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Articoli del dottor Borghese sull'Autismo

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Articoli del dottor Borghese sull'Autismo Empty Re: Articoli del dottor Borghese sull'Autismo

Messaggio Da mborghese Dom Ott 18, 2009 1:02 am

Comincio a presentare gli aspetti salienti del mio lavoro sull'autismo, riproponendo in questo forum, un articolo scritto circa un anno fa su una rivista medica di stampo prevalentemente pediatrico.
Il titolo dell'articolo era:

L'EPIDEMIA AUTISMO

Parlare di autismo in questi primi anni del terzo millennio, è parlare di un’epidemia.
I dati numerici relativi all’incremento di tale patologia sono in continuo aumento, e con una crescita tale da superare le peggiori previsioni ed i numeri che hanno caratterizzato le classiche epidemie.
Se fino agli anni ottanta si contavano 3-5 casi su 10.000, oggi si può affermare che un bambino su 155 nati, sviluppa sintomi rientranti nello spettro autistico. E non è neppure il caso di ripiegare sulla vecchia e superata considerazione secondo la quale rispetto a un tempo si formulano più diagnosi, ed un numero inferiore di casi sfugge pertanto all’osservazione, dal momento che negli anni ottanta e novanta si tendeva addirittura ad abusare della parola autismo anche in presenza di sintomi non effettivamente definibili tali.

“Autismi” più che “autismo”.
La molteplicità di cause e di fattori predisponenti e scatenanti, dovrebbe inoltre portarci a parlare di “autismi” più che di “autismo”, considerata l’ampiezza di campo in cui si va a spaziare quando si elencano le possibili origini di tale patologia, che possono essere genetiche, metaboliche, infettive, allergiche, tossiche, alimentari, neurologiche classiche… ma il tutto inquadrato in una visione non orizzontale e paritaria, dove la presenza di una componente esclude l’altra, bensì in una griglia complessa dove, con variabili da caso a caso, l’elemento che per un soggetto autistico può definirsi predisponente, in un altro può essere scatenante, e viceversa; secondo una visione paragonabile a numerose e differenti catene i cui anelli sono disposti in sequenze e modalità di rapporto diverse se non da caso a caso, da gruppi di casi a gruppi di casi, comunque ciascuno con le proprie irripetibili individualità.
Abbandonate finalmente le ipotesi di tipo psicologico, almeno da parte di coloro i quali si sono dedicati scientificamente allo studio di questa patologia, il vastissimo capitolo delle cause della sindrome autistica resta tuttora aperto in molte direzioni, considerato che da numerosi campi della scienza medica giungono flussi continui di informazioni che stanno contribuendo a ricostruire -non senza fatica- un puzzle che a mano a mano che si compone, appare sempre più complesso e di difficile organizzazione.

I sintomi dell’autismo.
Ma come di manifesta l’autismo? Quando mostra i suoi primi segni?
Peraltro, come vedremo, sarà importantissimo coglierne tempestivamente i sintomi iniziali, perché le maggiori possibilità di successo terapeutico dipenderanno proprio dalla precocità di intervento rimediativo.
I criteri diagnostici più significativi per la diagnosi di autismo sono riassumibili nei seguenti punti:
- Esordio entro i 30 mesi di età.
- Carenza globale di reattività nei confronti di altre persone, verso le quali il bambino si mostra disinteressato e indifferente.
- Linguaggio assente o fortemente ridotto e alterato.
- Se presenti, forme espressive verbali caratterizzate da ecolalie (ripetizioni delle parole sentite), stereotipie (riproduzioni continue e ossessive delle stesse parole), inversioni di pronomi (parlare per lo più in terza persona), enunciati incomprensibili.
- Reazioni bizzarre a vari aspetti dell’ambiente, come ad esempio resistenza ai cambiamenti,
- Interesse particolare o inusuale attaccamento per oggetti prevalentemente inanimati.
- Aggressività verso se stessi o verso gli altri (non nella totalità dei casi).
- Mancato o inadeguato raggiungimento di altre abilità non verbali, quali le autonomie, i comportamenti sociali, le capacità di adattamento.

La prima grande differenza che oggi si può notare nelle modalità di insorgenza dell’autismo infantile, è quella tra le forme che si manifestano come tali sin dai primi mesi di vita in bambini che non mostrano mai un vero e proprio avvio delle capacità comunicative, espressive e relazionali, e le forme cosiddette “regressive”, caratterizzate cioè da un normale inizio dello sviluppo percettivo, cognitivo, relazionale ed espressivo verbale in bambini che ad un certo momento di tale cammino, nel giro di pochi mesi evidenziano una clamorosa inversione di marcia, perdendo in breve le acquisizioni già raggiunte, e cominciando invece a mostrare atteggiamenti di chiusura comunicativa e relazionale, configurando così in tempi clamorosamente stretti, il quadro clinico dell’autismo.
Fino all’inizio degli anni ottanta, l’incidenza dell’autismo era pari a 3-5 casi ogni 10.000 nascite, con variazioni dipendenti da criteri diagnostici, autori delle ricerche, e posizione geografica. Almeno due terzi dei soggetti con autismo manifestava sin dai primi mesi di vita i sintomi iniziali della sindrome. Meno di un terzo cominciava invece a mostrare regressione nella socialità, nel linguaggio e nel comportamento in un’età compresa tra uno e due anni. Le forme insorgenti come tali erano dunque in leggera prevalenza rispetto a quelle regressive, comunque in un generale andamento epidemiologico costante e non elevato.
Nel periodo 1980-85, l’incidenza dell’autismo è raddoppiata. Nel 1985, i casi di cosiddetto autismo regressivo sono risultati di numero uguale a quelli con manifestazioni evidenti sin dai primi mesi di vita, dando spazio, così, all’ipotesi che ci fosse una condizione acquisita al di là degli errori congeniti e delle condizioni puramente genetiche.
Dagli anni novanta, entrambi i tipi di autismo sono risultati in netto aumento, ma questa volta con forte prevalenza percentuale della forma regressiva, divenuta pari a circa il 75% dell’incidenza totale, comunque cresciuta di 10 volte, fino a raggiungere i 30-35 casi su 10.000, con qualche rapporto locale indicante valori addirittura doppi.

Non è vero che l’autismo è una malattia incurabile.
Uno dei luoghi comuni assolutamente da sfatare è quello che considera l’autismo una malattia incurabile, uno stato patologico dal quale non si esce.
Sono ormai numerosi i casi di “bambini usciti dall’autismo”, di persone definibili “ex autistici”; nonché quelli di soggetti che pur non recuperando completamente tutte le funzioni compromesse, riescono tuttavia a cambiare profondamente le loro caratteristiche di vita relazionale e sociale, conquistando autonomie e capacità che sollevano comunque i genitori dai grandi oneri e preoccupazioni di avere (e un domani lasciare a se stesso) un figlio ingestibile.
Tra i tanti mali che caratterizzano gli effetti della non conoscenza del problema autismo, il più grave è forse la negazione della possibilità di combatterlo.
Ancora oggi, molti sanitari che non si sono aggiornati sulle possibilità di cura e non si sono documentati sui risultati delle terapie di questa affezione, dissuadono i genitori dei bambini autistici dall’intraprendere percorsi terapeutici, perché -erroneamente- considerati inutili.
I maggiori successi nella riabilitazione-abilitazione dei soggetti con autismo si sono avuti quando il percorso terapeutico è stato avviato entro il terzo anno di vita. Ciò fa comprendere come sia necessaria una diagnosi ed una presa in carico curativa precoce, ed è pertanto necessario che tutti i medici (a cominciare dai pediatri) e gli operatori della riabilitazione abbandonino quella dannosissima concezione riconducibile alla frase “è presto per incominciare”, o “è presto per parlare di autismo”. In riabilitazione, come in diagnostica, non esiste un “presto”, la tempestività non è mai un errore, lo è piuttosto il ritardo di avvio di un programma rimediativo.

Quali cure per l’autismo?
Attualmente il panorama mondiale e nazionale dei trattamenti per l’autismo è affollato da molte proposte curative di matrici alquanto diverse. Per chi deve scegliere quale via seguire nell’affrontare un percorso terapeutico in tal senso, l’imbarazzo della scelta è apparentemente forte. In realtà, il consiglio che potrebbe risultare più saggio, è quello di chiedere ai numerosi operatori che propongono il proprio protocollo come il più efficace, di mostrare i risultati del lavoro svolto negli anni. Intantio chiedere: “in quanti anni?”, “da quanti anni operate in prima persona nel settore?” (diffidando di chi ostenta risultati ottenuti da altri nella cui scia o nella cui imitazione si asserisce di lavorare). Verificare quindi, il “prima” e il “dopo” dei bambini trattati. Sono molte le famiglie disposte a raccontare e dimostrare i percorsi effettuati con i propri bambini; prove documentate e testimoniate sono la dimostrazione più efficace per attestare la validità di un protocollo terapeutico e favorire quindi l’orientamento di una scelta da parte di chi deve decidere a chi affidare il proprio bambino con autismo.
Allo stato attuale, e dopo venti anni di esperienza nel settore, noi attuiamo un trattamento di matrice foniatrico-logopedica, partendo dal presupposto che il bambino con autismo è soprattutto (sia pur non esclusivamente) un “bambino che non parla”, e tale considerazione rende imprescindibile la necessità di un intervento che sia innanzitutto foniatrico-logopedico, essendo foniatria e logopedia le discipline che operano nell’ambito della comunicazione e della verbalità.
In tale contesto si lavora, allo stesso tempo, sui versanti percettivo, cognitivo, motorio, comportamentale, con l’apporto di professionisti provenienti dalle aree della psicologia, comportamentologia, neuropsicomotricità, musicoterapia, pedagogia, linguistica, ma tutti operanti nella stessa direzione e in regime di strettissima collaborazione, coordinati dalla figura del foniatra.
All’attività riabilitativa-abilitativa, oggi si affiancano con ormai documentata efficacia, provvedimenti curativi di tipo alimentare-dietetico e biomedico.
Più della metà dei bambini mostra clamorosi miglioramenti di una parte della sintomatologia autistica seguendo una dieta priva di glutine e caseina. Abbiamo precedentemente parlato di “autismi” piuttosto che di “autismo”; infatti in molti casi, gran parte delle manifestazioni comportamentali, dei disturbi del sonno e dell’attenzione, hanno una matrice metabolica. Nell’intestino di molti bambini con sintomi autistici, il glutine e la caseina vengono trasformati in “gluteomorfina” e “caseomorfina”, praticamente due oppioidi, che come tali si comportano poi nel cervello di questi bambini.
Una dieta che escluda l’assunzione di tali sostanze, ed un’adeguata supplementazione di probiotici intestinali e determinate vitamine e sali minerali (in particolare vitamine del gruppo B, zinco e magnesio) ad alto dosaggio, sono in grado di ridurre drasticamente molti sintomi disturbanti ed aggravanti il quadro clinico, rendendo così i bambini più gestibili e di conseguenza più recettivi ai trattamenti educativi-abilitativi.

Prospettive e speranze.
All’aumento esponenziale dei casi di autismo riscontrabili in tutti i paesi industrializzati del mondo, fa riscontro, almeno quando e dove si opera con modalità terapeutiche portatrici di buoni risultati, il raggiungimento di traguardi molto soddisfacenti ed incoraggianti.
Le attuali caratteristiche vincenti di una modalità abilitativa-riabilitativa proponibile nella lotta all’autismo infantile, sono identificabili in questi punti:
- Tempestività di intervento. Non esiste un “presto”: prima si comincia, meglio è.
- Intensività di trattamento: la quantità e la qualità dei risultati è direttamente proporzionale al numero di ore e di giorni di terapia.
- Prevalenza e predominanza del lavoro sulla verbalità e per la verbalità, puntando subito al raggiungimento di abilità linguistiche verbali, essendo il linguaggio verbale la forma comunicativa comunemente e universalmente utilizzata nella nostra società.
- Intervento simultaneo su tutte le aree del profilo comunicativo: percettiva, cognitiva, motoria, comportamentale, senza cadere nell’erronea convinzione che il miglioramento in una di esse sia premessa per i progressi dell’altra.
- Attiva partecipazione della famiglia e della scuola ai programmi abilitativi. Senza ottimi terapisti e terapie non ci si può attendere risultati, però senza la partecipazione costante e coerente di familiari e personale della scuola, anche con i migliori terapisti, ma lasciati a lavorare da soli, non si raggiungono successi.
- Continuo aggiornamento e adeguamento dei protocolli terapeutici, in base ai progressivi risultati ottenuti.
- Necessità di continui confronti, studio e aggiornamenti da parte di medici e riabilitatori che operano nel campo. Non è ammissibile né giustificabile l’ignoranza di ogni nuova scoperta e acquisizione utile per lavorare meglio e offrire di più ai destinatari di un lavoro così importante e delicato. Ne consegue la necessità di revisionare continuamente lo stato di preparazione e aggiornamento del personale chiamato ad operare, confermando nel corso di costanti revisioni, solo gli elementi che si dimostrino sempre all’altezza della situazione.

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Messaggio Da mborghese Dom Ott 18, 2009 1:07 am

L'altro settore della foniatria in cui lavoro con altrettanto grande interesse, è quello della voce.
In un forum di insegnanti di sostegno, mi sembra opportuno soffermarmi innanzitutto sulla voce del bambino, per cui anche in questo caso propongo un articolo che scrissi su una rivista pediatrica:

La voce del bambino tra normalità e patologia

Uno dei quesiti di non rara comparsa nella pratica clinica foniatrica così come nell’insegnamento della voce cantata e recitata, riguarda le possibilità di lavorare sulla vocalità di un bambino senza rischiare di provocare danno alle sue funzioni e di conseguenza alla sue corde vocali.
I non esperti in materia, ma comunque pretenziosi di esprimersi sull’argomento senza conoscerlo realmente, forniscono risposte che spaziano dall’estremo permissivismo all’estremo proibizionismo.
Praticamente ci si sente rispondere che si può cantare impunemente a tutte le età “anche perchè in un bambino non possono esserci danni alle corde vocali”, o che “è meglio non fare lezioni di canto prima di una certa età per non provocare danni”.
Entrambe le posizioni sono contestabili.
La prima, perché non è vero che le corde vocali di un bambino non possono danneggiarsi (soprattutto se la voce viene utilizzata male); la seconda perché comunque un bambino può essere naturalmente portato a cantare o a gridare, per cui tanto vale farglielo fare bene e secondo modalità corrette, piuttosto che esporlo incoscientemente alle conseguenze dannose di un uso inappropriato delle funzioni e delle strutture vocali.
Un bambino può dunque cantare senza provocarsi danno?
Sì, perché si può cantare a tutte le età, ma rispettando determinate norme.
L’educazione al canto può e deve avvenire anche nell’infanzia.
Come a tutte le età, occorre che vi sia una buona e corretta respirazione alla base della fonazione, e le due funzioni devono essere coordinate.
L’ideale sarebbe che si provveda all’impostazione iniziale di questi parametri. Servirebbe anche ad impostare - in senso fisiologico, prevenendo così anche la patologia - le voci dei bambini.
C’è poi il problema dei limiti tonali in cui un bambino può cantare.
Il range di note all’interno del quale si può cantare senza rischiare danni, è compreso:

- nell’età della scuola materna: tra Re4 e La4
- tra 7 e 10 anni: tra Fa3 e Fa4
- a 11-12 anni: tra Do3 e Fa4
- a 13-14 anni: tra Mi2 e Re4

Queste sono indicazioni orientative che, tuttavia, se venissero rese note ai maestri di canto (veri? improvvisati?) che nelle scuole e altrove fanno cantare i bambini, potrebbero servire a prevenire un bel po’ di danni e consentirebbero un corretto avvio al canto già in età evolutiva.
Per una maggiore conoscenza dell’argomento, nonché per rendere conto di alcune differenze esistenti tra il bambino e l’adulto anche nello sviluppare un danno cordale, richiamiamo alcuni principi di anatomia delle corde vocali:
Nel bambino:
• La sottomucosa è particolarmente imbibita di liquidi, per cui i traumi contusivi provocano più facilmente danni estesi.
• Le pareti capillari sono meno resistenti.
• Il legamento vocale (ossia la lamina elastica che si trova all’interno della corda) diventa visibile fra prima e seconda infanzia (circa 7 anni), funzionante non prima dell’adolescenza, per cui un trauma cordale non si circoscrive solo in punto della corda, ma si diffonde più facilmente lungo la sua intera estensione.
Sarà quindi opportuno evidenziare alcune differenze tra voce “urlata” e voce “gridata”, anche per capire quale possa essere il danno maggiore:

VOCE URLATA
• Aumenta la pressione sottoglottica, cioè quella immediatamente al di sotto delle corde vocali prima di emettere il suono ad elevata intensità.
• Si abbassa la laringe.
• Si allunga il vocal tract, cioè l’insieme dei risuonatori.

VOCE GRIDATA
• Aumenta all’origine la tonalità di emissione della voce.
• Mancato abbassamento laringeo.
• Irrigidimento vocal tract.

Naturalmente, delle due situazioni è fisiologica la prima, patologica e dannosa la seconda.
Il buon educatore della voce dovrà impostare le funzioni vocali del bambino ispirandosi a questi criteri e non improvvisando modalità didattiche spesso dannose.
Infine, un riferimento ad un altro fenomeno di cui anche si parla spesso: la muta vocale.
La muta vocale solitamente si realizza nelle femmine tra i 9-10 ed i 14-15 anni, nei maschi tra i 10-11 ed i 17-18 anni.
Alla fine di questo periodo, la laringe nelle ragazze ha raddoppiato le proprie dimensioni rispetto alle misure prepuberali, mentre nei ragazzi le ha quadruplicate.
Le conseguenze funzionali si possono identificare nell’abbassamento di due, tre toni (raramente un’ottava) rispetto alla voce infantile, nelle femmine; di un’ottava e anche più nei maschi.
Rispetto alla produzione vocale cantata dell’infanzia (voce bianca), le principali differenze cominciano a riguardare l’emissione delle tonalità più acute, che possono non essere proprio emesse, oppure risultare stimbrate e meno potenti; successivamente anche le tonalità centrali possono subire lo stesso tipo di cambiamenti.
Durante il periodo della muta non c’è una proibizione assoluta nei confronti del canto, ma occorre avere alcune precauzioni, quali:
• evitare di sforzare troppo la voce
• cantare ben all’interno del range vocale consentito (riferirsi anche ai rilievi emersi dal fonetogramma) evitando di toccare le note di confine (sia in basso che in alto)
• gestire bene l’intensità, preferendo il mezzopiano, meno faticoso degli stessi piano e pianissimo.
Sicuramente non è semplice cercare di dare norme di igiene vocale a ragazzini scalpitanti che vogliono emergere sui propri compagni attraverso grida disumane; desiderosi di esprimersi nei modi più vari; di cantare a squarciagola le canzoni dei cartoni animati preferite, canzoni per altro interpretate non da loro coetanei, ma da adulti che hanno range vocali decisamente diversi dai loro!
L’insegnante, spesso, si trova a far fronte a situazioni, per dirla con un eufemismo, spinose e delicate, anche perché deve, oltre che tenere a bada la naturale voglia degli allievi di recitare-cantare-gridare, scardinare le loro dannose e cattive abitudini vocali, quali parlare spesso, se non sempre, ad alta voce, gridare per attirare l’attenzione, ecc.
Seguire correttamente le indicazioni sopra riportate, è assolutamente necessario per tutti coloro che insegnano ai bambini, sia che si tratti di canto, che di recitazione.
È, inoltre, necessario durante le prime lezioni insegnare ad articolare correttamente le vocali e le consonanti, perché per quanto questa operazione possa sembrare elementare, non lo è affatto, poiché solitamente si vedono bocche “pigre” che si muovono appena mentre pronunciano le parole, invece che aprirsi correttamente secondo i suoni che si stanno pronunciando.
Articolare è già un primo passo nella corretta esecuzione vocale perché porta ad una naturale e non compressa fuoriuscita del suono. I passi successivi sono quelli già menzionati di una corretta impostazione della respirazione; del far parlare, di conseguenza recitare, e cantare in range vocali propri dei bambini; di cercare di indurre come abitudine nei piccoli allievi il non gridare, o quantomeno insegnare loro ad alzare la voce correttamente attraverso giochi, guida all’ascolto di se stessi e degli altri, e simulazioni guidate.
Come in tutte le situazioni, una piena conoscenza dei fenomeni che si affrontano e si sta per gestire, non può che aiutare ad operare bene e ad evitare danni che spesso sono conseguenza dell’improvvisazione, della superficialità e dell’incompetenza.

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Messaggio Da mborghese Dom Ott 18, 2009 9:37 am

Il PRESTO e il TARDI in riabilitazione

In riabilitazione non esiste il “presto”.
Purtroppo, spesso, c’è ancora il “tardi”.
Partiamo da queste due brevi frasi per cercare di capire che cosa di assurdo e dannoso accade ancora in Italia nella gestione terapeutica abilitativa dell’handicap (e chiamiamolo con il suo vero nome, senza penose perifrasi).
Nella maggior parte dei casi, chi si rivolge con un bambino di pochi anni di età, agli operatori -che sarebbe più consono definire “burocrati” delle asl- preposti all’erogazione delle sedute di riabilitazione, si sente rispondere che è ancora “presto” per avviare un trattamento logopedico, e che il bambino deve prima maturare determinate capacità attentive, cognitive, relazionali…
Non a caso non ho specificato con quale tipo di patologia viene avanzata una richiesta di logopedia poi disattesa da chi dovrebbe invece accoglierla. Non l’ho specificato perché la necessità di un intervento tempestivo, direi anche immediato, vale per tutte le situazioni in cui è richiesto un trattamento abilitativo. E’ comprensibile, poi, che tale necessità diventi ancora più pressante se si parla di sordità profonda, di autismo, di paralisi cerebrale.
La situazione di mancata tempestiva erogazione di trattamenti precoci, viene poi ulteriormente aggravata dall’ignoranza in materia di numerosi appartenenti ad altre categorie professionali, primi tra i quali, i pediatri, di cui molti sono i primi a non sapere quanto sia importante agire al più presto per ottenere risultati determinanti per il recupero di un handicap.
Alla base di queste gravi mancanze io vedo la disinformazione, la presunzione (strettamente collegata all’ignoranza), la mancanza di volontà di studiare, aggiornarsi e mettersi costantemente in discussione.
Basterebbe che i pediatri di base, i burocrati delle asl, gli operatori stessi della riabilitazione che vivono esclusivamente per attendere lo stipendio di fine mese, si documentassero su quali sono tutti i campi di azione della logopedia, e su quali brillanti risultati si possono ottenere lavorando precocemente, intensamente, ed in modo competente su qualsiasi tipo di handicap, per veder cambiare significativamente le possibilità di recupero di tanti bambini.
L’assurdo è che al giorno d’oggi, molti preferiscono ancora negare l’esistenza di clamorosi recuperi nel campo dell’autismo e delle paralisi cerebrali, definendo visionari e bugiardi quelli che li ottengono e lo rendono noto, piuttosto che guardarsi intorno e constatare ciò che invece è possibile ottenere operando tempestivamente, alacremente e con professionalità. Ma tutto ciò è scomodo. Scomodo per gli “erogatori” da scrivania e per i pediatri di base, che dovrebbero alzarsi dalle loro poltrone, uscire dagli uffici, ed andare a toccare con mano i successi di chi lavora applicando i criteri di tempestività e competenza; scomodo per i logopedisti e per gli altri terapisti che hanno come obiettivo unico il suddetto stipendio fisso e non certo la qualità del lavoro, il cui incremento comporterebbe anche un aumento di impegno, di sforzi, nonché di aggiornamento. Certamente è più facile trattare il bambino con qualche difetto di pronuncia, o con ritardo al quale non sono state date speranze, piuttosto che rimboccarsi le maniche su una paralisi cerebrale o su un autismo caso mai aggravato anche da comportameti aggressivi…
Per quanto riguarda l’ignoranza su ciò che realmente può essere trattato con la logopedia (ignoranza che mai, comunque, è giustificabile), va detto che ancora oggi la logopedia viene vista -o la si vuole vedere- soltanto come una possibilità di correzione di un linguaggio già esistente, e preferibilmente da realizzare su di un bambino che sia tranquillo e collaborante. E questo è l’errore (in buona parte voluto) più diffuso anche tra gli stessi logopedisti; errore che preclude i maggiori e più importanti recuperi nell’ambito delle patologie più impegnative.
Logopedia non è dunque soltanto un aggiustamento di forme espressive già esistenti.
Un intervento foniatrico- logopedico correttamente inteso e realizzato, comprende una presa in carico globale di un individuo con problemi di comunicazione, laddove con questo termine intendiamo una serie di inadeguatezze riguardanti uno o più di uno tra i lvelli percettivo, cognitivo, comportamentale, motorio- espressivo. Una presa in carico precoce, direi immediata, di un bambino danneggiato in una o più aree di quelle citate, può sortire effetti sorprendentemente brillanti. Una funzione percettiva, cognitiva, motoria… che è stata lesa, alterata, interrotta, ha tante maggiori speranze e possibilità di essere recuperata, quanto più presto, più intensamente e più adeguatamente si interviene per riattivarla e farla rifunzionare nella giusta direzione e nelle corrette modalità. E’ un principio fondamentale di ogni forma di riabilitazione, putroppo ancora disatteso e tradito da tanti indegni operatori del settore.
Infine una nota di speranza anche per i soggetti di età più avanzata, a loro volta vittime di un luogo comune secondo il quale, oltre un certo numero di anni, non è più il caso di intervenire perché non ci sono possibilità di recupero (tra l’altro, a farci caso, quando il bambino è piccolo si dice che “è presto” per cominciare la logopedia; quando è più cresciuto, gliela si rifiuta perché “è tardi”…). Nell’ultimo decennio, infrangendo questo diffuso atteggiamento non interventista, abbiamo aperto le porte della logopedia anche a pazienti di età adolescenziale e adulta, con esiti di paralisi cerebrale e sindromi autistiche. La piacevole sorpresa è stata quella di constatare che, pur non raggiungendo gli stessi brillanti risultati ottenibili con interventi realizzati su bambini di pochi anni di vita, tuttavia nei più cresciuti si riusciva comunque ad attivare funzioni (in alcuni casi anche quella linguistica) che solitamente si davano per irrecuperabili.
Necessiterebbe dunque un più equilibrato atteggiamento prognostico ed interventista da parte di chi opera nella riabilitazione, assumendo una posizione che, lungi dall’essere trionfalmente eccessivamente ottimistica, sia tuttavia più aderente ad una realtà arricchitasi della constatazione di brillanti successi raggiunti da chi, abbandonando atteggiamenti rinunciatari e sedentari, si è rimboccato le maniche dimostrando che lavorando tanto, presto e bene, si possono ottenere risultati che molti ritengono ancora impossibili.

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Messaggio Da mborghese Dom Dic 06, 2009 9:41 am

SI PU0' INTERVENIRE A TUTTE LE ETA' NELL'AUTISMO?

Si può intervenire sempre e a tutte le età nella sindrome autistica.
E’ vero, e i risultati sorprendenti ottenuti in questi ultimi anni grazie soprattutto alla caparbietà ed al coraggio di quei terapisti che, sfidando il pessimismo ed il negativismo di generali atteggiamenti prognostici sfavorevoli, hanno voluto ugualmente tentare di lavorare su soggetti autistici adulti per ottenere nuove e insperate aquisizioni nell’ambito del comportamento, delle autonomie e della verbalità, confermano che esiste sempre un margine di speranza e di operatività, anche quando non sembrano più essercene le premesse.
Tuttavia ritengo necessario cercare di equilibrare gli estremi di questa situazione, dal momento che:
- Pur essendo migliorabili alcune abilità nel soggetto autistico adulto, le differenze tra quanto ottenibile in età avanzata e quanto realizzabile lavorando nei primissimi anni di vita, sono abissali.
- I progressi che scaturiscono con un intervento riabilitativo nell’adulto e nell’adolescente, sono comunque incostanti, cioè non rinvenibili in tutti i casi, e visibili in misure molto diverse da singolo individuo a singolo individuo, mentre nei bambini molto piccoli, l’insuccesso o la scarsità di successo terapeutico sono più rari dei successi.
- L’apertura mentale e gli entusiasmi scaturenti dalle prese in carico tardive, non devono assolutamente far depistare l’attenzione da un problema ancora oggi presente e molto grave: il ritardato avvio di tanti programmi abilitativi, soprattutto di tipo logopedico, ancora nella mentalità di molti considerato procrastinabile e subordinabile al raggiungimento preliminare di altre abilità considerate raggiungibili attraverso altre metodiche riabilitative.
Intervenire su autistici adulti significa iniziare un trattamento logopedico in età adolescenziale o oltre.
Si tratta per lo più di soggetti non verbali, non comunicanti o comunicanti per mezzo di sistemi non verbali, come la scrittura, la scrittura facilitata, o l’uso di immagini mostrate per esprimere, al più, bisogni immediati. Spesso questi pazienti mancano anche di alcune delle autonomie fondamentali, come la capacità di lavarsi o vestirsi del tutto, o mangiare correttamente, o spostarsi senza sorveglianza sia pure in zone circoscritte, ed inoltre hanno comportamenti sociali inadeguati se non anche aggressività ed eccessi di stereotipie motorie o verbali che li rendono comunque socialmente poco adattabili.
Solitamente è plausibile affermare che il mancato raggiungimento di abilità espressive verbali entro termini critici identificabili nei primi quattro-cinque anni di vita, può accompagnarsi ad una prognosi non favorevole per il recupero di tali capacità. E si può anche dire che tale affermazione è corrispondente a verità, almeno per quanto riguarda ritardi mentali, paralisi cerebrali, sordità gravi e profonde non tempestivamente trattate in modo protesico e logopedico entro il primo anno di vita. Sembra invece poter fare eccezione, almeno in alcuni casi, l’autismo, per certi aspetti più grave come tipo di patologia rispetto ad altre, ma caratterizzato in una certa percentuale di soggetti, dal possesso di basi e di competenze linguistiche tali da lasciar intravedere una premessa logica su cui poter operare per il recupero almeno parziale e limitato di possibilità espressive verbali. Si può affermare a questo punto che il vero o il principale impedimento risieda piuttosto nell’impaccio motorio da mancata o fortemente limitata attivazione delle funzioni orali nella loro globalità percettiva, masticatoria, deglutitoria e, naturalmente, articolatoria. Non a caso, infatti, soggetti autistici adulti non verbali risultano anche fortemente inibiti sul piano delle prassie bucco-linguo-facciali, hanno una scarsissima espressività mimica, una forte inadeguatezza delle capacità di masticazione (dieta limitata a pochi cibi che non richiedono particolari trattamenti intraorali), e di deglutizione.
I relativamente recenti successi o comunque risultati incoraggianti ottenuti con tentativi di approccio terapeutico tardivo in autistici adolescenti o adulti mai trattati precedentemente in logopedia, hanno avuto le loro radici innanzitutto in una serie di iniziative finalizzate ad un’attivazione e ad un risveglio delle funzioni orali. Dal massaggio esterno ed interno tendente a (ri)sensibilizzare le capacità percettive, giungendo a configurare una sorta di “fisioterapia passiva” della bocca, all’induzione di prassie bucco-linguo-facciali (per manipolazione diretta e per imitazione), alla realizzazione di esercizi prassici, di masticazione, di deglutizione, di articolazione.
Il tutto senza trascurare un contemporaneo lavoro sui versanti percettivo, cognitivo e relazionale, come da consueto protocollo foniatrico-logopedico contemplante un’azione ad ampio raggio su tutti gli ambiti del profilo comunicativo; ma rispetto all’autistico bambino, la differenza fondamentale sembra essere stata un particolare e più intenso investimento terapeutico sulle funzioni orali.

Massimo Borghese
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Messaggio Da mborghese Dom Dic 06, 2009 9:57 am

Esattamente tre anni fa pubblicai questo breve articolo che, allo stato attuale, posso definire come quello risultato statisticamente più letto, più dibattuto, più frequentemente oggetto di interesse e reazioni emotive.
Nel rileggerlo alla luce di tre anni di ampliate e rinnovate esperienze nel campo della diagnostica e della cura dell'autismo, mi sento di riproporlo e sottoscriverlo appieno.


LA "BOMBA A TEMPO"

L’osservazione nel corso degli anni, di centinaia e centinaia di bambini con autismo, mi ha consentito di rilevare un fenomeno che mi è sembrato comune alla maggior parte dei casi, e che mi sento di definire “una bomba a tempo”.
Mi riferisco a determinati sintomi non presenti nelle prime fasi della malattia, e che invece compaiono, con diverse percentuali di incidenza a seconda dei sintomi stessi, dopo un certo numero di anni, in fasce di età ormai ben definibili, alla luce della ricorrenza quasi puntuale con cui si presentano.
Provando a riassumerli e ad elencarli in base all’epoca di insorgenza, direi che:
- Verso i quattro-cinque anni di età, in quasi i due terzi dei casi, compaiono nuove stereotipie non viste fino a quel momento
- Fra i cinque ed i sette anni, in circa la metà dei bambini compaiono manifestazioni di aggressività verso se stessi e/o verso gli altri
- Entro i nove ed i dieci anni, in poco meno di un terzo dei casi, compaiono manifestazioni convulsive.
Quanto elencato, l’ho rilevato osservando una popolazione disomogenea di bambini, alcuni dei quali presi in carico tempestivamente (cioè nei primi due-tre anni di vita), altri in epoche successive.
Questa diversità potrebbe prestarsi a due considerazioni apparentemente di segno opposto.
Da una parte, infatti, sarebbe ipotizzabile che un’incidenza non elevatissima di insorgenza di sintomi “a scoppi successivi” nel tempo, andrebbe a rapportarsi agli effetti dei provvedimenti terapeutici, ivi compresi quelli biomedici in grado di modificare il “terreno di fondo” del soggetto autistico; dall’altra, invece, si potrebbe affermare che tali sintomi sono come destinati comunque a manifestarsi, visto il loro emergere in periodi alquanto ricorrenti e ormai predefinibili, sia pure nella non totalità dei casi.
Aggiungo -e concludo- che sono stato a lungo incerto e titubante sull’opportunità di rendere pubblici questi rilievi e queste considerazioni. Si tratta di dati che possono destabilizzare e demoralizzare emotivamente, almeno alla luce di una prima istintiva valutazione. Invece, a mio parere, come tutte le acquisizioni scientifiche (sempre, naturalmente, revisionabili), è bene conoscere il più possibile le caratteristiche del nemico che si combatte (in questo caso, l’autismo con tutti i suoi segni, anche differiti nel tempo), sia per non spaventarsi e preoccuparsi più del dovuto quando ci si trova di fronte a nuovi ingombranti rilievi, sia perché se si è più numerosi a conoscere altri aspetti di un fenomeno, più ci si può attrezzare per affrontarlo e sconfiggerlo.

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Messaggio Da valeria Dom Dic 06, 2009 2:29 pm

Dottor Borghese ho letto tutto ciò che ha scritto sull'autismo e lo trovo utilissimo e molto molto interessante. Non ho mai lavorato con bimbi autistici, ma l'argomento mi appassiona e non poco.
Grazie
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Messaggio Da mborghese Dom Dic 06, 2009 5:27 pm

Grazie a lei per ciò che ha scritto, Valeria. Colgo l'occasione per ribadire il significato della mia presenza su questo interessantissimo forum. Offrire il mio contributo di conoscenze ed esperienze in tema di diagnosi e trattamento dell'autismo. Disponga pertanto di ciò che posso dire, quando e quanto vuole. Un cordiale saluto.
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Messaggio Da valeria Lun Dic 07, 2009 7:04 pm

La ringrazio. Farò tesoro dei suoi articoli.
Buona serata
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Articoli del dottor Borghese sull'Autismo Empty IL LINGUAGGIO NELL'AUTISMO

Messaggio Da mborghese Dom Dic 20, 2009 10:22 am

Estraggo un paragrafo dal mio ultimo libro "Autismo. Nuovi aspetti diagnostici e terapeutici", per contribuire a chiarire diversi dubbi e per rispondere in modo più ampio ad alcune domande che periodicamente mi giungono da singoli interlocutori che pongono quesiti al riguardo.

IL LINGUAGGIO NELL’AUTISMO

Nell’accezione comune e nell’evidenza della maggior parte dei casi, il linguaggio nell’autismo è assente, o fortemente limitato, distorto, e alterato in molti dei suoi aspetti.
Allargando e approfondendo la valutazione delle abilità linguistiche in un sempre più ampio numero di autistici, si può constatare innanzitutto che:
- Indipendentemente degli aspetti formali espressivi della verbalità, andrebbero distinti soggetti in possesso di una competenza linguistica più o meno significativa, da altri decisamente inadeguati e insufficienti sul piano di tale competenza.
- A parità di competenza linguistica di base (che a volte è possibile evidenziare attraverso valutazioni non verbali), ben diverse possono essere le capacità di utilizzo del linguaggio sul piano verbale fonatorio, per una serie di motivi, i principali dei quali potrebbero identificarsi in:
- una mancanza o forte limitazione della cosiddetta “spinta volitiva”, intesa non come una sbrigativamente definita “voglia di non comunicare” o “non voglia di comunicare”, ma come vera e propria espressione di danno cerebrale coinvolgente la decisionalità, l’intraprendenza, la predisposizione all’interazione con altri individui;
- un impaccio motorio coinvolgente la capacità a monte di gestire determinate abilità prassiche, con conseguente disprassia da tipo “primo motoneurone”;
- un mancato avvio all’uso della verbalità, per ritardata diagnosi o ritardato inizio di terapie abilitative, o ritardato inizio di terapie abilitative contemplanti un immediato lavoro sulla verbalità “in toto” (comprese quindi le attività buccali, linguali, facciali);
- diversità di stimolazione ambientale, familiare, socio-culturale, con le relative prevedibili conseguenze sulla maggiore o minore apertura comunicativa e quindi verbale dell’individuo, oltre che sulle stesse abilità prassiche periferiche, come già detto parlando di allenamento delle funzioni orali.
Possono quindi essere diverse già in partenza le potenzialità linguistiche e verbali in soggetti autistici apparentemente accomunabili sotto la stessa definizione diagnostica, ma in realtà portatori di significative differenze interindividuali; così come possono svilupparsi in modo ben diverso le successive abilità espressive verbali, per il combinarsi di differenti elementi, dalla suddetta diversa predisposizione, alle condizioni esterne, educative, abilitative, ed in parte anche terapeutiche di tipo medico, che, come verificabile in questi ultimi anni, stanno assumendo un particolare ruolo nel favorire in misura maggiore o minore la slatentizzazione di potenzialità verbali, o un loro più agevole e congruo utilizzo.
Nelle valutazioni correnti di soggetti con autismo che giungono all’osservazione foniatrica, lo sviluppo del linguaggio verbale nei primi due anni di vita, risulta riconducibile essenzialmente a queste situazioni:
- Inizio normale, con lallazione e produzione delle prime parole entro i 12 mesi; espansione del vocabolario fino a dieci, a volte venti parole, raggiungimento della frase bitermine; poi inizio della regressione, in genere tra i 14 ed i 22 mesi (sono i dati anamnestici statisticamente più frequenti), con perdita -nel giro di pochi mesi- delle abilità verbali acquisite, contemporaneamente ad un non ulteriore apprendimento di altri termini, e ad una generale involuzione del comportamento e di altre abilità. Al termine del (peraltro rapido) periodo di involuzione, nel bambino restano produzioni per lo più sillabiche o vocaliche, ripetitive, stereòtipe, non referenziali; e ad una modalità comunicativa che era verbale o comunque prevalentemente verbale, subentra nel giro di poco tempo una sorta di “non-comunicazione”, men che meno verbale. Anche le capacità di comprensione del linguaggio, prima presenti, risultano parzialmente o fortemente compromesse, sebbene il versante espressivo appaia nella maggior parte dei casi più danneggiato di quello recettivo.
- Sin dal primo anno di vita, il bambino mostra scarse o nulle capacità di utilizzo della verbalità, preferendo forme espressive mimiche e gestuali. Spesso si assiste alla sola comparsa della lallazione, a volte nei tempi normali (4-6 mesi), a volte in ritardo (10-12 mesi); comunque non accade altro sul piano del linguaggio, e nei mesi e negli anni successivi attecchiscono sempre di più forme comunicative averbali, in contesti relazionali più o meno compromessi a seconda dell’evoluzione individuale della patologia di base.
Negli anni successivi, anche e forse soprattutto a seconda del tipo di intervento effettuato (o non effettuato) sulla verbalità, le possibilità di utilizzo ed i tipi di linguaggio osservabili nei soggetti autistici possono a loro volta identificarsi in diverse situazioni quali:
- Assenza completa di verbalità, con o senza capacità di comprensione di quanto prodotto da altri.
- Presenza di un linguaggio fluente, continuo, carico di stereotipie vocaliche, consonantiche, di parole o di frasi; in molti casi anche con ecolalie che a loro volta possono risultare immediate (ripetizione di ciò che il bambino ha appena sentito) o differite nel tempo (ripetizione di parole o frasi sentite ore o giorni prima). Il tutto, prodotto senza scopi referenziali, senza esprimere una vera e propria intenzionalità comunicativa. Trattasi di situazioni che mi sentirei di avvicinare al quadro della disfasia fluente (altresì nota come afasia fluente, di Wernike).
- Linguaggio ecolalico, come nella descrizione precedente, ma in un contesto non fluente, piuttosto invece caratterizzato da emissioni sporadiche, se non, appunto, ecolaliche, sovente a voce molto bassa, che rende poco intellegibile il già povero e non significativo enunciato.
- Linguaggio referenziale, solitamente poco ricco, gestito male sul piano fonologico (sono presenti difetti di pronuncia), lessicale-semantico (vocabolario scarno e spesso utilizzato male), morfosintattico: scarsa coniugazione dei verbi, uso inappropriato dei tempi e delle persone (il bambino, soggetto della frase, parla di sé in terza persona).
- Espressione verbale normostrutturata, ineccepibile sul piano articolatorio (nessuna dislalia), ad intensità vocale adeguata, ma poco o nulla contestuale e referenziale. In casi simili verrebbe da chiedersi se è corretta la diagnosi di autismo e non sia piuttosto il caso di parlare di sindrome dissociativa, schizofrenia…; ma la contemporanea presenza di altri sintomi quali le stereotipie, la tendenza all’isolamento, la mancanza di contatto visivo e di accettazione di altre forme di rappporto interlocutoriale, nonché altre componenti anamnestiche e cliniche tipiche della sindrome autistica, portano a confermare tale diagnosi, prendendo atto delle peculiari caratteristiche del linguaggio verbale.
Questi i rilievi più comuni in soggetti giunti all’osservazione foniatrica in anni successivi al secondo, e non trattati in ambito logopedico.

Diverse le situazioni dei bambini con autismo che hanno iniziato precocemente un percorso foniatrico-logopedico, nei quali pertanto è stato effettuato tempestivamente e adeguatamente un lavoro di induzione, stimolazione, arricchimento e adeguamento della verbalità.
Va ribadito che i differenti esiti di interventi abilitativi effettuati anche in modo omogeneo, dagli stessi operatori, su bambini appartenenti a stesse fasce di età e di uguale livello socio-culturale, danno valore alla considerazione secondo la quale esistono “autismi” diversi, e non un solo autismo. Le differenti modalità di sviluppo delle facoltà verbali a parità di condizioni e di trattamento, ne sono prova e conferma. Tuttavia è altrettanto importante, e forse anche più importante, rimarcare quanto diventi di gran lunga più elevata la percentuale di soggetti che comunque riescono a sviluppare e utilizzare abilità verbali espressive se trattati precocemente in logopedia, rispetto alla quantità di autistici che restano non verbali a causa di mancato, inadeguato, o troppo ritardato intervento sulla verbalità.
Possiamo quindi affermare che una presa in carico abilitativa foniatrico-logopedica precoce, giova in ogni caso allo sviluppo del linguaggio del soggetto autistico, sortendo effetti e risultati di gran lunga migliori e maggiori di quelli ottenibili da trattamenti di tipo non logopedico.
In aggiunta diciamo anche che, all’interno di questa fascia di pazienti, comunque avvantaggiati dall’intervento foniatrico-logopedico, si rilevano risposte e livelli prestazionali verbali differenti, a conferma quindi dell’idea che il substrato anatomopatologico dell’autismo non è affatto lo stesso in tutti i casi, e che la cosiddetta localizzazione del danno può assumere caratteristiche topologiche e di intensità di gravità differenti.

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Articoli del dottor Borghese sull'Autismo Empty Motivi d’ansia dei nostri “esperti”

Messaggio Da Ospite Sab Dic 26, 2009 4:01 pm

Peter Pan e le isole che non ci sono: Scuola, ASL, Riabilitazione, Osservatori e Associazioni.
A tutt’oggi l’ ASL, la Scuola e la Riabilitazione lavorano in piena autonomia, salvo che per un piccolo spazio, per il disbrigo di pratiche formali “non si sa mai” meglio tenere le carte a posto. Mai, insomma, che nessuna parte "superi il confine altrui". Forse non sanno comunicare? Oppure sanno "solo" dire che va tutto bene e che ciascuno ha fatto la propria parte, ma quando si tratta di concretizzare, di costruire insieme, è tanto difficile! Ma è così difficile costruire un raccordo tra le parti? A questo punto ci si chiede: «Chi è che dovrebbe sorvegliare su tutto ciò?»”I vari osservatori e le associazioni”. Invece, l’imperativo è: "Dobbiamo andare avanti!”, ma avanti dove? Dobbiamo davvero "correre ?" Siamo sicuri che sia questa la strategia migliore? Dobbiamo per forza assecondare una società che ci impone la fretta a tutti i costi? Ciò che sembra costituire uno dei principali motivi d’ansia dei nostri “esperti” è quello di fare convegni, vendere montagne di libri e curare il proprio tornaconto, ma miopi quando si tratta di sporcarsi le mani nella realtà per affrontarla. Intorno ai nostri ragazzi niente funziona, ma ”tutti sanno e tacciono”. Purtroppo conosciamo bene la realtà e come stanno veramente le cose. È un "lasciar correre", un "tirare a campare"... E del resto perché complicarsi la vita? Tutti fanno un po' come vogliono, in modo che questa azione funga da contrappeso, e contribuisca a mantenere l’equilibrio che si è venuto a creare. Tutti, evitano di prendere posizione di fronte al dilagare di errori che vedono e sanno riconoscere. Nessuno ha reagito nemmeno quando gli insegnanti curricolari hanno "semplificato" la situazione, trasformando in curricolare il ruolo del sostegno, quando gli alunni con disabilità già erano penalizzati da un monte ore ridotto. Forse non è cattiveria ma pigrizia o malavoglia. - Con furbizia e calcolo - hanno escogitato il modo migliore per diminuire i loro doveri. Anzi, nei confronti di questi alunni si comportano come se gli stessi non facessero parte del gruppo a loro affidato.
Tuttora ogni tanto si assiste, tra quelli che hanno ancora un po’ di coscienza, parlo di quelli nuovi, alle prime armi, quelli che non sono ancora stati "addomesticati" all’andazzo corrente - ad accenni di resistenza, a tentativi di ribellione con l’intento di cambiare qualcosa, ma poi, per non farsi isolare, in genere lasciano perdere. Anche quelli più "resistenti" si arrendono, per non mettersi contro tutti. Anche loro decidono di indossare la maschera dell'indifferenza, conformandosi alla realtà circostante e alle sue pressioni. I buoni risultati per l’integrazione scolastica e sociale non arrivano perché le risorse sono insufficienti, ci dicono, ma non è così: è solo il modo per giustificare la poca voglia o l'incapacità di mettersi in gioco, per accettare una sfida e risolvere innanzitutto la solitudine e il senso di vergogna di tanti ragazzi che "non capiscono", persi in un mondo in cui gli altri "capiscono".
Ma a chi giova tutto ciò? Certo, con questo non pretendo che tutti i dirigenti delle varie istituzioni debbano avere una spina dorsale forte, ma sicuramente sono tra i primi responsabili del diffondersi dei mali che impediscono ai nostri ragazzi di vivere una vita dignitosa. Poveri ragazzi, in che mani siete finiti!
Prego Iddio ogni giorno, per far provare a questi signori un po’ di vergogna, perché solo se la proveranno, capiranno quanto male stanno facendo.

Cordialità, Giuseppe Felaco

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Messaggio Da mborghese Dom Dic 27, 2009 12:49 am

A seguito delle sue condivisibili esternazioni, vorrei a mia volta scrivere due riflessioni:
1. Riferendomi a quando lei afferma che "Tutti evitano di prendere posizione di fronte al dilagare di errori...", posso soltanto aggiungere, dal mio piccolo, che quando vedo errori, o, per meglio dire, situazioni che considero definibili come errori, non evito di prendere posizioni, anzi, urlo a gran voce il mio disappunto e le mie critiche. Non a caso, la gran quantità di nemici che ho collezionato, proviene proprio dagli esiti del mio prendere posizione.
2. I buoni risultati per l'integrazione scolastica li ho visti raggiungere sempre e solo quando, al di là delle isitituzioni, delle leggi, dei partiti, insomma, al di là di entità astratte, c'è stato un qualcuno in carne ed ossa che ha svolto bene il proprio lavoro, con coscienza, professionalità, spirito di sacrificio, e mentalità "alla grande", cioè al di là del semplice fare il proprio dovere in modo formale. I buoni risultati per l'integrazione li ho visti -ed ottenuti- quando noi tutti, me compreso, ci siamo messi al telefono (i nostri telefonini, non le linee ufficiali della scuola), al computer con posta elettronica (i nostri computer pagati con i nostri soldi), ci siamo riuniti in scuola, sì, ma anche fuori, al bar o presso il mio studio (e non con il pagamento della mia parcella o dell'indennità di trasferta delle insegnanti e delle insegnanti di sostegno), insomma abbiamo messo a disposizone qualcosa di noi che fosse al di fuori delle righe ufficiali, anche nello studiare e nel discutere i singoli casi clinici. Ecco, così sono arrivati i veri risultati. Con questo non voglio affatto dire che sia giusto così, nè voglio insegnare niente. Ho solo raccontato in che modo ho visto funzionare un meccanismo. Probabilmente tutto ciò conferma appieno le posizioni ddel signor Giuseppe Felaco. Da parte mia -ripeto- ho esternato le mie esperienze ed opinioni perchè ispirato dalle precedenti considerazioni.
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Messaggio Da mborghese Ven Gen 28, 2011 12:07 am

Mercoledì sera, in occasione dell'incontro di calcio di Coppa Italia, Napoli-Inter, le squadre sono entrate in campo, come di consueto in questi ultimi anni, insieme a bambini che indossavano la divisa delle rispettive contendenti, tenuti per mano dai due capitani e dall'arbitro. Bene, uno di questi bambini, di sette anni, quattro anni fa aveva ricevuto diagnosi di autismo, è in trattamento presso di noi (frequenta già la prima elementare come gli altri) e quando è entrato in campo, contornato da più di 50.000 persone, davanti alle telecamere della Rai, sotto la luce dei riflettori, e nel suono assordante dello stadio di Napoli, si è comportato in modo esemplare e nessuno lo ha visto diverso dagli altri ;-)
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Messaggio Da mborghese Mer Feb 16, 2011 11:16 pm

Ricevuta come mail personale:

Buona sera,dott. Borghese,sono la mamma di xx di Milano.Volevo dirle che ieri sera sono andata a visionare la pagella del primo quadrimestre di mio figlio:

Lingua italiana 8
Lingua inglese 7
Matematica 9
Storia 7
Geografia 8
Scienze 8
Corpo,movimento e sport 9
Musica 6
Arte e immagine 6
Comportamento non sempre adeguato
Religione distinto
VALUTAZIONI INTERMEDIE
xx si sta inserendo nel gruppo-classe e sta instaurando rapporti con un numero di compagni sempre crescente.Ha dimostrato di sapersi rapportare alle figure adulte in modo adeguato.Inizia a comprendere ed
accettare le regole dell'ambiente scolastico,necessita ancora del controllo dell'adulto,ma gli interventi sono meno frequenti e le risposte più immediate.Lavora solo se affiancato e sollecitato dall'insegnante,dimostrando di avere buone capacità,ma tempi di attenzione e di applicazione molto brevi.I risultati ottenuti sono globalmente buoni.

Devo ammettere che non me l'aspettavo,è stata una piacevolissima
sorpresa!E siamo solo in prima!
Gli insegnanti hanno poi mostrato le verifiche effettuate negli ultimi
giorni di italiano e matematica,ed ho potuto constatare che non manca
qualche 10.
Sono molto contenta,speriamo continui così.
Saluti
La mamma di xx


Ah, dimenticavo di aggiungere che il bambino di cui si parla, era giunto presso il nostro centro perchè affetto da sindrome autistica.
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Articoli del dottor Borghese sull'Autismo Empty AUTISMO COME... (dalla rivista Salutare. N°61)

Messaggio Da mborghese Ven Feb 18, 2011 11:34 pm

AUTISMO COME DISPRASSIA
AUTISMO COME DISPERCEZIONE
AUTISMO COME DISTURBO COGNITIVO
AUTISMO COME DISTURBO COMPORTAMENTALE

Ogni singola definizione delle quattro che ho proposto, identifica, almeno nella maggior parte dei casi di autismo, una realtà indiscutibile, ma non sempre unica espressione dei deficit riscontrabili in questo tipo di patologia. In ambito terapeutico riabilitativo, la maggior parte (se non la totalità) dei cosiddetti “metodi”, parte dal presupposto -a mio parere incompleto e quindi erroneo- che un autistico sia tale perché disprassico, o perché dispercettivo, o perché comportamentale, o perché carente a livello integrativo… e così via ponendo come chiave di lettura in partenza, uno solo dei deficit sopra menzionati. Esistono, infatti, “metodi sensoriali”, “metodi comportamentali”, “metodi cognitivi”, e così via dicendo, secondo un’ottica che non ho mai condiviso, perché sono sempre partito dal presupposto che autismo sia nello stesso tempo dispercezione, disprassia, deficit cognitivo (più o meno evidente), disturbo comportamentale. Per molti, invece, la chiave di lettura di partenza o prevalente nel disturbo autistico, è da considerarsi un’inadeguatezza di uno solo degli elementi costituenti il cosiddetto profilo comunicativo di un individuo, da cui le visioni diagnostiche e le iniziative terapeutiche prevalenti, che tendono ad investire prioritariamente in una singola area di un quadro che in realtà è più variegato e più complesso. Ed invece, peraltro anche da un punto di vista clinico, mi sembra di poter affermare, e non solo in riferimento al campo dell’autismo, che in tutte le situazioni di disabilità, sia sempre più teorico, e quindi meno reale, il riscontro di disturbi puri, o, come si suol dire, “specifici”. In ogni soggetto portatore di handicap, comunicopatico, coesistono quasi sempre diverse patologie di deficit (comorbidità), configurandosi di conseguenza quadri clinici complessi, all’interno dei quali occorre che il diagnosta si cimenti innanzitutto in una sorta di mappaggio delle definizioni delle disabilità, nonché nella ripartizione proporzionale delle differenti forme di inadeguatezza prestazionale. Sono solito, pertanto, parlare di autistici prevalentemente disprassici, autistici prevalentemente dispercettivi, autistici prevalentemente comportamentali, autistici prevalentemente compromessi sul piano cognitivo. Ma in ciascun autistico, pur prevalendo deficit più specifici di una determinata area del profilo comunicativo, comunque coesistono, in misure e proporzioni diverse da caso a caso, o da gruppi di casi a gruppi di casi, carenze riferibili ad ognuna di quelle aree. In una visione ancora più ampia e quindi non necessariamente collegata al solo autismo, credo che si possa affermare che ogni quadro di comunicopatia riferibile ad un più o meno esteso danno a carico del sistema nervoso centrale, porti in sé, e quindi rappresenti, quasi sempre più di una delle prototipie patologiche descritte nel nostro catalogo nosologico. Riportiamo tali quadri sindromici:
 Disfonie o turbe della vociferazione
 Dislalie o alterazioni della pronuncia
 Disfagie o disturbi della deglutizione
 Disfluenze o turbe del flusso verbale
 Afasie o turbe della codificazione e decodificazione
 Disartrie o turbe da alterazioni del primo motoneurone
 Ritardi secondari o turbe comunicative negli oligofrenici
 Sordità e conseguenti turbe comunicative
 Disturbi dell’apprendimento
 Turbe comunicative da inadeguatezze socioculturali
 Turbe comunicative da autismo e altre psicosi
 Sindromi da deficit attentivo con o senza iperattività
Nell’autismo, così come in altre comunicopatie, quali i ritardi prestazionali, le paralisi cerebrali, le afasie-disfasie dell’adulto (con o senza disartria), e così via percorrendo i diversi punti del suddetto elenco, potremmo dire che è riscontro usuale l’identificazione di più di una delle altre patologie.

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Articoli del dottor Borghese sull'Autismo Empty Re: Articoli del dottor Borghese sull'Autismo

Messaggio Da mborghese Mer Apr 06, 2011 9:43 pm

Link di un'intervista televisiva che ho rilasciato in occasione della giornata mondiale dell'autismo, lo scorso 2 aprile:



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Ultima modifica di Maestra Gabriella il Gio Apr 07, 2011 5:52 am - modificato 1 volta. (Motivazione : rendere il video visibile direttamente nel post)
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Messaggio Da mborghese Gio Apr 14, 2011 8:14 am

In tema di discussioni sulle cause dell'autismo, segnalo una domanda e una risposta comparse sul forum del mio sito: https://secure.7host.com/drborghese/phpBB2/viewtopic.php?p=4454#4454
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