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Massimo Borghese. Foniatra
5 partecipanti
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Massimo Borghese. Foniatra
Un saluto a tutti.
Mi presento:
Sono Massimo Borghese, medico, foniatra.
Anno di laurea 1981; specializzazione in otorinolaringoiatria nel 1984, specializzazione in foniatria nel 1988.
Da più di venti anni, dunque, lavoro come foniatra nel mondo della riabilitazione ed in continuo contatto con quello della scuola e degli insegnanti di sostegno. Le aree di mio maggiore interesse sono la voce artistica e l'autismo infantile. Nell'ambito di quest'ultimo tipo di patologia, ho aperto e dirigo centri di diagnosi e terapia a Napoli e Milano. Mi sono iscritto a questo forum perchè credo nell'importanza dell'interdisciplinarietà di intervento tra le diverse figure che lavorano intorno ad un bambino con patologie della comunicazione. Mi adopererò per contribuire a portare avanti tale intento anche in questa sede.
Massimo Borghese
Mi presento:
Sono Massimo Borghese, medico, foniatra.
Anno di laurea 1981; specializzazione in otorinolaringoiatria nel 1984, specializzazione in foniatria nel 1988.
Da più di venti anni, dunque, lavoro come foniatra nel mondo della riabilitazione ed in continuo contatto con quello della scuola e degli insegnanti di sostegno. Le aree di mio maggiore interesse sono la voce artistica e l'autismo infantile. Nell'ambito di quest'ultimo tipo di patologia, ho aperto e dirigo centri di diagnosi e terapia a Napoli e Milano. Mi sono iscritto a questo forum perchè credo nell'importanza dell'interdisciplinarietà di intervento tra le diverse figure che lavorano intorno ad un bambino con patologie della comunicazione. Mi adopererò per contribuire a portare avanti tale intento anche in questa sede.
Massimo Borghese
Re: Massimo Borghese. Foniatra
Bungiorno dr. Borghese, benvenuto e grazie fin d'ora per i preziosi consigli che sicuramente ci darà.
Sumat- Advanced Member
- Numero di messaggi : 123
Data d'iscrizione : 11.09.09
Re: Massimo Borghese. Foniatra
Benvenuto gentilissimo dottore!
Spero che lei possa interagire con noi in questo forum. Sarebbe interessante saperne di più dei suoi centri e delle conferenze, incontri che tiene.
A presto, Gabriella
Spero che lei possa interagire con noi in questo forum. Sarebbe interessante saperne di più dei suoi centri e delle conferenze, incontri che tiene.
A presto, Gabriella
Re: Massimo Borghese. Foniatra
Propongo agli amici di sostegno.forumattivo, l'intervista che rilasciai due anni fa alla giornalista Natalia Bandiera. Ripercorrendone i contenuti, mi sembra che rispecchi ancora fedelmente le principali caratteristiche del mio lavoro:
Una vita dedicata ai bambini affetti da autismo.
Intervista a Massimo Borghese
Come nasce, dott. Borghese, la sua passione per i bimbi autistici?
Lavorando con questi bambini che vedevo giornalmente. Sentivo di poter fare qualcosa per migliorare la condizione di quei ragazzini che la medicina dava per “incurabili”. Dentro di me sapevo che potevo mettere i miei studi a loro disposizione, realizzando qualcosa di adatto veramente a loro. Qualcosa che usciva dagli schemi dei manuali letti fino a quel momento. Decisi assieme ad una logopedista di iniziare con programmi riabilitativi che puntassero soprattutto, sia pure non esclusivamente, sul linguaggio verbale, sovvertendo una regola che era già diventata un postulato, secondo la quale un bambino autistico non avrebbe dovuto iniziare un percorso logopedico se non fosse stato pronto a recepirne le tecniche. Pensandola in questo modo, però, non avrebbe mai iniziato, secondo me, perché sarebbe sempre mancata qualcosa.
Perché foniatria e logopedia per l’autismo?
La foniatria è la disciplina medica che si occupa di fisiopatologia della comunicazione, compresa quella verbale. La logopedia, invece, è la branca che ne cura gli aspetti riabilitativi. Trovo assurdo che in Italia, in molti casi, dobbiamo ancora spiegare perché è logico e naturale che foniatra e logopedista si debbano occupare di autismo, in quanto comunicopatia. Del resto, nelle competenze di queste due figure professionali rientrano la linguistica, la fonetica articolatoria, la deglutologia, l’intervento sulle abilità percettive, integrative, cognitive, comportamentali. Fanno tutte parte integrante dei programmi di studi e formazione di foniatra e logopedista. L’altro assurdo è doverlo ancora spiegare a chi crede o vuol far credere, che foniatria e logopedia si occupino solo di voce e articolazione del linguaggio.
Quali sono le caratteristiche del suo metodo, ma soprattutto, si può parlare di “metodo Borghese” ?
Mi verrebbe da rispondere, in prima ed immediata istanza, che la caratteristica principale forse è proprio quella di non rappresentare un metodo vero e proprio.
Non è un gioco di parole se dico che i limiti di un metodo, a mio avviso, stanno proprio nel fatto che sia… un metodo! Mi spiego: Sento parlare di “metodo sensoriale”, di “metodo comportamentale”, di “metodo cognitivo”... Secondo me, ogni individuo, normale o patologico che sia, andrebbe visto sia in chiave di lettura diagnostica delle sue capacità comunicative, sia in ambito terapeutico nei confronti delle sue inadeguatezze, secondo l’ottica del cosiddetto “profilo comunicativo”, cioè secondo l’insieme delle funzioni riferibili ai versanti: percettivo, cognitivo-integrativo-decisionale, motorio-prassico-espressivo, emotivo-relazionale-comportamentale. Ciascuno di noi è contemporaneamente, percezione, integrazione delle percezioni, intelligenza (cognizione e decisionalità), comportamento, motricità ed espressione. Non avrebbe senso valutare solo uno di questi versanti, tanto meno agire esclusivamente o prevalentemente su uno di essi, credendo che il suo miglioramento porti di conseguenza benefici su tutto il resto delle abilità. Ecco perchè nei miei centri, la mia equipe agisce su tutti gli aspetti: percettivo, cognitivo, espressivo, comportamentale, ritenendo che nessuno sia propedeutico nei confronti degli altri. Tengo a precisare che non ho scoperto niente di rivoluzionario, ma ho semplicemente cambiato modo di fare riabilitazione rispetto a come è accaduto fino a qualche tempo fa. Ho puntato soprattutto sulle funzioni linguistiche verbali e quelle ad esse correlate, come la masticazione e la deglutizione, ponendole all’inizio del percorso rieducativo e non in momenti successivi.
Lei parla di una equipe. Da chi è composta e che preparazione hanno i colleghi che lavorano con lei nei suoi centri?
All'interno dei miei centri, operano una o più logopediste, neuropsicomotriciste, psicologhe, pedagogiste, musicoterapiste, insomma, tutte figure inerenti al campo della riabilitazione. Si tratta di professioniste, che prima di essere chiamate ad intervenire sui bambini, vengono accuratamente selezionate nonchè “formate” da me, attraverso un corso sull’autismo e le altre comunicopatie dell’età evolutiva.
Un percorso che dura un biennio, durante il quale si svolgono lezioni e centinaia di ore di tirocinio in diagnostica ed in terapia. Alla fine, chi è interessato a rimanere, lo può fare, ma c'è chi decide pure di andar via o viene da me invitata a farlo. Chi resta continua a fare tirocinio e partecipa ai corsi degli anni successivi, che vengono costantemente aggiornati. Si paga solo l’iscrizione al primo corso, la partecipazione (obbligatoria per chi resta) a quelli successivi è gratuita. Per me è fondamentale che giornalmente, la terapista debba dimostrare la sua validità sul campo, altrimenti non resta. Lavorare con bimbi autistici richiede caratteristiche non semplici che vanno oltre gli studi universitari. Sulla qualità delle figure che lavorano con me sono molto esigente.
Lavora da oltre vent'anni con questi bambini e si divide in tre centri. Ma secondo lei, l'autismo che cos'è?
Ogni autistico vive una condizione diversa da quella di un altro autistico, ma in comune, due soggetti possono avere un insieme di sintomi. Ecco perchè non credo in un metodo standard per la riabilitazione. Un bambino può essere compromesso in diverse aree, nelle quali in un altro caso, non si registrano carenze. Ad esempio, un piccolo autistico può avere dei grossi problemi di motricità fine mentre un altro può non averne affatto. Possono esserci bambini, in cui è necessario tirar fuori il linguaggio verbale, altri che invece, lo sviluppano e risultano compromessi in tutt'altra serie di abilità. Ci sono bambini iperattivi, altri che non lo sono. Ecco perchè, a mio avviso, non è possibile intervenire con un unico modello riabilitativo. Secondo me, un programma che funzioni e che dia risultati concreti è quello realizzato “su misura” per quel singolo soggetto. Dopo un'attenta osservazione dei punti deboli e dei punti di forza di ogni bambino che viene preso in carico nel mio centro, viene costruito un percorso, che, per la diversità delle caratteristiche che ogni caso d'autismo presenta, non sarà mai uguale ad un altro. Ecco perchè quando un genitore a distanza mi chiede come affrontare un certo tipo di problema, non mi sbilancio mai. Perchè ogni bambino rappresenta una individualità così complessa che è corretto e professionale da parte mia, affrontarla dal vivo e capirne l'origine.
Ogni bambino autistico rappresenta un mondo a sé e non è detto che perchè un percorso riabilitativo ed un gruppo di terapiste hanno prodotto progressi per uno, due o tre bambini, debbano necessariamente funzionare con il quarto.
Più volte lei ha usato il termine “ex autistico”. Che cosa intende dire con questa definizione?
Prendiamo ad esempio un bambino che era chiuso in sé, non comunicava, non parlava, non aveva autonomie, era in alcuni casi aggressivo, non era scolarizzabile e socialmente gestibile. Se dopo un percorso riabilitativo quello stesso bambino comunica, parla, legge, scrive, si comporta in modo adeguato, ha una vita di relazione come gli altri, ha conquistato le autonomie… perché dovrebbe essere considerato ancora autistico? E anche se non parla in modo perfetto da un punto di vista lessicale o grammaticale o fonologico, ha qualche difficoltà di lettoscrittura come se fosse un lieve dislessico, o balbetta, per me, questi non sono sintomi tipici dell'autismo. Credo sia necessario spiegarci meglio. Esiste una distinzione tra guarigione clinica e guarigione anatomopatologica. La guarigione clinica consiste nell'estinzione dei sintomi, indipendentemente dal substrato anatomopatologico che sostiene l'autismo. Il danno cerebrale di fondo può essere ancora lì, ma il bambino può essere cambiato a livello comportamentale, linguistico verbale, sociale, cognitivo, al punto da risultare "guarito" nei confronti della sintomatologia autistica.
Come giudica quei professionisti che promettono la guarigione?
Non lo trovo etico. Quando una coppia di genitori viene da me, guardandomi come per chiedermi cosa sarà di quel loro piccolino che ha appena ricevuto la diagnosi di autismo, io rispondo loro che non sappiamo cosa ci riserverà il futuro. Nella maggior parte dei casi, è difficile parlare di recupero di tutte le abilità compromesse dall'autismo, ma quando siamo dinanzi ad una diagnosi precoce, allora lì mi sbilancio perché so che su un bambino di 2/3 anni, si può lavorare tantissimo e si può riuscire a ottenere grandi risultati. L'intervento precoce è davvero determinante e quando c'è quello, nemmeno la severità della diagnosi mi scoraggia. Ma come ho detto prima e ci tengo a ribadire, ogni bambino è un caso a sé.
Nei suoi centri prende in carico solo bambini in tenera età o anche adulti?
Fino a circa dieci anni fa, eravamo alquanto restii a prendere in terapia soggetti di età superiore ai dieci anni, poi ci siamo accorti che anche in età più avanzata si possono ottenere miglioramenti sul piano della comunicazione, a volte verbale a volte no, delle autonomie, dei comportamenti sociali. Ci siamo aperti, quindi, anche alla possibilità di operare su adolescenti e adulti, specificando però che i limiti di recupero sono più ridotti.
Qual è l'età del bambino più grande e quella del più piccolo di cui si sta occupando?
Il più grande ha vent'anni. Il più piccolo, ha appena ricevuto la diagnosi ed ha due anni.
Di quali altre comunicopatie si occupa?
Foniatria, come dicevo prima, è fisiopatologia della comunicazione, quindi ci si occupa di ritardi mentali, sordità, paralisi cerebrali, balbuzie, disabilità di apprendimento, disturbi della deglutizione e masticazione, difetti di voce e di pronuncia, afasie e disfasie, ma nell’autismo, ci siamo chiesti: quanto c’è di ognuno di questi quadri patologici? Un autistico, quanto è disprassico, dispercettivo, disfasico, dislalico? Ecco perchè, tra l’altro, l’importanza della logopedia nell’autismo.
Che cosa pensa delle cosiddette cure biomediche?
Tra le componenti organiche che sono alla base degli autismi, sì, perché parlerei di autismi più che di autismo, ci sono anche delle condizioni di alterato metabolismo. Penso quindi che “ripulire la lavagna” su cui bisogna scrivere, cioè disintossicare un organismo eventualmente intossicato, non può che aiutare i trattamenti educativi-riabilitativi, rendendo il bambino più manipolabile in senso terapeutico. Ho notato però che non tutti rispondono allo stesso modo alle diete ed alle terapie biomediche. Sono giunto all’idea che esistono autistici “responders” ed autistici “non responders” a queste cure. Tra l’altro, i nostri primi casi di recupero, seguivano solo percorsi logopedici. L’avvento di nuove possibilità terapeutiche l’ho accolto comunque, con interesse e disponibilità. Credo che anche in questo caso, l’importante sia evitare accanimenti e fanatismi e guardare la realtà nella sua giusta misura.
Allora lei prescrive anche terapie biomediche?
Mi limito solo a consigliare la dieta senza glutine, caseina, mais e soja e degli integratori a base di vitamine e sali minerali. Non tutti accettano, naturalmente. Nel caso ci siano dei problemi intestinali seri del bambino, è chiaro che consiglio alla famiglia di recarsi da un gastroenterologo o da un medico specializzato.
Sappiamo che lei ha fatto delle esperienze professionali all'estero. Ce ne può parlare?
Nel 2003, ho visitato il centro Pfeiffer di Chicago (U.S.A.) accompagnando di persona alcuni bambini con autismo. E' stata un'importante opportunità per imparare le metodiche di approccio biomedico seguite da tale centro. Ho seguito inoltre, alcuni bambini e ragazzi stranieri provenienti dalla Svizzera, Danimarca, Libia e Stati Uniti.
Secondo lei, le logopediste italiane sono all’altezza della situazione e delle sue aspettative?
Come tutti i laureati appena diplomati, anche i logopedisti non posseggono gli strumenti operativi sufficienti per entrare subito e bene nel mondo del lavoro pratico. Necessita approfondire i campi in cui ci si vuole cimentare.
Che cosa teme di più nella vita e nella professione?
L’ignoranza, soprattutto quando collegata alla presunzione ed alla malafede.
Secondo lei, esistono professionisti che speculano con l'autismo?
Si.
Quali sono i momenti più belli della sua carriera?
In ventidue anni di lavoro ho avuto delle grandi soddisfazioni nel constatare i progressi dei bambini da me seguiti. Io amo il mio lavoro e dedico tutte le mie giornate ai miei bambini. Io trascorro molti momenti con loro, anche fuori dai miei centri. A volte mi capita di farci colazione insieme o ci gioco a pallone. Ho uno splendido rapporto non solo con loro, ma anche con i loro fratellini e sorelline. Mi sento voluto bene ed è veramente tanto quello che riescono a darmi.
Dott. Borghese, quel è il caso più recente che le ha dato maggiori soddisfazioni professionali?
E' cronaca di questi giorni, l'ultima visita di controllo a D, cinque anni, al quale, due anni fa, fu diagnosticato l'autismo. Non solo da me, ma anche dai neuropsichiatri della sua regione.
Ebbene, dopo due anni di terapie in uno dei miei centri, è diventato un bambino "normale". Si comporta come gli altri e parla come gli altri. Nonostante non sia certo l'unico caso del genere, l'emozione è fortissima per questi momenti di successo e di immensa gioia.
Nel suo sito internet, vengono citati diversi aforismi. Qual è il suo preferito?
E' quello di Enzo Ferrari: “In Italia ti perdonano tutto, tranne il successo”.
Una vita dedicata ai bambini affetti da autismo.
Intervista a Massimo Borghese
Come nasce, dott. Borghese, la sua passione per i bimbi autistici?
Lavorando con questi bambini che vedevo giornalmente. Sentivo di poter fare qualcosa per migliorare la condizione di quei ragazzini che la medicina dava per “incurabili”. Dentro di me sapevo che potevo mettere i miei studi a loro disposizione, realizzando qualcosa di adatto veramente a loro. Qualcosa che usciva dagli schemi dei manuali letti fino a quel momento. Decisi assieme ad una logopedista di iniziare con programmi riabilitativi che puntassero soprattutto, sia pure non esclusivamente, sul linguaggio verbale, sovvertendo una regola che era già diventata un postulato, secondo la quale un bambino autistico non avrebbe dovuto iniziare un percorso logopedico se non fosse stato pronto a recepirne le tecniche. Pensandola in questo modo, però, non avrebbe mai iniziato, secondo me, perché sarebbe sempre mancata qualcosa.
Perché foniatria e logopedia per l’autismo?
La foniatria è la disciplina medica che si occupa di fisiopatologia della comunicazione, compresa quella verbale. La logopedia, invece, è la branca che ne cura gli aspetti riabilitativi. Trovo assurdo che in Italia, in molti casi, dobbiamo ancora spiegare perché è logico e naturale che foniatra e logopedista si debbano occupare di autismo, in quanto comunicopatia. Del resto, nelle competenze di queste due figure professionali rientrano la linguistica, la fonetica articolatoria, la deglutologia, l’intervento sulle abilità percettive, integrative, cognitive, comportamentali. Fanno tutte parte integrante dei programmi di studi e formazione di foniatra e logopedista. L’altro assurdo è doverlo ancora spiegare a chi crede o vuol far credere, che foniatria e logopedia si occupino solo di voce e articolazione del linguaggio.
Quali sono le caratteristiche del suo metodo, ma soprattutto, si può parlare di “metodo Borghese” ?
Mi verrebbe da rispondere, in prima ed immediata istanza, che la caratteristica principale forse è proprio quella di non rappresentare un metodo vero e proprio.
Non è un gioco di parole se dico che i limiti di un metodo, a mio avviso, stanno proprio nel fatto che sia… un metodo! Mi spiego: Sento parlare di “metodo sensoriale”, di “metodo comportamentale”, di “metodo cognitivo”... Secondo me, ogni individuo, normale o patologico che sia, andrebbe visto sia in chiave di lettura diagnostica delle sue capacità comunicative, sia in ambito terapeutico nei confronti delle sue inadeguatezze, secondo l’ottica del cosiddetto “profilo comunicativo”, cioè secondo l’insieme delle funzioni riferibili ai versanti: percettivo, cognitivo-integrativo-decisionale, motorio-prassico-espressivo, emotivo-relazionale-comportamentale. Ciascuno di noi è contemporaneamente, percezione, integrazione delle percezioni, intelligenza (cognizione e decisionalità), comportamento, motricità ed espressione. Non avrebbe senso valutare solo uno di questi versanti, tanto meno agire esclusivamente o prevalentemente su uno di essi, credendo che il suo miglioramento porti di conseguenza benefici su tutto il resto delle abilità. Ecco perchè nei miei centri, la mia equipe agisce su tutti gli aspetti: percettivo, cognitivo, espressivo, comportamentale, ritenendo che nessuno sia propedeutico nei confronti degli altri. Tengo a precisare che non ho scoperto niente di rivoluzionario, ma ho semplicemente cambiato modo di fare riabilitazione rispetto a come è accaduto fino a qualche tempo fa. Ho puntato soprattutto sulle funzioni linguistiche verbali e quelle ad esse correlate, come la masticazione e la deglutizione, ponendole all’inizio del percorso rieducativo e non in momenti successivi.
Lei parla di una equipe. Da chi è composta e che preparazione hanno i colleghi che lavorano con lei nei suoi centri?
All'interno dei miei centri, operano una o più logopediste, neuropsicomotriciste, psicologhe, pedagogiste, musicoterapiste, insomma, tutte figure inerenti al campo della riabilitazione. Si tratta di professioniste, che prima di essere chiamate ad intervenire sui bambini, vengono accuratamente selezionate nonchè “formate” da me, attraverso un corso sull’autismo e le altre comunicopatie dell’età evolutiva.
Un percorso che dura un biennio, durante il quale si svolgono lezioni e centinaia di ore di tirocinio in diagnostica ed in terapia. Alla fine, chi è interessato a rimanere, lo può fare, ma c'è chi decide pure di andar via o viene da me invitata a farlo. Chi resta continua a fare tirocinio e partecipa ai corsi degli anni successivi, che vengono costantemente aggiornati. Si paga solo l’iscrizione al primo corso, la partecipazione (obbligatoria per chi resta) a quelli successivi è gratuita. Per me è fondamentale che giornalmente, la terapista debba dimostrare la sua validità sul campo, altrimenti non resta. Lavorare con bimbi autistici richiede caratteristiche non semplici che vanno oltre gli studi universitari. Sulla qualità delle figure che lavorano con me sono molto esigente.
Lavora da oltre vent'anni con questi bambini e si divide in tre centri. Ma secondo lei, l'autismo che cos'è?
Ogni autistico vive una condizione diversa da quella di un altro autistico, ma in comune, due soggetti possono avere un insieme di sintomi. Ecco perchè non credo in un metodo standard per la riabilitazione. Un bambino può essere compromesso in diverse aree, nelle quali in un altro caso, non si registrano carenze. Ad esempio, un piccolo autistico può avere dei grossi problemi di motricità fine mentre un altro può non averne affatto. Possono esserci bambini, in cui è necessario tirar fuori il linguaggio verbale, altri che invece, lo sviluppano e risultano compromessi in tutt'altra serie di abilità. Ci sono bambini iperattivi, altri che non lo sono. Ecco perchè, a mio avviso, non è possibile intervenire con un unico modello riabilitativo. Secondo me, un programma che funzioni e che dia risultati concreti è quello realizzato “su misura” per quel singolo soggetto. Dopo un'attenta osservazione dei punti deboli e dei punti di forza di ogni bambino che viene preso in carico nel mio centro, viene costruito un percorso, che, per la diversità delle caratteristiche che ogni caso d'autismo presenta, non sarà mai uguale ad un altro. Ecco perchè quando un genitore a distanza mi chiede come affrontare un certo tipo di problema, non mi sbilancio mai. Perchè ogni bambino rappresenta una individualità così complessa che è corretto e professionale da parte mia, affrontarla dal vivo e capirne l'origine.
Ogni bambino autistico rappresenta un mondo a sé e non è detto che perchè un percorso riabilitativo ed un gruppo di terapiste hanno prodotto progressi per uno, due o tre bambini, debbano necessariamente funzionare con il quarto.
Più volte lei ha usato il termine “ex autistico”. Che cosa intende dire con questa definizione?
Prendiamo ad esempio un bambino che era chiuso in sé, non comunicava, non parlava, non aveva autonomie, era in alcuni casi aggressivo, non era scolarizzabile e socialmente gestibile. Se dopo un percorso riabilitativo quello stesso bambino comunica, parla, legge, scrive, si comporta in modo adeguato, ha una vita di relazione come gli altri, ha conquistato le autonomie… perché dovrebbe essere considerato ancora autistico? E anche se non parla in modo perfetto da un punto di vista lessicale o grammaticale o fonologico, ha qualche difficoltà di lettoscrittura come se fosse un lieve dislessico, o balbetta, per me, questi non sono sintomi tipici dell'autismo. Credo sia necessario spiegarci meglio. Esiste una distinzione tra guarigione clinica e guarigione anatomopatologica. La guarigione clinica consiste nell'estinzione dei sintomi, indipendentemente dal substrato anatomopatologico che sostiene l'autismo. Il danno cerebrale di fondo può essere ancora lì, ma il bambino può essere cambiato a livello comportamentale, linguistico verbale, sociale, cognitivo, al punto da risultare "guarito" nei confronti della sintomatologia autistica.
Come giudica quei professionisti che promettono la guarigione?
Non lo trovo etico. Quando una coppia di genitori viene da me, guardandomi come per chiedermi cosa sarà di quel loro piccolino che ha appena ricevuto la diagnosi di autismo, io rispondo loro che non sappiamo cosa ci riserverà il futuro. Nella maggior parte dei casi, è difficile parlare di recupero di tutte le abilità compromesse dall'autismo, ma quando siamo dinanzi ad una diagnosi precoce, allora lì mi sbilancio perché so che su un bambino di 2/3 anni, si può lavorare tantissimo e si può riuscire a ottenere grandi risultati. L'intervento precoce è davvero determinante e quando c'è quello, nemmeno la severità della diagnosi mi scoraggia. Ma come ho detto prima e ci tengo a ribadire, ogni bambino è un caso a sé.
Nei suoi centri prende in carico solo bambini in tenera età o anche adulti?
Fino a circa dieci anni fa, eravamo alquanto restii a prendere in terapia soggetti di età superiore ai dieci anni, poi ci siamo accorti che anche in età più avanzata si possono ottenere miglioramenti sul piano della comunicazione, a volte verbale a volte no, delle autonomie, dei comportamenti sociali. Ci siamo aperti, quindi, anche alla possibilità di operare su adolescenti e adulti, specificando però che i limiti di recupero sono più ridotti.
Qual è l'età del bambino più grande e quella del più piccolo di cui si sta occupando?
Il più grande ha vent'anni. Il più piccolo, ha appena ricevuto la diagnosi ed ha due anni.
Di quali altre comunicopatie si occupa?
Foniatria, come dicevo prima, è fisiopatologia della comunicazione, quindi ci si occupa di ritardi mentali, sordità, paralisi cerebrali, balbuzie, disabilità di apprendimento, disturbi della deglutizione e masticazione, difetti di voce e di pronuncia, afasie e disfasie, ma nell’autismo, ci siamo chiesti: quanto c’è di ognuno di questi quadri patologici? Un autistico, quanto è disprassico, dispercettivo, disfasico, dislalico? Ecco perchè, tra l’altro, l’importanza della logopedia nell’autismo.
Che cosa pensa delle cosiddette cure biomediche?
Tra le componenti organiche che sono alla base degli autismi, sì, perché parlerei di autismi più che di autismo, ci sono anche delle condizioni di alterato metabolismo. Penso quindi che “ripulire la lavagna” su cui bisogna scrivere, cioè disintossicare un organismo eventualmente intossicato, non può che aiutare i trattamenti educativi-riabilitativi, rendendo il bambino più manipolabile in senso terapeutico. Ho notato però che non tutti rispondono allo stesso modo alle diete ed alle terapie biomediche. Sono giunto all’idea che esistono autistici “responders” ed autistici “non responders” a queste cure. Tra l’altro, i nostri primi casi di recupero, seguivano solo percorsi logopedici. L’avvento di nuove possibilità terapeutiche l’ho accolto comunque, con interesse e disponibilità. Credo che anche in questo caso, l’importante sia evitare accanimenti e fanatismi e guardare la realtà nella sua giusta misura.
Allora lei prescrive anche terapie biomediche?
Mi limito solo a consigliare la dieta senza glutine, caseina, mais e soja e degli integratori a base di vitamine e sali minerali. Non tutti accettano, naturalmente. Nel caso ci siano dei problemi intestinali seri del bambino, è chiaro che consiglio alla famiglia di recarsi da un gastroenterologo o da un medico specializzato.
Sappiamo che lei ha fatto delle esperienze professionali all'estero. Ce ne può parlare?
Nel 2003, ho visitato il centro Pfeiffer di Chicago (U.S.A.) accompagnando di persona alcuni bambini con autismo. E' stata un'importante opportunità per imparare le metodiche di approccio biomedico seguite da tale centro. Ho seguito inoltre, alcuni bambini e ragazzi stranieri provenienti dalla Svizzera, Danimarca, Libia e Stati Uniti.
Secondo lei, le logopediste italiane sono all’altezza della situazione e delle sue aspettative?
Come tutti i laureati appena diplomati, anche i logopedisti non posseggono gli strumenti operativi sufficienti per entrare subito e bene nel mondo del lavoro pratico. Necessita approfondire i campi in cui ci si vuole cimentare.
Che cosa teme di più nella vita e nella professione?
L’ignoranza, soprattutto quando collegata alla presunzione ed alla malafede.
Secondo lei, esistono professionisti che speculano con l'autismo?
Si.
Quali sono i momenti più belli della sua carriera?
In ventidue anni di lavoro ho avuto delle grandi soddisfazioni nel constatare i progressi dei bambini da me seguiti. Io amo il mio lavoro e dedico tutte le mie giornate ai miei bambini. Io trascorro molti momenti con loro, anche fuori dai miei centri. A volte mi capita di farci colazione insieme o ci gioco a pallone. Ho uno splendido rapporto non solo con loro, ma anche con i loro fratellini e sorelline. Mi sento voluto bene ed è veramente tanto quello che riescono a darmi.
Dott. Borghese, quel è il caso più recente che le ha dato maggiori soddisfazioni professionali?
E' cronaca di questi giorni, l'ultima visita di controllo a D, cinque anni, al quale, due anni fa, fu diagnosticato l'autismo. Non solo da me, ma anche dai neuropsichiatri della sua regione.
Ebbene, dopo due anni di terapie in uno dei miei centri, è diventato un bambino "normale". Si comporta come gli altri e parla come gli altri. Nonostante non sia certo l'unico caso del genere, l'emozione è fortissima per questi momenti di successo e di immensa gioia.
Nel suo sito internet, vengono citati diversi aforismi. Qual è il suo preferito?
E' quello di Enzo Ferrari: “In Italia ti perdonano tutto, tranne il successo”.
Re: Massimo Borghese. Foniatra
Riporto quanto segue, non per una esposizione fine a se stessa dei progressi che si possono ottenere nel corso del nostro lavoro, ma perchè i due casi che sto per descrivere hanno una valenza ed un significato particolari.
Bambina di 4 anni anni, giunta alla nostra osservazione dodici mesi fa, con diagnosi di ritardo della comunicazione (alcuni avevano parlato anche di grave insufficienza mentale), ridotto sviluppo del cervelletto (evidenziato con la risonanza magnetica), assenza di linguaggio, sindrome autistica. Era opinione generale che non ci fossero molte speranze di possibilità di raggiungimento di abilità comunicative verbali, oltre che di altre capacità richiedenti un pur minimo substrato attentivo, cognitivo, relazionale...
A distanza di un anno, nel corso delle ultime settimane, la bambina ha cominciato a produrre verbalità non solo su imitazione e ripetizione, ma anche spontaneamente, con parole-frasi di senso compiuto, contestuali e referenziali.
Siamo abituati a veder cominciare a parlare tanti bambini (è il nostro lavoro!), ma casi come questo descritto sono un po' più rari, sia per la clamorosa evidenza del danno nervoso centrale, sia per le condizioni di partenza particolarmente sfavorevoli. Data anche l'eccezionalità del reperto iniziale di iposviluppo cerebellare, e dello spiccato divario già esistente tra età cronologica ed età prestazionale, ho ritenuto opportuno segnalare questo caso, per il significato e l'interesse scientifico, nonchè per gli elevati contenuti di speranza per altre situazioni che può apportare.
Bambino di 7 anni giunto alla nostra osservazione tre anni fa, con assenza di linguaggio, sindrome autistica, ed unica capacità comunicativa identificabile nel riuscire ad imitare prassie.
Dopo tre anni di lavoro (ora ha, appunto, dieci anni) il bambino ha cominciato a parlare, con meraviglia e commozione di tutti. Per il momento siamo alla produzione di parole bisillabiche, ma sentirle uscire dalla bocca di un bambino che per dieci anni non aveva mai fatto sentire la propia voce, è a dir poco emozionante oltre che scientificamente significativo.
Massimo Borghese
Bambina di 4 anni anni, giunta alla nostra osservazione dodici mesi fa, con diagnosi di ritardo della comunicazione (alcuni avevano parlato anche di grave insufficienza mentale), ridotto sviluppo del cervelletto (evidenziato con la risonanza magnetica), assenza di linguaggio, sindrome autistica. Era opinione generale che non ci fossero molte speranze di possibilità di raggiungimento di abilità comunicative verbali, oltre che di altre capacità richiedenti un pur minimo substrato attentivo, cognitivo, relazionale...
A distanza di un anno, nel corso delle ultime settimane, la bambina ha cominciato a produrre verbalità non solo su imitazione e ripetizione, ma anche spontaneamente, con parole-frasi di senso compiuto, contestuali e referenziali.
Siamo abituati a veder cominciare a parlare tanti bambini (è il nostro lavoro!), ma casi come questo descritto sono un po' più rari, sia per la clamorosa evidenza del danno nervoso centrale, sia per le condizioni di partenza particolarmente sfavorevoli. Data anche l'eccezionalità del reperto iniziale di iposviluppo cerebellare, e dello spiccato divario già esistente tra età cronologica ed età prestazionale, ho ritenuto opportuno segnalare questo caso, per il significato e l'interesse scientifico, nonchè per gli elevati contenuti di speranza per altre situazioni che può apportare.
Bambino di 7 anni giunto alla nostra osservazione tre anni fa, con assenza di linguaggio, sindrome autistica, ed unica capacità comunicativa identificabile nel riuscire ad imitare prassie.
Dopo tre anni di lavoro (ora ha, appunto, dieci anni) il bambino ha cominciato a parlare, con meraviglia e commozione di tutti. Per il momento siamo alla produzione di parole bisillabiche, ma sentirle uscire dalla bocca di un bambino che per dieci anni non aveva mai fatto sentire la propia voce, è a dir poco emozionante oltre che scientificamente significativo.
Massimo Borghese
Re: Massimo Borghese. Foniatra
Gentilissimo dottore,
leggere dei successi che ha avuto coi i suoi piccoli pazienti è bellissimo!
leggere dei successi che ha avuto coi i suoi piccoli pazienti è bellissimo!
lully1977- Advanced Member
- Numero di messaggi : 106
Data d'iscrizione : 18.09.09
Re: Massimo Borghese. Foniatra
Dottore ... navigando sul web ho trovato una sua ultima intervista :
la segnalo al forum !
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sabrina- Senior Member
- Numero di messaggi : 231
Data d'iscrizione : 11.12.08
Re: Massimo Borghese. Foniatra
Grazie dell'attenzione e della segnalazione, cara Sabrina!
Ho accolto con particolare piacere la richiesta di intervista sul tema dell'autismo, da parte di un network televisivo solitamente dedito ad eventi mondani, di cinema e spettacolo. Significa che l'interesse verso una problematica medica e sociale di ormai così vasta portata, è andato al di là delle etichette e delle aree di appartenenza di un tipo di programma televisivo. L'ho visto come un segno di maturità sociale e culturale molto incoraggiante e significativo.
Massimo Borghese
Ho accolto con particolare piacere la richiesta di intervista sul tema dell'autismo, da parte di un network televisivo solitamente dedito ad eventi mondani, di cinema e spettacolo. Significa che l'interesse verso una problematica medica e sociale di ormai così vasta portata, è andato al di là delle etichette e delle aree di appartenenza di un tipo di programma televisivo. L'ho visto come un segno di maturità sociale e culturale molto incoraggiante e significativo.
Massimo Borghese
Re: Massimo Borghese. Foniatra
Buon 2011 e buon lavoro a tutti i listers di questo forum, e, naturalmente, alla sua formidabile fondatrice e amministratrice Gabriella!
Massimo Borghese
Massimo Borghese
Re: Massimo Borghese. Foniatra
Buon anno anche a lei dr. Borghese e mi unisco nel fare i complimenti, gli auguri e i ringraziamenti a Gabriella per la passione e il tempo che dedica a tutti noi.
Sumat- Advanced Member
- Numero di messaggi : 123
Data d'iscrizione : 11.09.09
Re: Massimo Borghese. Foniatra
mborghese ha scritto:Buon 2011 e buon lavoro a tutti i listers di questo forum, e, naturalmente, alla sua formidabile fondatrice e amministratrice Gabriella!
Massimo Borghese
Sumat ha scritto:Buon anno anche a lei dr. Borghese e mi unisco nel fare i complimenti, gli auguri e i ringraziamenti a Gabriella per la passione e il tempo che dedica a tutti noi.
ma che bello trovare degli auguri per me ... , naturalmente faccio anche io gli auguri al dottor Massimo per la sua preziosa presenza nel forum ,a te Sumat e a tutti coloro che passano di qui e possono trovare spunti per il proprio lavoro e/o lasciarli per gli altri...
BUON 2011 a tutti !
Re: Massimo Borghese. Foniatra
Vorrei portare a conoscenza del documento informativo sull'Intervento Foniatrico Integrato per l'autismo ed altri disturbi della comunicazione, da me recentemente pubblicato, anche gli amici di questo forum, con l'intento di offrire un contributo all'approfondimento di tali patologie:
Intervento Foniatrico Integrato nella diagnosi e terapia dell’autismo
La sindrome autistica rappresenta oggi una delle patologie della comunicazione di sempre più frequente riscontro, e tra le più complesse sia da un punto di vista etiologico e patogenetico, che da un punto di vista terapeutico, tanto che mi sentirei portato a parlare di « autismi» piuttosto che di autismo. Ne deriva che la gestione a livello diagnostico e rimediativo possa trovare difficilmente risposte in una sola disciplina medica o riabilitativa, anche se, allo stesso tempo, un’eccessiva frammentazione nelle differenti aree e tra le diverse figure professionali di competenza, soprattutto se in assenza di un coordinamento e di una visione unificanti, non gioverebbe comunque alla buona riuscita di tutte le iniziative diagnostiche e curative utilizzabili.
Venticinque anni di attività in qualità di foniatra nel campo della diagnosi e terapia delle patologie della comunicazione, e in particolare dell’autismo, mi hanno portato a concepire, adottare e realizzare progressivamente dei modelli di intervento che cercassero di rispettare il più possibile l’evoluzione dei tempi, delle scoperte, delle conferme e delle smentite provenienti dalla ricerca scientifica e dall’esperienza, cercando sempre di conciliare i principi teorici con qualsiasi spunto pratico che scaturisse dai riscontri emergenti dai diversi campi della riabilitazione, della farmacologia e della clinica in genere.
Il progressivo aumento dei casi di autismo negli ultimi venti anni, e in tutte la parti del mondo cosiddetto industrializzato, hanno aperto inevitabilmente il campo a molte iniziative talvolta anche esclusivamente speculative e non sempre orientate verso la ricerca dell’effettivo beneficio per i portatori di tale patologia; così come allo stesso tempo sono sorti studi e filoni terapeutici di reale utilità. Il panorama dei “metodi” e dei sedicenti “esperti in materia” è andato via via ad affollarsi nel giro di breve tempo, generando, non di rado, comprensibile disorientamento innanzitutto tra le famiglie di soggetti con autismo, ma anche tra gli stessi operatori (vedasi ad esempio giovani laureati in discipline riabilitative) alla ricerca di chi potesse offrire soluzioni, cure e insegnamenti affidabili e realmente utili.
Personalmente, in un’ottica di costante apertura verso tutte le discipline e le aree della scienza e della riabilitazione che possano offrire contributi validi, mi sono trovato spesso anch’io a chiedermi se e quali proposte innovative che si affacciavano progressivamente nel panorama della cura dell’autismo, potessero meritare attenzione e coinvolgimento in protocolli di azione comuni. Affermerei che rispetto a due decenni fa, in cui, pur essendoci pluralità di idee e di modalità operative, ci si poteva comunque muovere e orientare in un ambito sufficientemente delineato e circoscritto, in questi ultimi tempi la proposte terapeutiche per l’autismo si sono fortemente moltiplicate, direi al punto di inflazionare il campo delle possibilità di scelta.
Convinto della necessità di una gestione prioritaria di stampo foniatrico dell’autismo (essendo la foniatria la scienza medica della fisiopatologia della comunicazione) ed impostando pertanto le linee base dell’attività diagnostica e terapeutica sui capisaldi della foniatria e della logopedia, non ho tuttavia mai trascurato il ricorso ai contenuti di altre discipline afferenti alla riabilitazione e all’educazione, nonché alla cura del corpo e delle sue alterazioni, considerando infatti l’autismo come una malattia a base organica, con radici che affondano, sì, nelle attività cerebrali, ma che si collegano a funzioni metaboliche, endocrine, immunologiche, biochimiche, alimentari, a loro volta più o meno riferibili a input genetici molto più complessi di quanto talvolta viene descritto.
Ho sempre concepito, insomma, un modello di intervento multidisciplinare, sia pure a matrice prevalentemente (ma non esclusivamente) foniatrico logopedica. Nel corso degli anni sono passato da un semplice schema foniatria-psicomotricità-logopedia, ad un disegno più articolato e strutturato, di cui mi sembra opportuno descriverne direttamente gli attuali aspetti e caratteristiche, ben consapevole che nulla potrà mai venire etichettato come “definitivo”, perché nulla, credo, nella scienza, debba essere considerato tale, pena la perdita di quella che reputo la caratteristica fondamentale della ricerca in medicina: la verifica continua di ciò che si realizza e di ciò in cui oggi si crede, ma che domani potrebbe essere diverso. Ciò premesso, descriverei l’attuale modello di intervento diagnostico e terapeutico per l’autismo (ed altre comunicopatie ad esso correlato), definito Intervento Foniatrico Integrato, attraverso i seguenti capisaldi:
- Figura medica di riferimento: Foniatra.
- Operatori: Logopedisti. Psicomotricisti. Psicologi. Educatori.
- Formazione specifica: incontri di formazione di base per due anni, più tirocinio pratico presso le nostre sedi.
- Aggiornamento continuo (obbligatorio).
- Rapporto libero-professionale sempre soggetto a revisione.
- Rotazione degli operatori nelle diverse sedi lavorative.
- Partecipazione attiva delle famiglie.
- Rapporti con le scuole.
- Aggiornamenti-monitoraggi continui attraverso riunioni periodiche nelle diverse sedi.
La concezione di questo modello operativo trova motivazione, tra l’altro, nelle seguenti ragioni:
Figura medica di riferimento, il foniatra, perché come già accennato, è il foniatra il medico specialista in fisiopatologia della comunicazione. Riporto al riguardo la definizione coniata dall’Unione Foniatri Europei nel 1992: “Il foniatra è il laureato in medicina e chirurgia che si occupa dei problemi della fisiologia e della patologia della comunicazione umana o più comunemente della voce, della parola, del linguaggio, dell’udito (in quanto interessante il linguaggio orale con particolare riguardo alla pedoaudiologia), della comunicazione non verbale, della deglutizione e degli apprendimenti.”
Nel volume “Il Foniatra. Profilo di una professione” di O. Schindler e V. Tramontani (Ed. Omega, 1994), si legge: “Il foniatra è l’unica figura medica che abbia competenza su tutti gli aspetti della comunicazione. Pertanto è il solo a gestire il complesso molto eterogeneo, fisiologico, nosologico e clinico (diagnostico, preventivo, terapeutico, abilitativo e riabilitativo) che concerne la comunicazione umana.”
Il secondo punto, riguardante la molteplicità di figure operanti nell’ambito della riabilitazione, va inteso non solo in termini di fruizione del beneficio di avvantaggiarsi dell’operato di differenti tipi di professionisti, ma anche in termini di differenze di singoli terapisti ed educatori appartenenti alle stesse categorie. Significa in pratica che un bambino preso in carico, non soltanto ruota tra sedute con il logopedista, lo psicomotricista, lo psicologo, l’educatore, ma che questi professionisti stessi non sempre sono rappresentati dalle stesse persone, preferendo piuttosto ricorrere ad una rotazione di operatori che prevede anche uno scambio periodico di sedi (attualmente situate, nella nostra realtà operativa, a Napoli, Milano, Verona, Padova, Perugia, Ginevra, Losanna), con conseguente ulteriore vantaggio per i terapisti derivante dal confronto con altri colleghi di diverse città.
Per quanto riguarda la formazione specifica, la reputo necessaria al di là delle conoscenze e delle competenze già in possesso di ogni membro dell’equipe, perché si tratta di assimilare un modello di intervento non ordinario, in un continuo affinarsi e modificarsi nel tempo, in costante revisione e aggiornamento; da cui l’esigenza di apprenderlo in partenza e di rimanervi sempre immersi per incamerarne le continue evoluzioni.
Il ricorso al rapporto libero professionale e non a un’assunzione con stato di dipendenza permanente a stipendio, scaturisce dalla propensione a mantenere sempre vivo e desto l’interesse per l’aggiornamento, per rimettersi continuamente in discussione, non solo da un punto di vista scientifico, ma anche economico e prettamente lavorativo. In altre parole, desidero che ogni collaboratore debba dimostrare e rinnovare di giorno in giorno, di mese in mese, la propria abilità ed il proprio valore, non in uno stato di sensazione di precarietà, ma in un atteggiamento di slancio verso un continuo ribadire e confermare le capacità che può mettere a disposizione dei pazienti che assistiamo, ed ai quali offro così la garanzia di un continuo monitoraggio, conferma e rinnovo del personale operante.
Altro ineliminabile caposaldo del modello operativo Intervento Foniatrico Integrato, è la partecipazione attiva, informata, consapevole e responsabile delle famiglie o di almeno alcuni membri di esse. Sono solito affermare che “senza i migliori terapisti non si recupera un bambino con disabilità, ma che senza un’attiva partecipazione della famiglia, anche se con i migliori terapisti, ugualmente non si recupera un bambino con disabilità”. Dunque, ottimi operatori della riabilitazione, come condizione necessaria ma non sufficiente, se manca la componente familiare. La famiglia deve infatti credere al progetto terapeutico, innanzitutto per portare il bambino alle sedute di trattamento, nonché per ascoltare, imparare e mettere poi in pratica ciò che gli operatori spiegano e mostrano ai parenti che hanno accompagnato il piccolo paziente; ma anche per realizzare la cosiddetta generalizzazione degli apprendimenti nella quotidianità domestica e di un’intera giornata nelle diverse sedi in cui il bambino vive e sviluppa i suoi rapporti con gli altri.
Lo stesso ragionamento è applicabile anche in ambito scolastico, nel cui contesto risulta di importanza fondamentale l’azione degli educatori che potrà essere tanto più valida e costruttiva quanto più sarà stata collegata e integrata con il lavoro dei riabilitatori e della famiglia.
In qualità di foniatra, inquadro a livello diagnostico il bambino in prima visita formulando al termine di essa una diagnosi clinica; imposto i programmi riabilitativi abilitativi, nonché eventuali altri rimedi di tipo alimentare e/o farmacologico; oltre ad occuparmi del monitoraggio longitudinale dell’andamento dei trattamenti educativi abilitativi e delle altre eventuali cure cui il paziente viene sottoposto.
Allo stato attuale delle conoscenze sull’autismo, siamo orientati ad assumere atteggiamenti terapeutici abilitativi educativi basati sulla tempestività e l’intensività del lavoro. Intendo dire che appena diagnosticata una comunicopatia rientrante nello spettro autistico, o come autismo conclamato, o come “autismo in progress” (termine con il quale definisco un incedere preoccupante e progressivo di sintomi appartenenti alla patologia autistica) proponiamo una presa in carico a tutto campo, cosiddetta “a trecentosessanta gradi”, che ha l’obiettivo di lavorare sui versanti percettivo, cognitivo, motorio-passico-espressivo, relazionale-comportamentale, del profilo comunicativo del bambino. La figura medica del foniatra coordina l’azione dei diversi operatori della riabilitazione coinvolti a tale scopo, ma si occupa anche di altri eventuali interventi di tipo farmacologico e/o alimentare, considerate le recenti ricerche e conferme di esperienze che pongono in maggiore evidenza il significato e l’importanza di particolari provvedimenti dietetici nell’autismo e nella sindrome da deficit dell’attenzione con iperattività, ma anche in considerazione del progressivo espandersi delle iniziative di tipo (psico)farmacologico nei confronti delle quali, al contrario, abbiamo attualmente un atteggiamento di maggiore prudenza, con conseguente analoga necessità di controllo, verifica e monitoraggio, anche e soprattutto quando il piccolo paziente è seguito da più di una figura medica nei rispettivi campi di competenza.
A livello di risultati che ci si prefigge di raggiungere, possiamo identificare nei seguenti punti gli obiettivi dell’Intervento Foniatrico Integrato nell’autismo:
- Uscita dall’isolamento
- Raggiungimento di comportamenti sociali adeguati
- Conquista di tutte le autonomie
- Estinzione-riduzione delle stereotipie
- Raggiungimento di abilità comunicative verbali
- Apprendimento della lettoscrittura
- Inserimento scolastico al pari degli altri
- Inserimento lavorativo
Nelle situazioni più favorevoli è stato ed è possibile raggiungere tutti i traguardi sopra elencati, intendendo con il termine “più favorevoli”, i casi di bambini per i quali la diagnosi di autismo è stata precoce (età di due, massimo tre anni) così come precoce e immediato è stato l’inizio del trattamento abilitativo educativo, realizzato inoltre in modo intensivo, competente, e con il pieno supporto della collaborazione familiare e scolastica. Alla luce di tali premesse, abbiamo potuto vivere la soddisfazione di vedere bambini che a due-tre anni avevano ricevuto la diagnosi di autismo, entrare in prima elementare all’età di sei, meglio sette anni, in condizioni di buon possesso di abilità comunicative verbali, capacità relazionali e di apprendimento alla pari di quelle dei coetanei, autonomie e comportamenti sociali adeguati. Laddove non sono ottenibili tutti questi successi, siamo soliti veder raggiungere comunque miglioramenti prestazionali nelle diverse aree comunicativa, verbale, cognitiva, percettivo-sensoriale, comportamentale, motoria, in misura proporzionale alla tempestività, alla qualità e all’intensività dell’intervento terapeutico.
Massimo Borghese
Foniatra. Direttore Centro Studio Diagnosi e Terapia dell’Autismo.
Napoli. Milano. Verona
BIBLIOGRAFIA
Borghese M., Autismi, Edizioni Culturali Internazionali, Milano, 2011.
Borghese M., Autismo. Nuovi aspetti diagnostici e terapeutici, Edizioni Omega, Torino, 2007.
Borghese M., Argentieri G., Serra V., Trocino A., Basi genetiche delle comunicopatie di tipo autistico. Contributi personali, I Care, 2012, 1: 10-13.
Borghese M., Ceraso V., Gaeta G., Porcaro S., Avena T., I potenziali evocati cognitivi nel monitoraggio dell’andamento della terapia logopedica dell’autismo infantile, Abstr. XXXVI Congresso Nazionale della Società Italiana di Foniatria e Logopedia, Modena, 2002.
Borghese M., Cosentino V., Amodio P., Bottarini A., Intervento Foniatrico Integrato nella Sindrome Autistica. Rilievi e verifiche del trattamento su 200 casi, I Care, 2009, 3: 93-97.
Borghese M., D’Ajello A., Autismo infantile: revisione dei fattori etiologici e dei protocolli terapeutici, I Care, 2004, 3: 90-100.
Borghese M., D’Ajello A., Festante S., Amodio P., Bambini usciti dall’autismo, I Care, 2007, 4: 116-121.
Borghese M., D’Ajello A., Porcaro S., Possibilità di successo dell’intervento abilitativo nella sindrome autistica, Abstr. XXXIV Congresso Nazionale della Società Italiana di Foniatria e Logopedia, Firenze, 2000.
Borghese M., D’Ajello A., Semiotica e autismo, Acta Phon. Lat., 2009, 31: 177-196.
Borghese M., Gliro A., Prencipe G., Bissacco G., Autismo ed epilessia. Correlazioni genetiche e cliniche, I Care, 2011, 4: 123-126.
Borghese M., Metodo Foniatrico Integrato in fisiopatologia della comunicazione, Relazione al 1° Congresso Internazionale “Autismo Iperattività Epilessia”, Padova, 2009.
Borghese M., Porcaro S., Il rapporto tra foniatria e logopedia ed altre discipline nella diagnosi e nel trattamento dell’autismo infantile, Acta Phon. Lat., 2000, 22: 97-134.
Borghese M., Significato e incidenza prognostica dell’intervento abilitativo precoce nell’autismo, I Care, 2007, 2: 54-56.
Ceraso V., Borghese M., Porcaro S., Sfera D., Leone C.A., I potenziali cognitivi evento-correlati nella diagnosi e nel monitoraggio clinico delle patologie della comunicazione, Acta Phon. Lat., 1998, Vol. XX, 4: 348-366.
Intervento Foniatrico Integrato nella diagnosi e terapia dell’autismo
La sindrome autistica rappresenta oggi una delle patologie della comunicazione di sempre più frequente riscontro, e tra le più complesse sia da un punto di vista etiologico e patogenetico, che da un punto di vista terapeutico, tanto che mi sentirei portato a parlare di « autismi» piuttosto che di autismo. Ne deriva che la gestione a livello diagnostico e rimediativo possa trovare difficilmente risposte in una sola disciplina medica o riabilitativa, anche se, allo stesso tempo, un’eccessiva frammentazione nelle differenti aree e tra le diverse figure professionali di competenza, soprattutto se in assenza di un coordinamento e di una visione unificanti, non gioverebbe comunque alla buona riuscita di tutte le iniziative diagnostiche e curative utilizzabili.
Venticinque anni di attività in qualità di foniatra nel campo della diagnosi e terapia delle patologie della comunicazione, e in particolare dell’autismo, mi hanno portato a concepire, adottare e realizzare progressivamente dei modelli di intervento che cercassero di rispettare il più possibile l’evoluzione dei tempi, delle scoperte, delle conferme e delle smentite provenienti dalla ricerca scientifica e dall’esperienza, cercando sempre di conciliare i principi teorici con qualsiasi spunto pratico che scaturisse dai riscontri emergenti dai diversi campi della riabilitazione, della farmacologia e della clinica in genere.
Il progressivo aumento dei casi di autismo negli ultimi venti anni, e in tutte la parti del mondo cosiddetto industrializzato, hanno aperto inevitabilmente il campo a molte iniziative talvolta anche esclusivamente speculative e non sempre orientate verso la ricerca dell’effettivo beneficio per i portatori di tale patologia; così come allo stesso tempo sono sorti studi e filoni terapeutici di reale utilità. Il panorama dei “metodi” e dei sedicenti “esperti in materia” è andato via via ad affollarsi nel giro di breve tempo, generando, non di rado, comprensibile disorientamento innanzitutto tra le famiglie di soggetti con autismo, ma anche tra gli stessi operatori (vedasi ad esempio giovani laureati in discipline riabilitative) alla ricerca di chi potesse offrire soluzioni, cure e insegnamenti affidabili e realmente utili.
Personalmente, in un’ottica di costante apertura verso tutte le discipline e le aree della scienza e della riabilitazione che possano offrire contributi validi, mi sono trovato spesso anch’io a chiedermi se e quali proposte innovative che si affacciavano progressivamente nel panorama della cura dell’autismo, potessero meritare attenzione e coinvolgimento in protocolli di azione comuni. Affermerei che rispetto a due decenni fa, in cui, pur essendoci pluralità di idee e di modalità operative, ci si poteva comunque muovere e orientare in un ambito sufficientemente delineato e circoscritto, in questi ultimi tempi la proposte terapeutiche per l’autismo si sono fortemente moltiplicate, direi al punto di inflazionare il campo delle possibilità di scelta.
Convinto della necessità di una gestione prioritaria di stampo foniatrico dell’autismo (essendo la foniatria la scienza medica della fisiopatologia della comunicazione) ed impostando pertanto le linee base dell’attività diagnostica e terapeutica sui capisaldi della foniatria e della logopedia, non ho tuttavia mai trascurato il ricorso ai contenuti di altre discipline afferenti alla riabilitazione e all’educazione, nonché alla cura del corpo e delle sue alterazioni, considerando infatti l’autismo come una malattia a base organica, con radici che affondano, sì, nelle attività cerebrali, ma che si collegano a funzioni metaboliche, endocrine, immunologiche, biochimiche, alimentari, a loro volta più o meno riferibili a input genetici molto più complessi di quanto talvolta viene descritto.
Ho sempre concepito, insomma, un modello di intervento multidisciplinare, sia pure a matrice prevalentemente (ma non esclusivamente) foniatrico logopedica. Nel corso degli anni sono passato da un semplice schema foniatria-psicomotricità-logopedia, ad un disegno più articolato e strutturato, di cui mi sembra opportuno descriverne direttamente gli attuali aspetti e caratteristiche, ben consapevole che nulla potrà mai venire etichettato come “definitivo”, perché nulla, credo, nella scienza, debba essere considerato tale, pena la perdita di quella che reputo la caratteristica fondamentale della ricerca in medicina: la verifica continua di ciò che si realizza e di ciò in cui oggi si crede, ma che domani potrebbe essere diverso. Ciò premesso, descriverei l’attuale modello di intervento diagnostico e terapeutico per l’autismo (ed altre comunicopatie ad esso correlato), definito Intervento Foniatrico Integrato, attraverso i seguenti capisaldi:
- Figura medica di riferimento: Foniatra.
- Operatori: Logopedisti. Psicomotricisti. Psicologi. Educatori.
- Formazione specifica: incontri di formazione di base per due anni, più tirocinio pratico presso le nostre sedi.
- Aggiornamento continuo (obbligatorio).
- Rapporto libero-professionale sempre soggetto a revisione.
- Rotazione degli operatori nelle diverse sedi lavorative.
- Partecipazione attiva delle famiglie.
- Rapporti con le scuole.
- Aggiornamenti-monitoraggi continui attraverso riunioni periodiche nelle diverse sedi.
La concezione di questo modello operativo trova motivazione, tra l’altro, nelle seguenti ragioni:
Figura medica di riferimento, il foniatra, perché come già accennato, è il foniatra il medico specialista in fisiopatologia della comunicazione. Riporto al riguardo la definizione coniata dall’Unione Foniatri Europei nel 1992: “Il foniatra è il laureato in medicina e chirurgia che si occupa dei problemi della fisiologia e della patologia della comunicazione umana o più comunemente della voce, della parola, del linguaggio, dell’udito (in quanto interessante il linguaggio orale con particolare riguardo alla pedoaudiologia), della comunicazione non verbale, della deglutizione e degli apprendimenti.”
Nel volume “Il Foniatra. Profilo di una professione” di O. Schindler e V. Tramontani (Ed. Omega, 1994), si legge: “Il foniatra è l’unica figura medica che abbia competenza su tutti gli aspetti della comunicazione. Pertanto è il solo a gestire il complesso molto eterogeneo, fisiologico, nosologico e clinico (diagnostico, preventivo, terapeutico, abilitativo e riabilitativo) che concerne la comunicazione umana.”
Il secondo punto, riguardante la molteplicità di figure operanti nell’ambito della riabilitazione, va inteso non solo in termini di fruizione del beneficio di avvantaggiarsi dell’operato di differenti tipi di professionisti, ma anche in termini di differenze di singoli terapisti ed educatori appartenenti alle stesse categorie. Significa in pratica che un bambino preso in carico, non soltanto ruota tra sedute con il logopedista, lo psicomotricista, lo psicologo, l’educatore, ma che questi professionisti stessi non sempre sono rappresentati dalle stesse persone, preferendo piuttosto ricorrere ad una rotazione di operatori che prevede anche uno scambio periodico di sedi (attualmente situate, nella nostra realtà operativa, a Napoli, Milano, Verona, Padova, Perugia, Ginevra, Losanna), con conseguente ulteriore vantaggio per i terapisti derivante dal confronto con altri colleghi di diverse città.
Per quanto riguarda la formazione specifica, la reputo necessaria al di là delle conoscenze e delle competenze già in possesso di ogni membro dell’equipe, perché si tratta di assimilare un modello di intervento non ordinario, in un continuo affinarsi e modificarsi nel tempo, in costante revisione e aggiornamento; da cui l’esigenza di apprenderlo in partenza e di rimanervi sempre immersi per incamerarne le continue evoluzioni.
Il ricorso al rapporto libero professionale e non a un’assunzione con stato di dipendenza permanente a stipendio, scaturisce dalla propensione a mantenere sempre vivo e desto l’interesse per l’aggiornamento, per rimettersi continuamente in discussione, non solo da un punto di vista scientifico, ma anche economico e prettamente lavorativo. In altre parole, desidero che ogni collaboratore debba dimostrare e rinnovare di giorno in giorno, di mese in mese, la propria abilità ed il proprio valore, non in uno stato di sensazione di precarietà, ma in un atteggiamento di slancio verso un continuo ribadire e confermare le capacità che può mettere a disposizione dei pazienti che assistiamo, ed ai quali offro così la garanzia di un continuo monitoraggio, conferma e rinnovo del personale operante.
Altro ineliminabile caposaldo del modello operativo Intervento Foniatrico Integrato, è la partecipazione attiva, informata, consapevole e responsabile delle famiglie o di almeno alcuni membri di esse. Sono solito affermare che “senza i migliori terapisti non si recupera un bambino con disabilità, ma che senza un’attiva partecipazione della famiglia, anche se con i migliori terapisti, ugualmente non si recupera un bambino con disabilità”. Dunque, ottimi operatori della riabilitazione, come condizione necessaria ma non sufficiente, se manca la componente familiare. La famiglia deve infatti credere al progetto terapeutico, innanzitutto per portare il bambino alle sedute di trattamento, nonché per ascoltare, imparare e mettere poi in pratica ciò che gli operatori spiegano e mostrano ai parenti che hanno accompagnato il piccolo paziente; ma anche per realizzare la cosiddetta generalizzazione degli apprendimenti nella quotidianità domestica e di un’intera giornata nelle diverse sedi in cui il bambino vive e sviluppa i suoi rapporti con gli altri.
Lo stesso ragionamento è applicabile anche in ambito scolastico, nel cui contesto risulta di importanza fondamentale l’azione degli educatori che potrà essere tanto più valida e costruttiva quanto più sarà stata collegata e integrata con il lavoro dei riabilitatori e della famiglia.
In qualità di foniatra, inquadro a livello diagnostico il bambino in prima visita formulando al termine di essa una diagnosi clinica; imposto i programmi riabilitativi abilitativi, nonché eventuali altri rimedi di tipo alimentare e/o farmacologico; oltre ad occuparmi del monitoraggio longitudinale dell’andamento dei trattamenti educativi abilitativi e delle altre eventuali cure cui il paziente viene sottoposto.
Allo stato attuale delle conoscenze sull’autismo, siamo orientati ad assumere atteggiamenti terapeutici abilitativi educativi basati sulla tempestività e l’intensività del lavoro. Intendo dire che appena diagnosticata una comunicopatia rientrante nello spettro autistico, o come autismo conclamato, o come “autismo in progress” (termine con il quale definisco un incedere preoccupante e progressivo di sintomi appartenenti alla patologia autistica) proponiamo una presa in carico a tutto campo, cosiddetta “a trecentosessanta gradi”, che ha l’obiettivo di lavorare sui versanti percettivo, cognitivo, motorio-passico-espressivo, relazionale-comportamentale, del profilo comunicativo del bambino. La figura medica del foniatra coordina l’azione dei diversi operatori della riabilitazione coinvolti a tale scopo, ma si occupa anche di altri eventuali interventi di tipo farmacologico e/o alimentare, considerate le recenti ricerche e conferme di esperienze che pongono in maggiore evidenza il significato e l’importanza di particolari provvedimenti dietetici nell’autismo e nella sindrome da deficit dell’attenzione con iperattività, ma anche in considerazione del progressivo espandersi delle iniziative di tipo (psico)farmacologico nei confronti delle quali, al contrario, abbiamo attualmente un atteggiamento di maggiore prudenza, con conseguente analoga necessità di controllo, verifica e monitoraggio, anche e soprattutto quando il piccolo paziente è seguito da più di una figura medica nei rispettivi campi di competenza.
A livello di risultati che ci si prefigge di raggiungere, possiamo identificare nei seguenti punti gli obiettivi dell’Intervento Foniatrico Integrato nell’autismo:
- Uscita dall’isolamento
- Raggiungimento di comportamenti sociali adeguati
- Conquista di tutte le autonomie
- Estinzione-riduzione delle stereotipie
- Raggiungimento di abilità comunicative verbali
- Apprendimento della lettoscrittura
- Inserimento scolastico al pari degli altri
- Inserimento lavorativo
Nelle situazioni più favorevoli è stato ed è possibile raggiungere tutti i traguardi sopra elencati, intendendo con il termine “più favorevoli”, i casi di bambini per i quali la diagnosi di autismo è stata precoce (età di due, massimo tre anni) così come precoce e immediato è stato l’inizio del trattamento abilitativo educativo, realizzato inoltre in modo intensivo, competente, e con il pieno supporto della collaborazione familiare e scolastica. Alla luce di tali premesse, abbiamo potuto vivere la soddisfazione di vedere bambini che a due-tre anni avevano ricevuto la diagnosi di autismo, entrare in prima elementare all’età di sei, meglio sette anni, in condizioni di buon possesso di abilità comunicative verbali, capacità relazionali e di apprendimento alla pari di quelle dei coetanei, autonomie e comportamenti sociali adeguati. Laddove non sono ottenibili tutti questi successi, siamo soliti veder raggiungere comunque miglioramenti prestazionali nelle diverse aree comunicativa, verbale, cognitiva, percettivo-sensoriale, comportamentale, motoria, in misura proporzionale alla tempestività, alla qualità e all’intensività dell’intervento terapeutico.
Massimo Borghese
Foniatra. Direttore Centro Studio Diagnosi e Terapia dell’Autismo.
Napoli. Milano. Verona
BIBLIOGRAFIA
Borghese M., Autismi, Edizioni Culturali Internazionali, Milano, 2011.
Borghese M., Autismo. Nuovi aspetti diagnostici e terapeutici, Edizioni Omega, Torino, 2007.
Borghese M., Argentieri G., Serra V., Trocino A., Basi genetiche delle comunicopatie di tipo autistico. Contributi personali, I Care, 2012, 1: 10-13.
Borghese M., Ceraso V., Gaeta G., Porcaro S., Avena T., I potenziali evocati cognitivi nel monitoraggio dell’andamento della terapia logopedica dell’autismo infantile, Abstr. XXXVI Congresso Nazionale della Società Italiana di Foniatria e Logopedia, Modena, 2002.
Borghese M., Cosentino V., Amodio P., Bottarini A., Intervento Foniatrico Integrato nella Sindrome Autistica. Rilievi e verifiche del trattamento su 200 casi, I Care, 2009, 3: 93-97.
Borghese M., D’Ajello A., Autismo infantile: revisione dei fattori etiologici e dei protocolli terapeutici, I Care, 2004, 3: 90-100.
Borghese M., D’Ajello A., Festante S., Amodio P., Bambini usciti dall’autismo, I Care, 2007, 4: 116-121.
Borghese M., D’Ajello A., Porcaro S., Possibilità di successo dell’intervento abilitativo nella sindrome autistica, Abstr. XXXIV Congresso Nazionale della Società Italiana di Foniatria e Logopedia, Firenze, 2000.
Borghese M., D’Ajello A., Semiotica e autismo, Acta Phon. Lat., 2009, 31: 177-196.
Borghese M., Gliro A., Prencipe G., Bissacco G., Autismo ed epilessia. Correlazioni genetiche e cliniche, I Care, 2011, 4: 123-126.
Borghese M., Metodo Foniatrico Integrato in fisiopatologia della comunicazione, Relazione al 1° Congresso Internazionale “Autismo Iperattività Epilessia”, Padova, 2009.
Borghese M., Porcaro S., Il rapporto tra foniatria e logopedia ed altre discipline nella diagnosi e nel trattamento dell’autismo infantile, Acta Phon. Lat., 2000, 22: 97-134.
Borghese M., Significato e incidenza prognostica dell’intervento abilitativo precoce nell’autismo, I Care, 2007, 2: 54-56.
Ceraso V., Borghese M., Porcaro S., Sfera D., Leone C.A., I potenziali cognitivi evento-correlati nella diagnosi e nel monitoraggio clinico delle patologie della comunicazione, Acta Phon. Lat., 1998, Vol. XX, 4: 348-366.
Re: Massimo Borghese. Foniatra
Attualità in tema di epidemiologia, diagnosi, prognosi, e trattamento, delle sindromi autistiche
Il grande aumento dei casi di autismo infantile in tutti i paesi del mondo, si presta inevitabilmente ad una revisione dei fattori epidemiologici, etiologici, clinici, prognostici, terapeutici, di una così complessa patologia intorno alla quale si sono sviluppati in questi ultimi anni numerosissimi approfondimenti spesso anche contrastanti tra loro in molti aspetti.
Al fine di cercare di dare un contributo alla ridefinizione delle sindromi autistiche, sotto tutti i punti di vista e di inquadramento, vorrei riportare, basandomi su rilievi estraibili da un arco di tempo di venticinque anni, alcuni elementi emersi da un’osservazione clinica, supportata da valutazioni statistiche e da follow up effettuati anche allo scopo di confermare o smentire quanto di volta in volta ipotizzato durante la mia esperienza diretta, o segnalato da altri ricercatori e operatori del settore.
I principali punti di riferimento per l’analisi in questione, sono riconducibili al complesso problema delle cause, dei meccanismi patogenetici, delle localizzazioni dei danni organici, delle manifestazioni cliniche, delle scelte e degli effetti delle terapie, non solo per avallarne o meno l’efficacia, ma anche per pronunciarsi in termini prognostici nei confronti di una patologia troppo spesso e talvolta affrettatamente definita come insormontabile e irrimediabile.
I risultati (da considerare mai definitivi!) di una lunga e approfondita serie di rilievi e analisi quali- quantitative, sono riassumibili per linee essenziali e per riferimenti di maggior interesse pratico, nei seguenti punti:
Non è più possibile parlare di cause di autismo solo come innesco genetico. Malattie esclusivamente genetiche hanno andamenti epidemiologici costanti. L’aumento del 700% dei casi di autismo in tutti i paesi del mondo, disattiva di fatto la teoria che possa trattarsi di una patologia di sola origine genetica, spingendo a prendere in considerazione il concorso di fattori esterni, ambientali, alimentari, infettivi, tossici, farmacologici; e inducendo altresì a pensare anche alla “epigenetica”, ossia alle modifiche del patrimonio genico legate non alla trasmissione attraverso DNA, bensì all’effetto delle influenze ambientali.
Gli organi e apparati danneggiati nei diversi “autismi”, risultano essere soprattutto l’encefalo (cervello, cervelletto, tronco encefalico), il sistema digerente, l’apparato immunitario, il sistema endocrino; in misure e combinazioni diverse da caso a caso o almeno da gruppi di casi a gruppi di casi.
Le manifestazioni cliniche delle sindromi autistiche hanno insorgenze molto precoci: dai primissimi mesi di vita nelle forme cosiddette primitive, ai quindici-diciotto mesi nelle forme cosiddette regressive. Ma in una situazione come nell’altra, non esiste un “presto” per pronunciarsi in senso diagnostico, e non vi possono essere ormai più giustificazioni per una ritardata diagnosi di autismo.
Ne consegue la necessità di prese in carico terapeutiche immediate e precoci, senza rinvii inutili e dannosi. Statistiche alla mano, possiamo affermare che la maggiore percentuale di recuperi significativi di soggetti autistici, coincide con i parametri: immediatezza, intensività, qualità di intervento.
In un’ampia e significativa percentuale di casi (tra il sessanta e il settanta), il ricorso a provvedimenti alimentari e a trattamenti biomedici, ha migliorato notevolmente le capacità di risposta dei soggetti autistici alle terapie abilitative riabilitative educative.
Protagonista dei protocolli terapeutici deve essere l’intervento logopedico, da considerarsi fondamentale, improcrastinabile, e dunque non subordinato né nel tempo né nell’attesa di risultati, a qualsiasi altra forma di terapia. Affiancare, sì, ma non anteporre altri trattamenti rispetto a quello logopedico, da intendere peraltro nella sua piena realizzazione su tutti gli aspetti del profilo comunicativo: percettivo, cognitivo-integrativo, motorio-prassico-espressivo, relazionale-comportamentale.
Non è vero che i sintomi dell’autismo non solo estinguibili. Trattamenti precoci, intensivi, competenti, possono consentire a un soggetto autistico, di diventare comunicativo, verbale, autonomo, socialmente compatibile, scolarizzabile, inseribile nel mondo del lavoro. Ciò non vuol dire il raggiungimento di una perfezione prestazionale o il superamento della patologia da parte di tutti; ma l’attuale provata e documentata esistenza di bambini riconosciuti inizialmente autistici, e migliorati al punto da aver estinto quelle sintomatologie, autorizza a credere e a investire in un lavoro di recupero a tutto campo, senza preclusioni e pregiudizi sulla sua possibilità di riuscita.
Resta infine un tema aperto e da approfondire nel tempo: il nesso tra autismo infantile, sua evoluzione nell’adolescenza, e psicosi dell’età adulta. Analisi e verifiche retrospettive ci autorizzano a ipotizzare legami tutt’altro che trascurabili tra autismo (e altre psicosi dell’età evolutiva) e patologie psichiatriche dell’età adulta. Da qui, l’invito ad altri studiosi della materia, a orientare anche in questa direzione le loro ricerche.
Prof. Massimo Borghese. Foniatra
Direttore Centro Diagnosi e Terapie dell’Autismo e Altre Comunicopatie
Napoli. Milano. Verona
Il grande aumento dei casi di autismo infantile in tutti i paesi del mondo, si presta inevitabilmente ad una revisione dei fattori epidemiologici, etiologici, clinici, prognostici, terapeutici, di una così complessa patologia intorno alla quale si sono sviluppati in questi ultimi anni numerosissimi approfondimenti spesso anche contrastanti tra loro in molti aspetti.
Al fine di cercare di dare un contributo alla ridefinizione delle sindromi autistiche, sotto tutti i punti di vista e di inquadramento, vorrei riportare, basandomi su rilievi estraibili da un arco di tempo di venticinque anni, alcuni elementi emersi da un’osservazione clinica, supportata da valutazioni statistiche e da follow up effettuati anche allo scopo di confermare o smentire quanto di volta in volta ipotizzato durante la mia esperienza diretta, o segnalato da altri ricercatori e operatori del settore.
I principali punti di riferimento per l’analisi in questione, sono riconducibili al complesso problema delle cause, dei meccanismi patogenetici, delle localizzazioni dei danni organici, delle manifestazioni cliniche, delle scelte e degli effetti delle terapie, non solo per avallarne o meno l’efficacia, ma anche per pronunciarsi in termini prognostici nei confronti di una patologia troppo spesso e talvolta affrettatamente definita come insormontabile e irrimediabile.
I risultati (da considerare mai definitivi!) di una lunga e approfondita serie di rilievi e analisi quali- quantitative, sono riassumibili per linee essenziali e per riferimenti di maggior interesse pratico, nei seguenti punti:
Non è più possibile parlare di cause di autismo solo come innesco genetico. Malattie esclusivamente genetiche hanno andamenti epidemiologici costanti. L’aumento del 700% dei casi di autismo in tutti i paesi del mondo, disattiva di fatto la teoria che possa trattarsi di una patologia di sola origine genetica, spingendo a prendere in considerazione il concorso di fattori esterni, ambientali, alimentari, infettivi, tossici, farmacologici; e inducendo altresì a pensare anche alla “epigenetica”, ossia alle modifiche del patrimonio genico legate non alla trasmissione attraverso DNA, bensì all’effetto delle influenze ambientali.
Gli organi e apparati danneggiati nei diversi “autismi”, risultano essere soprattutto l’encefalo (cervello, cervelletto, tronco encefalico), il sistema digerente, l’apparato immunitario, il sistema endocrino; in misure e combinazioni diverse da caso a caso o almeno da gruppi di casi a gruppi di casi.
Le manifestazioni cliniche delle sindromi autistiche hanno insorgenze molto precoci: dai primissimi mesi di vita nelle forme cosiddette primitive, ai quindici-diciotto mesi nelle forme cosiddette regressive. Ma in una situazione come nell’altra, non esiste un “presto” per pronunciarsi in senso diagnostico, e non vi possono essere ormai più giustificazioni per una ritardata diagnosi di autismo.
Ne consegue la necessità di prese in carico terapeutiche immediate e precoci, senza rinvii inutili e dannosi. Statistiche alla mano, possiamo affermare che la maggiore percentuale di recuperi significativi di soggetti autistici, coincide con i parametri: immediatezza, intensività, qualità di intervento.
In un’ampia e significativa percentuale di casi (tra il sessanta e il settanta), il ricorso a provvedimenti alimentari e a trattamenti biomedici, ha migliorato notevolmente le capacità di risposta dei soggetti autistici alle terapie abilitative riabilitative educative.
Protagonista dei protocolli terapeutici deve essere l’intervento logopedico, da considerarsi fondamentale, improcrastinabile, e dunque non subordinato né nel tempo né nell’attesa di risultati, a qualsiasi altra forma di terapia. Affiancare, sì, ma non anteporre altri trattamenti rispetto a quello logopedico, da intendere peraltro nella sua piena realizzazione su tutti gli aspetti del profilo comunicativo: percettivo, cognitivo-integrativo, motorio-prassico-espressivo, relazionale-comportamentale.
Non è vero che i sintomi dell’autismo non solo estinguibili. Trattamenti precoci, intensivi, competenti, possono consentire a un soggetto autistico, di diventare comunicativo, verbale, autonomo, socialmente compatibile, scolarizzabile, inseribile nel mondo del lavoro. Ciò non vuol dire il raggiungimento di una perfezione prestazionale o il superamento della patologia da parte di tutti; ma l’attuale provata e documentata esistenza di bambini riconosciuti inizialmente autistici, e migliorati al punto da aver estinto quelle sintomatologie, autorizza a credere e a investire in un lavoro di recupero a tutto campo, senza preclusioni e pregiudizi sulla sua possibilità di riuscita.
Resta infine un tema aperto e da approfondire nel tempo: il nesso tra autismo infantile, sua evoluzione nell’adolescenza, e psicosi dell’età adulta. Analisi e verifiche retrospettive ci autorizzano a ipotizzare legami tutt’altro che trascurabili tra autismo (e altre psicosi dell’età evolutiva) e patologie psichiatriche dell’età adulta. Da qui, l’invito ad altri studiosi della materia, a orientare anche in questa direzione le loro ricerche.
Prof. Massimo Borghese. Foniatra
Direttore Centro Diagnosi e Terapie dell’Autismo e Altre Comunicopatie
Napoli. Milano. Verona
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