative e di capacità simboliche utili a conoscere l'Altro. Infatti - attraverso un contatto che utilizzi il corpo nelle sue rappresentazioni tattili e relazionali - il bambino può accedere al linguaggio del corpo, molto più importante di quello verbale. È come una metamorfosi che deve avvenire, quella che rivela una nuova consapevolezza e permette il risveglio alla vita in una manifestazione di sentimenti.
Il gioco, da illusione creativa, diventa allora capacità di interagire con il mondo, dando la possibilità al corpo di "mettere in scena il mondo", ossia come esso lo pensa e lo racconta. L'apparente inutilità dei comportamenti ludici può essere in realtà un modo di conoscenza dell'altro e per sperimentare questo "luogo comune" cosa c'è di meglio dell'ovvietà di esserci, per sentire, attraverso le emozioni, una distanza che si colma, per avere la possibilità di sentirsi in armonia con se stessi e col mondo con il quale e nel quale si interagisce? Ci vorrebbe insomma un mondo non più diviso in "mio" e "tuo", dove la cultura dell’interazione nascesse principalmente da una volontà interiore libera di esprimere la pienezza del Sé.
Sembra quasi offensivo e inutile sottolineare che l’isolamento porta inevitabilmente a innesti psicotici, indicativi di una chiusura al mondo esterno, specie se applicata a persone già segnate da sindromi patologiche le quali comportano, automaticamente, proprio il rinchiudersi in se stessi. E dunque la persistenza di questo stato di cose può solo determinare un rinforzo di questo stato di fatto e in particolare portare le famiglie a un comportamento iperprotettivo, in una sorta di compensazione che rischia però di soffocare la personalità autonoma del bambino/ragazzo.
Diventa quasi un'"ingiunzione alla non esistenza" che porta la persona con handicap a fare affidamento solo sulle sue esperienze acquisite, ghettizzata nei centri di riabilitazione o in altre istituzioni simili, come ad esempio i laboratori protetti, per un'attività lavorativa in situazione tutelata. Questi sembrerebbero essere giusti supporti, ma non è così, è solo una delega costante e definitiva in cui l'autonomia rimane esclusivamente al livello dell'autosufficienza di base e non arriva al riconoscimento delle risorse del bambino/ragazzo.
Ecco cosa succede: che lo spazio protettivo e potenziale si riduce in uno spazio dove degli esseri umani sono costretti a vivere la vita "come animali in una gabbia". Accumulare il sapere! Imparare! È dunque questo, il risultato?
*Genitore.
Ospite- Ospite
PERCHE' NON C' E' UNA CURA MEDICA PER L'AUTISMO
Ogni anno in autunno miriadi di organizzazioni invitano a partecipare a convegni su convegni in qualsiasi parte del territorio. In molti casi sono reti ben preparate e calate nel posto "giusto" per validare nuovi santoni e mercanti di fumo come: i venditori di libri e di ricette "miracolose". Come aiutare i giovani genitori, dall'insidia delle sirene che promettono di guarire, di recuperare, di normalizzare i bambini autistici? Ancora più forte è il richiamo se è fatto da genitori che mostrano i loro figli come prove di efficacia. Quanto più sono grandi i miracoli promessi, tanto più i genitori sono attratti dai ciarlatani.
"Attenzione" a non caderci! Soprattutto non trasformiamo "S.O.S.Sostegno" in un mercato di "polli".
Cordialità, Giuseppe
Dalla rivista informautismo (per gentile concessione di AUTISMO ITALIA ONLUS)
PERCHE' NON C' E' UNA CURA MEDICA PER L'AUTISMO,
SE LA SUA ORIGINE E' NEUROBIOLOGICA?
Le alterazioni riscontrate nel sistema nervoso centrale, se da un lato confermano definitivamente l’origine neuro-biologica dell’Autismo, dall’altro non danno adito per ora a speranze di terapie mediche rivolte a curarne le cause. Un farmaco che sia in grado di orientare lo sviluppo della materia bianca nel cervello non esiste. E la complessità di reazioni a catena che una anomalia di crescita delle fibre nervose e, quindi, di trasporto dell'informazione, può causare è incalcolabile.
I dati della ricerca mostrano in pratica delle anomalie nell'architettura stessa del cervello, che difficilmente potrebbero riconoscere una causa prima diversa da un’influenza genetica, che gli studi epidemiologici hanno confermato essere preponderante nel determinare l'autismo (vedi Informautismo n° 3). Ma esistono anche cause ambientali dell'autismo, e quale potrebbe essere il loro ruolo?
Alcuni elementi ambientali di cui è stato provato con certezza un legame causa-effetto con l'autismo esistono, ma si tratta di elementi ben noti per avere un effetto dannoso sul feto durante la gestazione. Uno di questi è il virus della rosolia. Un altro è la famigerata Talidomide, un farmaco antinausea e che causò una drammatica epidemia di effetti devastanti nei feti le cui madri l'avevano assunto in gravidanza. Il farmaco fu ritirato dal mercato, ma solo dopo aver provocato danni gravissimi: molti dei bambini esposti al farmaco durante la vita intrauterina nacquero con deformazioni dovute al sovvertimento nell'architettura di vari organi o apparati, a seconda del periodo di gestazione durante il quale la madre aveva assunto il farmaco.
Molti di quei bambini svilupparono l'autismo, insieme ad altre anomalie e deformità. Le deformità concomitanti permisero di situare il periodo critico, in cui il feto esposto alla Talidomide correva un alto rischio di rischio di sviluppare l'autismo, nei primi 20-28 giorni di gestazione, periodo nel quale il cervello è in fase di formazione e organizzazione, e nel quale è quindi plausibile aspettarsi che un agente esterno ambientale possa causare un'alterazione dell'architettura cerebrale. Anche questo tassello di conoscenza si raccorda con i dati riscontrati sulle anomalie di crescita della sostanza bianca cerebrale.
Sulla base di questi dati, possiamo tranquillamente escludere che una carenza affettiva parentale possa in qualche modo causare l'autismo.
Inoltre, al di là di questa lapalissiana evidenza, non è logico nemmeno aspettarsi che elementi ambientali che vengono a contatto con l'organismo dopo la nascita, quando il cervello, benché ancora plastico, è strutturalmente formato, come vaccinazioni, allergeni o infezioni intestinali, possano avere un effetto determinante sulla crescita anomala della materia bianca cerebrale. Del resto, tutti questi elementi "sospetti" sono stati ampiamente presi in considerazione dalla ricerca, ma nessuno studio ha potuto dimostrarne una responsabilità nel causare l'autismo. I dati attuali della ricerca ci confermano quindi ancora una volta l'inutilità di diete e terapie "alternative" per curare l'autismo.
Ma allora, perché il trattamenti cognitivo-comportamentale sarebbe così determinante, se questi bambini hanno un cervello "anomalo"?
Perché, appunto, il cervello è plastico, e per tutta la vita il suo sviluppo viene in qualche modo influenzato dall'esperienza. Anche nel caso di una riabilitazione cognitivo-comportamentale efficace, tuttavia, alle indagini funzionali cerebrali si riscontra che, se le persone con autismo possono imparare a funzionare in modo simile al nostro attraverso un "allenamento" cognitivo-comportamentale, in realtà per farlo attivano aree cerebrali diverse da quelle attivate dalle persone "normodotate". Per raggiungere lo stesso scopo, il loro cervello deve percorrere vie alternative.
Sono moltissimi dunque i dati che concordano nel formare un quadro coerente, che acquista pian piano sempre maggiore chiarezza. Ai genitori i progressi della scienza possono sembrare troppo lenti, in confronto all'urgenza di aiutare il loro bambino. Tuttavia non bisogna dimenticare che la scienza non procede per scoperte sensazionali, ma attraverso tasselli di conoscenza che contribuiscono nel tempo a comporre un quadro coerente. Per arrivare a risposte attendibili e promettenti è necessario potenziare il coordinamento dei ricercatori in grandi reti, e confrontare continuamente ipotesi e risultati.
Gli studi non corretti dal punto di vista metodologico non solo non contribuiscono alla conoscenza, ma ne ritardano i percorsi, distraendo fondi e risorse. Non c’è spazio nella scienza moderna per avventure e personalismi: ci vuole passione, la capacità di lavorare in équipe e tanta umiltà
"Attenzione" a non caderci! Soprattutto non trasformiamo "S.O.S.Sostegno" in un mercato di "polli".
Cordialità, Giuseppe
Dalla rivista informautismo (per gentile concessione di AUTISMO ITALIA ONLUS)
PERCHE' NON C' E' UNA CURA MEDICA PER L'AUTISMO,
SE LA SUA ORIGINE E' NEUROBIOLOGICA?
Le alterazioni riscontrate nel sistema nervoso centrale, se da un lato confermano definitivamente l’origine neuro-biologica dell’Autismo, dall’altro non danno adito per ora a speranze di terapie mediche rivolte a curarne le cause. Un farmaco che sia in grado di orientare lo sviluppo della materia bianca nel cervello non esiste. E la complessità di reazioni a catena che una anomalia di crescita delle fibre nervose e, quindi, di trasporto dell'informazione, può causare è incalcolabile.
I dati della ricerca mostrano in pratica delle anomalie nell'architettura stessa del cervello, che difficilmente potrebbero riconoscere una causa prima diversa da un’influenza genetica, che gli studi epidemiologici hanno confermato essere preponderante nel determinare l'autismo (vedi Informautismo n° 3). Ma esistono anche cause ambientali dell'autismo, e quale potrebbe essere il loro ruolo?
Alcuni elementi ambientali di cui è stato provato con certezza un legame causa-effetto con l'autismo esistono, ma si tratta di elementi ben noti per avere un effetto dannoso sul feto durante la gestazione. Uno di questi è il virus della rosolia. Un altro è la famigerata Talidomide, un farmaco antinausea e che causò una drammatica epidemia di effetti devastanti nei feti le cui madri l'avevano assunto in gravidanza. Il farmaco fu ritirato dal mercato, ma solo dopo aver provocato danni gravissimi: molti dei bambini esposti al farmaco durante la vita intrauterina nacquero con deformazioni dovute al sovvertimento nell'architettura di vari organi o apparati, a seconda del periodo di gestazione durante il quale la madre aveva assunto il farmaco.
Molti di quei bambini svilupparono l'autismo, insieme ad altre anomalie e deformità. Le deformità concomitanti permisero di situare il periodo critico, in cui il feto esposto alla Talidomide correva un alto rischio di rischio di sviluppare l'autismo, nei primi 20-28 giorni di gestazione, periodo nel quale il cervello è in fase di formazione e organizzazione, e nel quale è quindi plausibile aspettarsi che un agente esterno ambientale possa causare un'alterazione dell'architettura cerebrale. Anche questo tassello di conoscenza si raccorda con i dati riscontrati sulle anomalie di crescita della sostanza bianca cerebrale.
Sulla base di questi dati, possiamo tranquillamente escludere che una carenza affettiva parentale possa in qualche modo causare l'autismo.
Inoltre, al di là di questa lapalissiana evidenza, non è logico nemmeno aspettarsi che elementi ambientali che vengono a contatto con l'organismo dopo la nascita, quando il cervello, benché ancora plastico, è strutturalmente formato, come vaccinazioni, allergeni o infezioni intestinali, possano avere un effetto determinante sulla crescita anomala della materia bianca cerebrale. Del resto, tutti questi elementi "sospetti" sono stati ampiamente presi in considerazione dalla ricerca, ma nessuno studio ha potuto dimostrarne una responsabilità nel causare l'autismo. I dati attuali della ricerca ci confermano quindi ancora una volta l'inutilità di diete e terapie "alternative" per curare l'autismo.
Ma allora, perché il trattamenti cognitivo-comportamentale sarebbe così determinante, se questi bambini hanno un cervello "anomalo"?
Perché, appunto, il cervello è plastico, e per tutta la vita il suo sviluppo viene in qualche modo influenzato dall'esperienza. Anche nel caso di una riabilitazione cognitivo-comportamentale efficace, tuttavia, alle indagini funzionali cerebrali si riscontra che, se le persone con autismo possono imparare a funzionare in modo simile al nostro attraverso un "allenamento" cognitivo-comportamentale, in realtà per farlo attivano aree cerebrali diverse da quelle attivate dalle persone "normodotate". Per raggiungere lo stesso scopo, il loro cervello deve percorrere vie alternative.
Sono moltissimi dunque i dati che concordano nel formare un quadro coerente, che acquista pian piano sempre maggiore chiarezza. Ai genitori i progressi della scienza possono sembrare troppo lenti, in confronto all'urgenza di aiutare il loro bambino. Tuttavia non bisogna dimenticare che la scienza non procede per scoperte sensazionali, ma attraverso tasselli di conoscenza che contribuiscono nel tempo a comporre un quadro coerente. Per arrivare a risposte attendibili e promettenti è necessario potenziare il coordinamento dei ricercatori in grandi reti, e confrontare continuamente ipotesi e risultati.
Gli studi non corretti dal punto di vista metodologico non solo non contribuiscono alla conoscenza, ma ne ritardano i percorsi, distraendo fondi e risorse. Non c’è spazio nella scienza moderna per avventure e personalismi: ci vuole passione, la capacità di lavorare in équipe e tanta umiltà
Ospite- Ospite
Re: Riflessioni di un genitore sull'autismo
da noi , come le ho spiegato in un altro suo post, è l'impossibilità nel poter dialogare con il centro riabilitativo che nel pomeriggio ha in carica il bambino ... quindi viviamo un totale scollamento tra scuola-famiglia-centro terapistico/riabilitativo ...
sabrina- Senior Member
- Numero di messaggi : 231
Data d'iscrizione : 11.12.08
Re: Riflessioni di un genitore sull'autismo
Coraggio: “Insieme si può…”
La favola del colibrì
Un giorno nella foresta scoppiò un grande incendio.
Di fronte all’avanzare delle fiamme, tutti gli animali scapparono terrorizzati mentre il fuoco distruggeva ogni cosa senza pietà.
Leoni, zebre, elefanti, rinoceronti, gazzelle e tanti altri animali cercarono rifugio nelle acque del grande fiume, ma ormai l’incendio stava per arrivare anche lì.
Mentre tutti discutevano animatamente sul da farsi, un piccolissimo colibrì si tuffò nelle acque del fiume e, dopo aver preso nel becco una goccia d’acqua, incurante del gran caldo, la lasciò cadere sopra la foresta invasa dal fumo.
Il fuoco non se ne accorse neppure e proseguì la sua corsa sospinto dal vento.
Il colibrì, però, non si perse d’animo e continuò a tuffarsi per raccogliere ogni volta una piccola goccia d’acqua che lasciava cadere sulle fiamme.
La cosa non passò inosservata e ad un certo punto il leone lo chiamò e gli chiese:
“Cosa stai facendo?”. L’uccellino gli rispose: “Cerco di spegnere l’incendio!”.
Il leone si mise a ridere: “Tu così piccolo pretendi di fermare le fiamme?” e assieme a tutti gli altri animali incominciò a prenderlo in giro. Ma l’uccellino, incurante delle risate e delle critiche, si gettò nuovamente nel fiume per raccogliere un’altra goccia d’acqua.
A quella vista un elefantino, che fino a quel momento era rimasto al riparo tra le zampe della madre, immerse la sua proboscide nel fiume e, dopo aver aspirato quanta più acqua possibile, la spruzzò su un cespuglio che stava ormai per essere divorato dal fuoco.
Anche un giovane pellicano, lasciati i suoi genitori al centro del fiume, si riempì il grande becco d’acqua e, preso il volo, la lasciò cadere come una cascata su di un albero minacciato dalle fiamme.
Contagiati da quegli esempi, tutti i cuccioli d’animale si prodigarono insieme per spegnere l’incendio che ormai aveva raggiunto le rive del fiume.
Dimenticando vecchi rancori e divisioni millenarie, il cucciolo del leone e dell’antilope, quello della scimmia e del leopardo, quello dell’aquila dal collo bianco e della lepre lottarono fianco a fianco per fermare la corsa del fuoco.
A quella vista gli adulti smisero di deriderli e, pieni di vergogna, incominciarono a dar manforte ai loro figli. Con l’arrivo di forze fresche, bene organizzate dal re leone, quando le ombre della sera calarono sulla savana, l’incendio poteva dirsi ormai domato.
Sporchi e stanchi, ma salvi, tutti gli animali si radunarono per festeggiare insieme la vittoria sul fuoco.
Il leone chiamò il piccolo colibrì e gli disse: “Oggi abbiamo imparato che la cosa più importante non è essere grandi e forti ma pieni di coraggio e di generosità. Oggi tu ci hai insegnato che anche una goccia d’acqua può essere importante e che «insieme si può» spegnere un grande incendio. D’ora in poi tu diventerai il simbolo del nostro impegno a costruire un mondo migliore, dove ci sia posto per tutti, la violenza sia bandita, la parola guerra cancellata, la morte per fame solo un brutto ricordo”.
Che t'importa che gli altri preferiscono vivere la vita come pecore....
Certo, il ruolo di pecore non dovrebbe allettare gran che, se teniamo
presente, come ci ricorda Dante, che sono animali senza personalità e
senza identità.
Come le pecorelle escon dal chiuso,
a una, a due, a tre, e l’altre stanno
timidette atterrando l’occhio e ‘l muso;
e ciò che fa la prima, e l’altre fanno,
addossandosi a lei, s’ella s’arresta,
semplici e quete, e lo ‘mperchè non sanno…
Perché volare rasoterra! Come un povero uccellino che, abituato a volare soltanto da albero ad albero o, al più, fino al balcone di un terzo piano, una sola volta ebbe l'ardire di arrivare fino al tetto di una casetta, che non era proprio un grattacielo. Ma ecco che un'aquila afferra il nostro eroe. Io aveva scambiato per un pulcino della sua razza e, fra i suoi artigli poderosi, l'uccellino sale, sale molto in alto, oltre le montagne della terra e le vette innevate, oltre le nubi bianche e azzurre, ancora più su, fino a guardare in faccia il sole. E allora l'aquila, liberando l'uccellino, gli dice: Forza, vola!
Forza, voliamo!
P.S. Consiglio di leggere tutti i miei post.
La favola del colibrì
Un giorno nella foresta scoppiò un grande incendio.
Di fronte all’avanzare delle fiamme, tutti gli animali scapparono terrorizzati mentre il fuoco distruggeva ogni cosa senza pietà.
Leoni, zebre, elefanti, rinoceronti, gazzelle e tanti altri animali cercarono rifugio nelle acque del grande fiume, ma ormai l’incendio stava per arrivare anche lì.
Mentre tutti discutevano animatamente sul da farsi, un piccolissimo colibrì si tuffò nelle acque del fiume e, dopo aver preso nel becco una goccia d’acqua, incurante del gran caldo, la lasciò cadere sopra la foresta invasa dal fumo.
Il fuoco non se ne accorse neppure e proseguì la sua corsa sospinto dal vento.
Il colibrì, però, non si perse d’animo e continuò a tuffarsi per raccogliere ogni volta una piccola goccia d’acqua che lasciava cadere sulle fiamme.
La cosa non passò inosservata e ad un certo punto il leone lo chiamò e gli chiese:
“Cosa stai facendo?”. L’uccellino gli rispose: “Cerco di spegnere l’incendio!”.
Il leone si mise a ridere: “Tu così piccolo pretendi di fermare le fiamme?” e assieme a tutti gli altri animali incominciò a prenderlo in giro. Ma l’uccellino, incurante delle risate e delle critiche, si gettò nuovamente nel fiume per raccogliere un’altra goccia d’acqua.
A quella vista un elefantino, che fino a quel momento era rimasto al riparo tra le zampe della madre, immerse la sua proboscide nel fiume e, dopo aver aspirato quanta più acqua possibile, la spruzzò su un cespuglio che stava ormai per essere divorato dal fuoco.
Anche un giovane pellicano, lasciati i suoi genitori al centro del fiume, si riempì il grande becco d’acqua e, preso il volo, la lasciò cadere come una cascata su di un albero minacciato dalle fiamme.
Contagiati da quegli esempi, tutti i cuccioli d’animale si prodigarono insieme per spegnere l’incendio che ormai aveva raggiunto le rive del fiume.
Dimenticando vecchi rancori e divisioni millenarie, il cucciolo del leone e dell’antilope, quello della scimmia e del leopardo, quello dell’aquila dal collo bianco e della lepre lottarono fianco a fianco per fermare la corsa del fuoco.
A quella vista gli adulti smisero di deriderli e, pieni di vergogna, incominciarono a dar manforte ai loro figli. Con l’arrivo di forze fresche, bene organizzate dal re leone, quando le ombre della sera calarono sulla savana, l’incendio poteva dirsi ormai domato.
Sporchi e stanchi, ma salvi, tutti gli animali si radunarono per festeggiare insieme la vittoria sul fuoco.
Il leone chiamò il piccolo colibrì e gli disse: “Oggi abbiamo imparato che la cosa più importante non è essere grandi e forti ma pieni di coraggio e di generosità. Oggi tu ci hai insegnato che anche una goccia d’acqua può essere importante e che «insieme si può» spegnere un grande incendio. D’ora in poi tu diventerai il simbolo del nostro impegno a costruire un mondo migliore, dove ci sia posto per tutti, la violenza sia bandita, la parola guerra cancellata, la morte per fame solo un brutto ricordo”.
Che t'importa che gli altri preferiscono vivere la vita come pecore....
Certo, il ruolo di pecore non dovrebbe allettare gran che, se teniamo
presente, come ci ricorda Dante, che sono animali senza personalità e
senza identità.
Come le pecorelle escon dal chiuso,
a una, a due, a tre, e l’altre stanno
timidette atterrando l’occhio e ‘l muso;
e ciò che fa la prima, e l’altre fanno,
addossandosi a lei, s’ella s’arresta,
semplici e quete, e lo ‘mperchè non sanno…
Perché volare rasoterra! Come un povero uccellino che, abituato a volare soltanto da albero ad albero o, al più, fino al balcone di un terzo piano, una sola volta ebbe l'ardire di arrivare fino al tetto di una casetta, che non era proprio un grattacielo. Ma ecco che un'aquila afferra il nostro eroe. Io aveva scambiato per un pulcino della sua razza e, fra i suoi artigli poderosi, l'uccellino sale, sale molto in alto, oltre le montagne della terra e le vette innevate, oltre le nubi bianche e azzurre, ancora più su, fino a guardare in faccia il sole. E allora l'aquila, liberando l'uccellino, gli dice: Forza, vola!
Forza, voliamo!
P.S. Consiglio di leggere tutti i miei post.
Ospite- Ospite
"vorrei vivere un sogno."
"vorrei vivere un sogno."
Questa lettera è il nostro modo per dirvi che apprezziamo i vostri sacrifici, che riconosciamo i problemi che dovete affrontare, e che apprezziamo il vostro contributo alla vita dei nostri figli. Nonostante vi troviate spesso davanti a classi numerose, o dobbiate fare i conti con budget sempre più contenuti e aspettative sempre più grandi, continuate a compiere i vostri speciali miracoli con gli studenti. Li istruite, insegnate loro la disciplina, li guidate, li seguite e date loro l' ispirazione per sfruttare appieno il loro potenziale. Oltre alla sociologia insegnate nozioni preziose per i rapporti con gli altri, insegnate l'autostima oltre all'ortografia, il senso civico oltre alle scienze, la tolleranza oltre alla grammatica, e l'entusiasmo per la conoscenza oltre alla maestria nella materia. A seconda delle situazioni vi ritrovate a essere consulenti, amici, surrogati dei genitori, guardiani della disciplina, esperti nel controllo della classe, moderatori esperti di dinamiche di gruppo, specialisti in difficoltà dell'apprendimento, oratori specializzati in motivazione, portatori della fiaccola della cultura e guide, nonché maestri esperti della materia che insegnate. Vi viene chiesto di preparare le vostre lezioni con creatività e dinamismo in modo da mantenere l'attenzione di un gruppo numeroso, ma anche di adottare metodi di insegnamento "su misura" per singoli studenti che presentano una miriade di modi diversi di imparare e difficoltà di apprendimento. Avete scelto la professione che presenta più sfide ma anche quella che offre più soddisfazioni di tutte le altre che esistono o che mai esisteranno. Anche se il vostro lavoro non paga granché in termini di denaro, le gratifiche psicologiche ed emotive sono enormi. Si parla della luce negli occhi di uno studente che ha ritrovato la motivazione per studiare, del sorriso che compare quando un concetto impossibile viene finalmente afferrato, della risata gioiosa di un bambino rifiutato che viene accettato dal gruppo, della gioia di vedere uno studente difficile salire sul palco il giorno della consegna del diploma, dei sorrisi pieni di gratitudine, degli abbracci e dei "grazie" di genitori riconoscenti, di un biglietto di ringraziamento scritto da uno studente "perduto" che invece decide di continuare e di farcela, della soddisfazione interiore che si prova sapendo di aver fatto la differenza, di aver fatto qualcosa che conta e di aver lasciato un segno indelebile per il futuro. Ancora una volta vi preghiamo di considerare questa lettera come un enorme "Grazie!" per tutto quello che avete fatto per così tante persone, per così tanto tempo.
Questa lettera è il nostro modo per dirvi che apprezziamo i vostri sacrifici, che riconosciamo i problemi che dovete affrontare, e che apprezziamo il vostro contributo alla vita dei nostri figli. Nonostante vi troviate spesso davanti a classi numerose, o dobbiate fare i conti con budget sempre più contenuti e aspettative sempre più grandi, continuate a compiere i vostri speciali miracoli con gli studenti. Li istruite, insegnate loro la disciplina, li guidate, li seguite e date loro l' ispirazione per sfruttare appieno il loro potenziale. Oltre alla sociologia insegnate nozioni preziose per i rapporti con gli altri, insegnate l'autostima oltre all'ortografia, il senso civico oltre alle scienze, la tolleranza oltre alla grammatica, e l'entusiasmo per la conoscenza oltre alla maestria nella materia. A seconda delle situazioni vi ritrovate a essere consulenti, amici, surrogati dei genitori, guardiani della disciplina, esperti nel controllo della classe, moderatori esperti di dinamiche di gruppo, specialisti in difficoltà dell'apprendimento, oratori specializzati in motivazione, portatori della fiaccola della cultura e guide, nonché maestri esperti della materia che insegnate. Vi viene chiesto di preparare le vostre lezioni con creatività e dinamismo in modo da mantenere l'attenzione di un gruppo numeroso, ma anche di adottare metodi di insegnamento "su misura" per singoli studenti che presentano una miriade di modi diversi di imparare e difficoltà di apprendimento. Avete scelto la professione che presenta più sfide ma anche quella che offre più soddisfazioni di tutte le altre che esistono o che mai esisteranno. Anche se il vostro lavoro non paga granché in termini di denaro, le gratifiche psicologiche ed emotive sono enormi. Si parla della luce negli occhi di uno studente che ha ritrovato la motivazione per studiare, del sorriso che compare quando un concetto impossibile viene finalmente afferrato, della risata gioiosa di un bambino rifiutato che viene accettato dal gruppo, della gioia di vedere uno studente difficile salire sul palco il giorno della consegna del diploma, dei sorrisi pieni di gratitudine, degli abbracci e dei "grazie" di genitori riconoscenti, di un biglietto di ringraziamento scritto da uno studente "perduto" che invece decide di continuare e di farcela, della soddisfazione interiore che si prova sapendo di aver fatto la differenza, di aver fatto qualcosa che conta e di aver lasciato un segno indelebile per il futuro. Ancora una volta vi preghiamo di considerare questa lettera come un enorme "Grazie!" per tutto quello che avete fatto per così tante persone, per così tanto tempo.
Ospite- Ospite
Motivi d’ansia dei nostri “esperti” e il loro tornaconto.
Motivi d’ansia dei nostri “esperti” e il loro tornaconto.
Sono passati tanti anni, e ancora non si vuole capire che per affrontare l’autismo non occorrono chiacchiere o carta stampata ma si deve procedere come quel ricco contadino, che ridotto al lumicino della vita chiamò intorno a se i figli e disse loro: nel vostro podere è nascosto un gran tesoro. Zappate, scavate, frugate in ogni dove e troverete ciò che vi prometto. Quando fu morto il padre, i figli corsero al campo, zappano, scavano di qua di là la terra in ogni lato ventiquattro ore su ventiquattro, trecentosessantacinque giorni su trecentosessantacinque finché avvenne proprio quello che disse il padre loro; ché, ottenessero dal campo lavorato e dissodato, un gran raccolto che quasi non sapevano dove mettere.
Ben saggio fu il padre nel mostrare che il lavoro da sé solo è un gran tesoro.
Invece noi viviamo come:
Peter Pan e le isole che non ci sono: Scuola, ASL, Riabilitazione, Osservatori e Associazioni.
A tutt’oggi l’ ASL, la Scuola e la Riabilitazione lavorano in piena autonomia, salvo che per un piccolo spazio, per il disbrigo di pratiche formali “non si sa mai” meglio tenere le carte a posto. Mai, insomma, che nessuna parte "superi il confine altrui". Forse non sanno comunicare? Oppure sanno "solo" dire che va tutto bene e che ciascuno ha fatto la propria parte, ma quando si tratta di concretizzare, di costruire insieme, è tanto difficile! Ma è così difficile costruire un raccordo tra le parti? A questo punto ci si chiede: «Chi è che dovrebbe sorvegliare su tutto ciò?»”I vari osservatori e le associazioni”. Invece, l’imperativo è: "Dobbiamo andare avanti!”, ma avanti dove? Dobbiamo davvero "correre ?" Siamo sicuri che sia questa la strategia migliore? Dobbiamo per forza assecondare una società che ci impone la fretta a tutti i costi? Ciò che sembra costituire uno dei principali motivi d’ansia dei nostri “esperti” è quello di fare convegni, vendere montagne di libri e curare il proprio tornaconto, ma miopi quando si tratta di sporcarsi le mani nella realtà per affrontarla. Intorno ai nostri ragazzi niente funziona, ma ”tutti sanno e tacciono”. Purtroppo conosciamo bene la realtà e come stanno veramente le cose. È un "lasciar correre", un "tirare a campare"... E del resto perché complicarsi la vita? Tutti fanno un po' come vogliono, in modo che questa azione funga da contrappeso, e contribuisca a mantenere l’equilibrio che si è venuto a creare. Tutti, evitano di prendere posizione di fronte al dilagare di errori che vedono e sanno riconoscere. Nessuno ha reagito nemmeno quando gli insegnanti curricolari hanno "semplificato" la situazione, trasformando in curricolare il ruolo del sostegno, quando gli alunni con disabilità già erano penalizzati da un monte ore ridotto. Forse non è cattiveria ma pigrizia o malavoglia. - Con furbizia e calcolo - hanno escogitato il modo migliore per diminuire i loro doveri. Anzi, nei confronti di questi alunni si comportano come se gli stessi non facessero parte del gruppo a loro affidato.
Tuttora ogni tanto si assiste, tra quelli che hanno ancora un po’ di coscienza, parlo di quelli nuovi, alle prime armi, quelli che non sono ancora stati "addomesticati" all’andazzo corrente - ad accenni di resistenza, a tentativi di ribellione con l’intento di cambiare qualcosa, ma poi, per non farsi isolare, in genere lasciano perdere. Anche quelli più "resistenti" si arrendono, per non mettersi contro tutti. Anche loro decidono di indossare la maschera dell'indifferenza, conformandosi alla realtà circostante e alle sue pressioni. I buoni risultati per l’integrazione scolastica e sociale non arrivano perché le risorse sono insufficienti, ci dicono, ma non è così: è solo il modo per giustificare la poca voglia o l'incapacità di mettersi in gioco, per accettare una sfida e risolvere innanzitutto la solitudine e il senso di vergogna di tanti ragazzi che "non capiscono", persi in un mondo in cui gli altri "capiscono".
Ma a chi giova tutto ciò? Certo, con questo non pretendo che tutti i dirigenti delle varie istituzioni debbano avere una spina dorsale forte, ma sicuramente sono tra i primi responsabili del diffondersi dei mali che impediscono ai nostri ragazzi di vivere una vita dignitosa. Poveri ragazzi, in che mani siete finiti!
Prego Iddio ogni giorno, per far provare a questi signori un po’ di vergogna, perché solo se la proveranno, capiranno quanto male stanno facendo.
Cordialità, Giuseppe Felaco
Sono passati tanti anni, e ancora non si vuole capire che per affrontare l’autismo non occorrono chiacchiere o carta stampata ma si deve procedere come quel ricco contadino, che ridotto al lumicino della vita chiamò intorno a se i figli e disse loro: nel vostro podere è nascosto un gran tesoro. Zappate, scavate, frugate in ogni dove e troverete ciò che vi prometto. Quando fu morto il padre, i figli corsero al campo, zappano, scavano di qua di là la terra in ogni lato ventiquattro ore su ventiquattro, trecentosessantacinque giorni su trecentosessantacinque finché avvenne proprio quello che disse il padre loro; ché, ottenessero dal campo lavorato e dissodato, un gran raccolto che quasi non sapevano dove mettere.
Ben saggio fu il padre nel mostrare che il lavoro da sé solo è un gran tesoro.
Invece noi viviamo come:
Peter Pan e le isole che non ci sono: Scuola, ASL, Riabilitazione, Osservatori e Associazioni.
A tutt’oggi l’ ASL, la Scuola e la Riabilitazione lavorano in piena autonomia, salvo che per un piccolo spazio, per il disbrigo di pratiche formali “non si sa mai” meglio tenere le carte a posto. Mai, insomma, che nessuna parte "superi il confine altrui". Forse non sanno comunicare? Oppure sanno "solo" dire che va tutto bene e che ciascuno ha fatto la propria parte, ma quando si tratta di concretizzare, di costruire insieme, è tanto difficile! Ma è così difficile costruire un raccordo tra le parti? A questo punto ci si chiede: «Chi è che dovrebbe sorvegliare su tutto ciò?»”I vari osservatori e le associazioni”. Invece, l’imperativo è: "Dobbiamo andare avanti!”, ma avanti dove? Dobbiamo davvero "correre ?" Siamo sicuri che sia questa la strategia migliore? Dobbiamo per forza assecondare una società che ci impone la fretta a tutti i costi? Ciò che sembra costituire uno dei principali motivi d’ansia dei nostri “esperti” è quello di fare convegni, vendere montagne di libri e curare il proprio tornaconto, ma miopi quando si tratta di sporcarsi le mani nella realtà per affrontarla. Intorno ai nostri ragazzi niente funziona, ma ”tutti sanno e tacciono”. Purtroppo conosciamo bene la realtà e come stanno veramente le cose. È un "lasciar correre", un "tirare a campare"... E del resto perché complicarsi la vita? Tutti fanno un po' come vogliono, in modo che questa azione funga da contrappeso, e contribuisca a mantenere l’equilibrio che si è venuto a creare. Tutti, evitano di prendere posizione di fronte al dilagare di errori che vedono e sanno riconoscere. Nessuno ha reagito nemmeno quando gli insegnanti curricolari hanno "semplificato" la situazione, trasformando in curricolare il ruolo del sostegno, quando gli alunni con disabilità già erano penalizzati da un monte ore ridotto. Forse non è cattiveria ma pigrizia o malavoglia. - Con furbizia e calcolo - hanno escogitato il modo migliore per diminuire i loro doveri. Anzi, nei confronti di questi alunni si comportano come se gli stessi non facessero parte del gruppo a loro affidato.
Tuttora ogni tanto si assiste, tra quelli che hanno ancora un po’ di coscienza, parlo di quelli nuovi, alle prime armi, quelli che non sono ancora stati "addomesticati" all’andazzo corrente - ad accenni di resistenza, a tentativi di ribellione con l’intento di cambiare qualcosa, ma poi, per non farsi isolare, in genere lasciano perdere. Anche quelli più "resistenti" si arrendono, per non mettersi contro tutti. Anche loro decidono di indossare la maschera dell'indifferenza, conformandosi alla realtà circostante e alle sue pressioni. I buoni risultati per l’integrazione scolastica e sociale non arrivano perché le risorse sono insufficienti, ci dicono, ma non è così: è solo il modo per giustificare la poca voglia o l'incapacità di mettersi in gioco, per accettare una sfida e risolvere innanzitutto la solitudine e il senso di vergogna di tanti ragazzi che "non capiscono", persi in un mondo in cui gli altri "capiscono".
Ma a chi giova tutto ciò? Certo, con questo non pretendo che tutti i dirigenti delle varie istituzioni debbano avere una spina dorsale forte, ma sicuramente sono tra i primi responsabili del diffondersi dei mali che impediscono ai nostri ragazzi di vivere una vita dignitosa. Poveri ragazzi, in che mani siete finiti!
Prego Iddio ogni giorno, per far provare a questi signori un po’ di vergogna, perché solo se la proveranno, capiranno quanto male stanno facendo.
Cordialità, Giuseppe Felaco
Ospite- Ospite
Autismo: tutti esperti o tutti ciarlatani?
Le alterazioni riscontrate nel sistema nervoso centrale, se da un lato confermano definitivamente l’origine neuro-biologica dell’Autismo, dall’altro non danno adito per ora a speranze di terapie mediche rivolte a curarne le cause ne esiste un farmaco che sia in grado di curare. Nonostante ciò, miriadi di organizzazioni invitano a partecipare a congressi, convegni, seminari e tavole rotonde in qualsiasi parte del territorio. In molti casi sono reti ben preparate e calate nel posto "giusto" per validare nuovi santoni e mercanti di fumo come: i venditori di libri e di ricette "miracolose". Come aiutare i giovani genitori, dall'insidia delle sirene che promettono di guarire, di recuperare, di normalizzare i bambini autistici? Ancora più forte è il richiamo se è fatto da genitori che mostrano i loro figli come prove di efficacia. Quanto più sono grandi i miracoli promessi, tanto più i genitori sono attratti dai ciarlatani.
"Attenzione" a non caderci!
Dimenticavo: prima di far vedere il bambino fatti mostrare il tesserino, ti assicuro che ne vedrai di tutti i colori.
"Attenzione" a non caderci!
Dimenticavo: prima di far vedere il bambino fatti mostrare il tesserino, ti assicuro che ne vedrai di tutti i colori.
Ultima modifica di Giuseppe Felaco il Mar Dic 29, 2009 7:27 pm - modificato 1 volta.
Ospite- Ospite
Re: Riflessioni di un genitore sull'autismo
Guardarsi dai ciarlatani venditori di fumo è un conto; negare l'esistenza di progressi e conquiste nel campo delle cure di una patologia e ammantare tutto di uno scetticismo altrettanto dannoso e distruttivo verso i genitori, è un altro conto. Così come è altresì denigratorio ed offensivo verso genitori che hanno combattuto e vinto una battaglia, anzi, una guerra, per i propri figli, negare che esistano, o accusarli di prestarsi a fornire prove di un'efficacia che -evidentemente- viene messa in dubbio.
Spero che chi scrive determinate affermazioni sia documentato non solo in tema di ciarlatanerie (che certamente esistono, e siamo tutti d'accordo) ma anche in tema di progessi terapeutici veri e indiscutibili. Se così non fosse, allora siamo davanti all'ennesimo episodio di "afferra la clava e spacca tutto", che non aiuta nessuno, se non, forse, chi vuole sentirsi un po' meglio dopo non aver risolto nulla nella sua vita di genitore o in una carriera di terapista.
Se invece si tratta solo di un opinionista (vero, non genitore-parte in causa mascherato da opinionista, o terapista senza successi mascherato da opinionista), l'invito è a documentarsi meglio prima di imbracciare la metaforica "clava" con la quale spaccare tutto, tra cose false (che è giusto denunciare e criticare) e cose vere (che non è giusto distruggere anche solo verbalmente).
Il tutto per essere concretamnte costruttivi e contribuire con onestà mentale ad arricchire un forum che dovrebbe essere luogo di confronto e di informazione, e non solo di denigrazione a 360 gradi.
Ciò premesso, mi limiterei -per il momento- a far presente che l'accertamento ormai (finalmente) riconosciuto di alterazioni neurobiologiche in una determinata patologia, non è sinonimo di intrattabilità di tale patologia. Con questo non si vuole di contro affermare che esista il farmaco che curi l'autismo, ma considerata la complessità e molteplicità di cause che possono sostenere una sindrome autistica, riuscire a combatterne e neutralizzarne alcune, è già un passo avanti.
Congressi, convegni, seminari e tavole rotonde sul tema, come tutto ciò che esiste nel mondo (compresi gli uomini) possono essere inutili, noiosi, dispersivi, speculativi, in malafede, ma anche utili e costruttivi. Ho partecipato a tante di queste manifestazioni, e posso affermare che in alcune ho provato la netta sensazione di trovarmi di fronte a ciarlatani venditori di fumo (pienamente in accordo con il signor Felaco), in altre ho avuto invece la possibilità di imparare e capire altre cose utili e degne di essere state ascoltate.
Beh, un po' come nei forum: alcuni interventi grondano inutilità e stupidità da tutti i pori, altri sono interessanti e costruttivi, e non per questo possiamo affermare che in un forum si trovino solo venditori di fumo e ciarlatani.
Massimo Borghese
Spero che chi scrive determinate affermazioni sia documentato non solo in tema di ciarlatanerie (che certamente esistono, e siamo tutti d'accordo) ma anche in tema di progessi terapeutici veri e indiscutibili. Se così non fosse, allora siamo davanti all'ennesimo episodio di "afferra la clava e spacca tutto", che non aiuta nessuno, se non, forse, chi vuole sentirsi un po' meglio dopo non aver risolto nulla nella sua vita di genitore o in una carriera di terapista.
Se invece si tratta solo di un opinionista (vero, non genitore-parte in causa mascherato da opinionista, o terapista senza successi mascherato da opinionista), l'invito è a documentarsi meglio prima di imbracciare la metaforica "clava" con la quale spaccare tutto, tra cose false (che è giusto denunciare e criticare) e cose vere (che non è giusto distruggere anche solo verbalmente).
Il tutto per essere concretamnte costruttivi e contribuire con onestà mentale ad arricchire un forum che dovrebbe essere luogo di confronto e di informazione, e non solo di denigrazione a 360 gradi.
Ciò premesso, mi limiterei -per il momento- a far presente che l'accertamento ormai (finalmente) riconosciuto di alterazioni neurobiologiche in una determinata patologia, non è sinonimo di intrattabilità di tale patologia. Con questo non si vuole di contro affermare che esista il farmaco che curi l'autismo, ma considerata la complessità e molteplicità di cause che possono sostenere una sindrome autistica, riuscire a combatterne e neutralizzarne alcune, è già un passo avanti.
Congressi, convegni, seminari e tavole rotonde sul tema, come tutto ciò che esiste nel mondo (compresi gli uomini) possono essere inutili, noiosi, dispersivi, speculativi, in malafede, ma anche utili e costruttivi. Ho partecipato a tante di queste manifestazioni, e posso affermare che in alcune ho provato la netta sensazione di trovarmi di fronte a ciarlatani venditori di fumo (pienamente in accordo con il signor Felaco), in altre ho avuto invece la possibilità di imparare e capire altre cose utili e degne di essere state ascoltate.
Beh, un po' come nei forum: alcuni interventi grondano inutilità e stupidità da tutti i pori, altri sono interessanti e costruttivi, e non per questo possiamo affermare che in un forum si trovino solo venditori di fumo e ciarlatani.
Massimo Borghese
Re: Riflessioni di un genitore sull'autismo
Se le alterazioni riscontrate nel sistema nervoso centrale, confermano definitivamente l’origine neuro-biologica dell’Autismo
Domanda:
Occorre la specializzazione di neurobiologo?
Solo
palliativo [pal-lia-tì-vo] s.m.
1 Farmaco, cura che attenua i sintomi di una malattia ma non ne rimuove la causa
2 fig. Rimedio apparente e temporaneo, adottato per fronteggiare un problema, ma inadeguato a risolverlo definitivamente
Domanda:
Occorre la specializzazione di neurobiologo?
Solo
palliativo [pal-lia-tì-vo] s.m.
1 Farmaco, cura che attenua i sintomi di una malattia ma non ne rimuove la causa
2 fig. Rimedio apparente e temporaneo, adottato per fronteggiare un problema, ma inadeguato a risolverlo definitivamente
Ospite- Ospite
Autismo: riflessioni di un genitore
Se le alterazioni riscontrate nel sistema nervoso centrale, confermano definitivamente l’origine neuro-biologica dell’Autismo,occorre la specializzazione di neurobiologo?
I bambini autistici sono pazienti o clienti ?
"Paziente". Il termine deriva dal latino patiens, il participio passato del verbo deponente pati, intendendo "sofferente" o "che sopporta". Oggi il termine paziente è sostituito dalla parola "cliente".
Nel linguaggio contrattuale è Cliente o Committente chi richiede prestazioni, prodotti e servizi a fronte di un contratto che preveda obbligazioni reciproche ad un fornitore in cambio di corrispettivi economici. Ma nel nostro caso nessun fornitore dirà mai che il suo intervento è solo un:
palliativo [pal-lia-tì-vo] s.m.
1) Farmaco, cura che attenua i sintomi di una malattia, ma non ne rimuove la causa.
2) Rimedio apparente e temporaneo, adottato per fronteggiare un problema ma inadeguato a risolverlo definitivamente.
Abbiamo di fronte sofisti o specialisti ?
Anticamente il termine sophistés (sapiente) era sinonimo di sophos (saggio) e si riferiva a un uomo esperto conoscitore di tecniche particolari e dotato di un'ampia cultura. Si chiamarono sofisti quegli intellettuali che facevano professione di sapienza e la insegnavano dietro compenso. I sofisti furono così bollati come falsi sapienti, interessati al successo e ai soldi, più che alla verità. Attualmente, il termine mantiene anche nel linguaggio corrente un carattere negativo: con "sofismi” si intendono discorsi ingannevoli e basati sulla semplice forza retorica delle argomentazioni.
"Attenzione" a non caderci!
I bambini autistici sono pazienti o clienti ?
"Paziente". Il termine deriva dal latino patiens, il participio passato del verbo deponente pati, intendendo "sofferente" o "che sopporta". Oggi il termine paziente è sostituito dalla parola "cliente".
Nel linguaggio contrattuale è Cliente o Committente chi richiede prestazioni, prodotti e servizi a fronte di un contratto che preveda obbligazioni reciproche ad un fornitore in cambio di corrispettivi economici. Ma nel nostro caso nessun fornitore dirà mai che il suo intervento è solo un:
palliativo [pal-lia-tì-vo] s.m.
1) Farmaco, cura che attenua i sintomi di una malattia, ma non ne rimuove la causa.
2) Rimedio apparente e temporaneo, adottato per fronteggiare un problema ma inadeguato a risolverlo definitivamente.
Abbiamo di fronte sofisti o specialisti ?
Anticamente il termine sophistés (sapiente) era sinonimo di sophos (saggio) e si riferiva a un uomo esperto conoscitore di tecniche particolari e dotato di un'ampia cultura. Si chiamarono sofisti quegli intellettuali che facevano professione di sapienza e la insegnavano dietro compenso. I sofisti furono così bollati come falsi sapienti, interessati al successo e ai soldi, più che alla verità. Attualmente, il termine mantiene anche nel linguaggio corrente un carattere negativo: con "sofismi” si intendono discorsi ingannevoli e basati sulla semplice forza retorica delle argomentazioni.
"Attenzione" a non caderci!
Ospite- Ospite
Autismo: quali sono gli handicap che non mi consentono di affrontare la disabilità?
Quali sono gli handicap che non mi consentono di affrontare la disabilità?
(di Giuseppe Felaco*)
È questo il quesito che - secondo l'autore della presente riflessione - dovrebbe porsi continuamente chi tratta, a qualsiasi titolo, la disabilità, se veramente intende farlo in modo proficuo per sé e per le persone con disabilità. Un quesito presentato in modo provocatorio, ma quanto meno necessario, vedendo che da trent'anni - nonostante le leggi, i convegni, le petizioni e le varie analisi proposte da più parti - l'ASL, la Scuola e la Riabilitazione continuano a lavorare in piena autonomia tra di loro.
Ma a che serve fare tante petizioni e una serie di inutili convegni sull'integrazione e l'inclusione scolastica degli alunni con disabilità, quando non si riesce da trent'anni a far sì che le ASL, la Scuola e la Riabilitazione cessino di lavorare in piena autonomia?
Tutti sanno e tacciono. Non vogliono rompere quell’equilibrio che si è venuto a creare. Non vogliono complicarsi la vita. E così, con il loro agire, non producono niente di buono e per amore del vivere in pace, evitano di prendere posizione di fronte al dilagare di errori che vedono e sanno riconoscere. La loro azione si limita a mantenere in piedi questo "castello di carta", pur di tutelare il proprio tornaconto.
Chiaramente - ci tengo a ribadirlo - il raccordo tra le parti - ASL, Scuola e Riabilitazione, appunto - sarebbe una condizione indispensabile, come indica anche la legislazione ormai da un paio di decenni, ma, a quanto pare, tutti preferiscono disimpegnarsi da tale progetto. Che sia perché si prevede un maggiore/diverso impegno o perché esso è innovativo rispetto al passato?
Il fatto è che queste sono le condizioni necessarie per migliorare e risolvere innanzitutto la solitudine e il senso di vergogna di tanti ragazzi che "non capiscono", persi in un mondo in cui gli altri "capiscono". Di modi non ce ne sono altri.
E la verità è che chiunque a qualsiasi titolo tratti l’handicap, se veramente intende farlo in modo proficuo per sé e per i soggetti portatori, deve continuamente porsi la seguente domanda: quali sono i miei handicap che non mi consentono di affrontare al meglio la questione della disabilità?
(di Giuseppe Felaco*)
È questo il quesito che - secondo l'autore della presente riflessione - dovrebbe porsi continuamente chi tratta, a qualsiasi titolo, la disabilità, se veramente intende farlo in modo proficuo per sé e per le persone con disabilità. Un quesito presentato in modo provocatorio, ma quanto meno necessario, vedendo che da trent'anni - nonostante le leggi, i convegni, le petizioni e le varie analisi proposte da più parti - l'ASL, la Scuola e la Riabilitazione continuano a lavorare in piena autonomia tra di loro.
Ma a che serve fare tante petizioni e una serie di inutili convegni sull'integrazione e l'inclusione scolastica degli alunni con disabilità, quando non si riesce da trent'anni a far sì che le ASL, la Scuola e la Riabilitazione cessino di lavorare in piena autonomia?
Tutti sanno e tacciono. Non vogliono rompere quell’equilibrio che si è venuto a creare. Non vogliono complicarsi la vita. E così, con il loro agire, non producono niente di buono e per amore del vivere in pace, evitano di prendere posizione di fronte al dilagare di errori che vedono e sanno riconoscere. La loro azione si limita a mantenere in piedi questo "castello di carta", pur di tutelare il proprio tornaconto.
Chiaramente - ci tengo a ribadirlo - il raccordo tra le parti - ASL, Scuola e Riabilitazione, appunto - sarebbe una condizione indispensabile, come indica anche la legislazione ormai da un paio di decenni, ma, a quanto pare, tutti preferiscono disimpegnarsi da tale progetto. Che sia perché si prevede un maggiore/diverso impegno o perché esso è innovativo rispetto al passato?
Il fatto è che queste sono le condizioni necessarie per migliorare e risolvere innanzitutto la solitudine e il senso di vergogna di tanti ragazzi che "non capiscono", persi in un mondo in cui gli altri "capiscono". Di modi non ce ne sono altri.
E la verità è che chiunque a qualsiasi titolo tratti l’handicap, se veramente intende farlo in modo proficuo per sé e per i soggetti portatori, deve continuamente porsi la seguente domanda: quali sono i miei handicap che non mi consentono di affrontare al meglio la questione della disabilità?
Ospite- Ospite
Re: Riflessioni di un genitore sull'autismo
AUTISMO: TUTTI SPECIALISTI O TUTTI CIARLATANI?
Pubblicato da Autismo Incazziamoci su 6 Gennaio 2010
Le alterazioni riscontrate nel sistema nervoso centrale, se da un lato confermano definitivamente l’origine neuro-biologica dell’Autismo, dall’altro non danno adito per ora a speranze di terapie mediche rivolte a curarne le cause ne esiste un farmaco che sia in grado di curare.
Nonostante ciò, miriadi di organizzazioni invitano a partecipare a congressi, convegni, seminari e tavole rotonde in qualsiasi parte del territorio. In molti casi sono reti ben preparate e calate nel posto “giusto” per validare nuovi santoni e mercanti di fumo come: i venditori di libri e di ricette “miracolose”. Come aiutare i giovani genitori, dall’insidia delle sirene che promettono di guarire, di recuperare, di normalizzare i bambini autistici? Ancora più forte è il richiamo se è fatto da genitori che mostrano i loro figli come prove di efficacia. Quanto più sono grandi i miracoli promessi, tanto più i genitori sono attratti dai ciarlatani.
Se le alterazioni riscontrate nel sistema nervoso centrale, confermano definitivamente l’origine neuro-biologica dell’Autismo,occorre la specializzazione di neurobiologo? oppure, va bene qualsiasi specializzazione, come attualmente accade?
Autismo: pazienti o clienti ?
“Paziente”. Il termine deriva dal latino patiens, il participio passato del verbo deponente pati, intendendo “sofferente” o “che sopporta”. Oggi il termine paziente è sostituito dalla parola “cliente”.
Nel linguaggio contrattuale è Cliente o Committente chi richiede prestazioni, prodotti e servizi a fronte di un contratto che preveda obbligazioni reciproche ad un fornitore in cambio di corrispettivi economici. Ma nel nostro caso nessun fornitore dirà mai che il suo intervento è solo un:
palliativo [pal-lia-tì-vo] s.m.
1) Farmaco, cura che attenua i sintomi di una malattia, ma non ne rimuove la causa.
2) Rimedio apparente e temporaneo, adottato per fronteggiare un problema ma inadeguato a risolverlo definitivamente.
Abbiamo di fronte sofisti o specialisti ?
Anticamente il termine sophistés (sapiente) era sinonimo di sophos (saggio) e si riferiva a un uomo esperto conoscitore di tecniche particolari e dotato di un’ampia cultura. Si chiamarono sofisti quegli intellettuali che facevano professione di sapienza e la insegnavano dietro compenso. I sofisti furono così bollati come falsi sapienti, interessati al successo e ai soldi, più che alla verità. Attualmente, il termine mantiene anche nel linguaggio corrente un carattere negativo: con “sofismi” si intendono discorsi ingannevoli e basati sulla semplice forza retorica delle argomentazioni.
“Attenzione” a non caderci!
Dimenticavo: prima di far vedere il bambino fatti mostrare il tesserino, ti assicuro che ne vedrai di tutti i colori.
Pubblicato da Autismo Incazziamoci su 6 Gennaio 2010
Le alterazioni riscontrate nel sistema nervoso centrale, se da un lato confermano definitivamente l’origine neuro-biologica dell’Autismo, dall’altro non danno adito per ora a speranze di terapie mediche rivolte a curarne le cause ne esiste un farmaco che sia in grado di curare.
Nonostante ciò, miriadi di organizzazioni invitano a partecipare a congressi, convegni, seminari e tavole rotonde in qualsiasi parte del territorio. In molti casi sono reti ben preparate e calate nel posto “giusto” per validare nuovi santoni e mercanti di fumo come: i venditori di libri e di ricette “miracolose”. Come aiutare i giovani genitori, dall’insidia delle sirene che promettono di guarire, di recuperare, di normalizzare i bambini autistici? Ancora più forte è il richiamo se è fatto da genitori che mostrano i loro figli come prove di efficacia. Quanto più sono grandi i miracoli promessi, tanto più i genitori sono attratti dai ciarlatani.
Se le alterazioni riscontrate nel sistema nervoso centrale, confermano definitivamente l’origine neuro-biologica dell’Autismo,occorre la specializzazione di neurobiologo? oppure, va bene qualsiasi specializzazione, come attualmente accade?
Autismo: pazienti o clienti ?
“Paziente”. Il termine deriva dal latino patiens, il participio passato del verbo deponente pati, intendendo “sofferente” o “che sopporta”. Oggi il termine paziente è sostituito dalla parola “cliente”.
Nel linguaggio contrattuale è Cliente o Committente chi richiede prestazioni, prodotti e servizi a fronte di un contratto che preveda obbligazioni reciproche ad un fornitore in cambio di corrispettivi economici. Ma nel nostro caso nessun fornitore dirà mai che il suo intervento è solo un:
palliativo [pal-lia-tì-vo] s.m.
1) Farmaco, cura che attenua i sintomi di una malattia, ma non ne rimuove la causa.
2) Rimedio apparente e temporaneo, adottato per fronteggiare un problema ma inadeguato a risolverlo definitivamente.
Abbiamo di fronte sofisti o specialisti ?
Anticamente il termine sophistés (sapiente) era sinonimo di sophos (saggio) e si riferiva a un uomo esperto conoscitore di tecniche particolari e dotato di un’ampia cultura. Si chiamarono sofisti quegli intellettuali che facevano professione di sapienza e la insegnavano dietro compenso. I sofisti furono così bollati come falsi sapienti, interessati al successo e ai soldi, più che alla verità. Attualmente, il termine mantiene anche nel linguaggio corrente un carattere negativo: con “sofismi” si intendono discorsi ingannevoli e basati sulla semplice forza retorica delle argomentazioni.
“Attenzione” a non caderci!
Dimenticavo: prima di far vedere il bambino fatti mostrare il tesserino, ti assicuro che ne vedrai di tutti i colori.
Ospite- Ospite
Riflessioni di un genitore sull'autismo
Il conflitto fra ciò che una persona pensa di essere e ciò che è in realtà, il sostenere la maschera di ciò che si vorrebbe essere, comprare una faccia che non si ha, a lungo andare può riflettersi in una malattia. A questo punto bisogna operare una scelta: abbandonare la maschera, con il rischio di essere rifiutati e disprezzati, pur di vivere la vita manifestando chi si è veramente o vivere la vita al riparo di una maschera per poi scoprire nell'ultimo giorno della propria vita di non aver vissuto. Ogni posizione del cursore corpo-mente ha il suo prezzo e i suoi vantaggi. Dal momento in cui l'individuo entra nella vita, deve fare i conti non solo con le esigenze personali, ma con la realtà circostante e le sue pressioni. Diventa necessario costruirsi un Io, un’identità, un centro di coscienza che, al fine di coordinare queste esigenze, produca una rappresentazione di sé. Normalmente il bisogno di integrazione, nella propria cultura, prevale su quello di essere chi si è veramente e il processo prosegue fino a un punto critico nel quale chi si pensa di essere è così distante da chi si è veramente che per una svolta diventa necessaria, per non ammalarsi.
Ospite- Ospite
Re: Riflessioni di un genitore sull'autismo
BAMBINI AUTISTICI = UN POZZO DI SOLDI PER TANTI "PROFESSIONISTI"
Ospite- Ospite
Re: Riflessioni di un genitore sull'autismo
come in tutti campi, signor Giuseppe, ci possono essere professionisti SERI e altri meno ...
gli utenti che scrivono su questo forum, credo (non posso usare il verbo SO perchè molti utenti li conosco solo "virtualmente" ) che mettano serietà, passione e onestà. già per il fatto che vogliano documentarsi, scambiare esperienzie e dubbi.
Adesso parlo in prima persona :
io ad esempio ci metto passione e tempo libero (ore passate davanti al pc per spulciare siti , notizie e altro da inserire nel forum) ... ma mi anima la passione e l'amore per questo lavoro che HO SCELTO e che AMO fare.
Non può , per una volta, concordare con me ... che non tutti "mirano" a lucrare sulle malattie, ma sono animate da tutt'altro desiderio?
gli utenti che scrivono su questo forum, credo (non posso usare il verbo SO perchè molti utenti li conosco solo "virtualmente" ) che mettano serietà, passione e onestà. già per il fatto che vogliano documentarsi, scambiare esperienzie e dubbi.
Adesso parlo in prima persona :
io ad esempio ci metto passione e tempo libero (ore passate davanti al pc per spulciare siti , notizie e altro da inserire nel forum) ... ma mi anima la passione e l'amore per questo lavoro che HO SCELTO e che AMO fare.
Non può , per una volta, concordare con me ... che non tutti "mirano" a lucrare sulle malattie, ma sono animate da tutt'altro desiderio?
Re: Riflessioni di un genitore sull'autismo
Non può , per una volta, concordare con me ... che non tutti "mirano" a lucrare sulle malattie, ma sono animate da tutt'altro desiderio?
Sicuramente ci sarà qualcuno e si potrà definire santo o eroe.
Cordialità e buona notte, Giuseppe
Ospite- Ospite
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