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L'occhio e le patologie visive
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L'occhio e le patologie visive
Sviluppo della vista nel bambino
Oculistica pedriatrica
Nei bambini, se i primi mesi sono importanti per lo sviluppo della funzione motoria e sensoriale, il periodo che va dai sei mesi fino ai 10-12 anni è decisivo per il raggiungimento della stabilità visiva.
I danni che si verificano all'apparato visivo nei primi sei mesi di età sono spesso irreversibili; dopo i sei mesi i danni generano un regresso delle facoltà visive acquisite, ma un trattamento tempestivo consente di far recuperare le potenzialità perdute.
Alla nascita il neonato è in grado di captare tutti gli stimoli visivi provenienti dall'ambiente circostante ma non di elaborarli, di organizzarli in immagini e, quindi, di capirli; il bambino vede luci e forme ma non può attribuirli a cose, persone e ambienti.
Nei primi quattro mesi di vita si sviluppano le principali funzioni monoculari e binoculari, sia sensoriali sia motorie, la convergenza, l'accomodazione e i movimenti orizzontali rapidi.
A 15 giorni, il bambino riesce a mettere a fuoco le immagini distanti 20-30 cm dagli occhi, non riconosce ancora i colori, ma distingue la luce dal buio.
Non avendo ancora il pieno controllo dei muscoli oculari si stanca presto e talvolta può sembrare strabico.
Dopo 10-12 settimane distingue il viso umano rispondendo a sorrisi, smorfie e movimenti delle labbra; segue le immagini in movimento ruotando il capo e facendo convergere gli occhi se gli si avvicina un oggetto al viso.
Tra il quarto e il sesto mese il bambino è in grado di fissare un oggetto, di seguirne il movimento e di volgere lo sguardo verso uno stimolo visivo.
Tra il quarto e il quinto mese mette a fuoco le immagini fino a qualche metro di distanza, distinguendo chiaramente alcuni colori fondamentali quali il rosso, il verde e il blu.
A sei mesi controlla abbastanza bene i muscoli oculari, quindi scompare l'eventuale strabismo, ed è attratto da oggetti di piccole dimensioni.
A sette mesi vede come una persona miope, mentre a dieci acquista il senso di profondità delle immagini (acutezza stereoscopica).
Tra gli uno e due anni il bambino raggiunge il pieno controllo dei muscoli oculari, mentre l'accomodazione gli consente di mettere a fuoco gli oggetti a qualsiasi distanza.
A due anni raggiunge i dieci decimi di acutezza visiva e le sue strutture oculari funzionano in modo completo.
Tabella
* 0-1 mese: Presta attenzione alla luce; limitata capacità di fissazione.
# 1-2 mesi: Segue oggetti e luci in movimento; presta attenzione a stimoli nuovi e complessi.
# 2-3 mesi: Matura la capacità di convergenza, di fissazione e di focalizzazione.
# 3-4 mesi: Movimenti oculari più lineari ed aumento dell'acuità visiva; osserva e manipola oggetti
# 4-5 mesi: Sposta lo sguardo dagli oggetti alle parti del corpo; tenta di raggiungere e spostarsi verso gli oggetti; riconosce visi e oggetti familiari.
# 5-6 mesi: Raggiunge e afferra gli oggetti.
# 6-7 mesi: Movimenti oculari completi e coordinati; sposta lo sguardo da un oggetto all'altro.
# 7-8 mesi: Manipola gli oggetti guardandoli.
# 9-10 mesi: Manipola gli oggetti guardandoli.
# 11-18 mesi: Tutte le funzioni visive giungono a maturazione.
# 18-24 mesi: Appaia oggetti, imita azioni.
# 24-30 mesi: Appaia colori e forme; esplora visivamente oggetti distanti.30-36 mesi: Appaia forme geometriche; disegna rudimentali cerchi.
# 36-48 mesi: Buona percezione della profondità; riconosce molte forme.
(Fonte: occhio.it)
Oculistica pedriatrica
Nei bambini, se i primi mesi sono importanti per lo sviluppo della funzione motoria e sensoriale, il periodo che va dai sei mesi fino ai 10-12 anni è decisivo per il raggiungimento della stabilità visiva.
I danni che si verificano all'apparato visivo nei primi sei mesi di età sono spesso irreversibili; dopo i sei mesi i danni generano un regresso delle facoltà visive acquisite, ma un trattamento tempestivo consente di far recuperare le potenzialità perdute.
Alla nascita il neonato è in grado di captare tutti gli stimoli visivi provenienti dall'ambiente circostante ma non di elaborarli, di organizzarli in immagini e, quindi, di capirli; il bambino vede luci e forme ma non può attribuirli a cose, persone e ambienti.
Nei primi quattro mesi di vita si sviluppano le principali funzioni monoculari e binoculari, sia sensoriali sia motorie, la convergenza, l'accomodazione e i movimenti orizzontali rapidi.
A 15 giorni, il bambino riesce a mettere a fuoco le immagini distanti 20-30 cm dagli occhi, non riconosce ancora i colori, ma distingue la luce dal buio.
Non avendo ancora il pieno controllo dei muscoli oculari si stanca presto e talvolta può sembrare strabico.
Dopo 10-12 settimane distingue il viso umano rispondendo a sorrisi, smorfie e movimenti delle labbra; segue le immagini in movimento ruotando il capo e facendo convergere gli occhi se gli si avvicina un oggetto al viso.
Tra il quarto e il sesto mese il bambino è in grado di fissare un oggetto, di seguirne il movimento e di volgere lo sguardo verso uno stimolo visivo.
Tra il quarto e il quinto mese mette a fuoco le immagini fino a qualche metro di distanza, distinguendo chiaramente alcuni colori fondamentali quali il rosso, il verde e il blu.
A sei mesi controlla abbastanza bene i muscoli oculari, quindi scompare l'eventuale strabismo, ed è attratto da oggetti di piccole dimensioni.
A sette mesi vede come una persona miope, mentre a dieci acquista il senso di profondità delle immagini (acutezza stereoscopica).
Tra gli uno e due anni il bambino raggiunge il pieno controllo dei muscoli oculari, mentre l'accomodazione gli consente di mettere a fuoco gli oggetti a qualsiasi distanza.
A due anni raggiunge i dieci decimi di acutezza visiva e le sue strutture oculari funzionano in modo completo.
Tabella
* 0-1 mese: Presta attenzione alla luce; limitata capacità di fissazione.
# 1-2 mesi: Segue oggetti e luci in movimento; presta attenzione a stimoli nuovi e complessi.
# 2-3 mesi: Matura la capacità di convergenza, di fissazione e di focalizzazione.
# 3-4 mesi: Movimenti oculari più lineari ed aumento dell'acuità visiva; osserva e manipola oggetti
# 4-5 mesi: Sposta lo sguardo dagli oggetti alle parti del corpo; tenta di raggiungere e spostarsi verso gli oggetti; riconosce visi e oggetti familiari.
# 5-6 mesi: Raggiunge e afferra gli oggetti.
# 6-7 mesi: Movimenti oculari completi e coordinati; sposta lo sguardo da un oggetto all'altro.
# 7-8 mesi: Manipola gli oggetti guardandoli.
# 9-10 mesi: Manipola gli oggetti guardandoli.
# 11-18 mesi: Tutte le funzioni visive giungono a maturazione.
# 18-24 mesi: Appaia oggetti, imita azioni.
# 24-30 mesi: Appaia colori e forme; esplora visivamente oggetti distanti.30-36 mesi: Appaia forme geometriche; disegna rudimentali cerchi.
# 36-48 mesi: Buona percezione della profondità; riconosce molte forme.
(Fonte: occhio.it)
guardian angel- Millenium member
- Numero di messaggi : 3720
Data d'iscrizione : 29.09.10
Località : Toscana
le principali patologie oculari nei bambini
Principali patologie oculari dell'età pediatrica
Ambliopia
Per ambliopia si intende una diminuzione dell'acuità visiva in un occhio che non presenta alcuna modificazione strutturale clinicamente evidenziabile in grado di spiegare tale perdita di funzione.
A causa del diverso sviluppo tra i due occhi, nella fase di formazione dell'apparato visivo, il bambino comincia ad utilizzarne uno solo; il mancato esercizio dell'occhio più debole accentua la differenza tra i due e può portare all'ipovisione di quello meno sviluppato.
Se l'ambliopia riguarda entrambi gli occhi è facile, per il genitore, accorgersene poiché il bambino mostra chiaramente di non vederci bene: non segue con lo sguardo, non tende le mani verso gli oggetti, non impara a camminare.
Se, invece, l'ambliopia interessa un solo occhio è più difficile rilevare il difetto, poiché il bambino mostra di vedere bene con entrambi gli occhi: impara anche a camminare, tutt'al più cade facilmente in quanto, senza la visione binoculare, non acquisisce la percezione della profondità.
Le cause che generalmente determinano l'ambliopia possono essere classificate in tre categorie:
* strabismo
* anisometropia ovvero differenza nei difetti di refrazione tra i due occhi (ad esempio, uno miope e l'altro ipermetrope)
* deprivazione, quando cioè lo stimolo luminoso non riesce ad arrivare alla retina (cataratta congenita, ptosi palpebrale).
"L'occhio pigro" è un difetto visivo molto diffuso tra i bambini che però, se correttamente affrontato e non sottovalutato, può essere felicemente risolto nella quasi totalità dei casi.
La terapia consiste nell'occlusione dell'occhio sano, nell'utilizzo di lenti correttive e di varie forme di stimolazione che favoriscono il recupero visivo dell'occhio ambliope.
L'intervento correttivo deve però avvenire in età pediatrica: se l'ambliopia viene diagnosticata oltre i sei anni di età, diventa quasi del tutto inguaribile.
Ptosi congenita
Alcuni bambini possono presentare, alla nascita, un abbassamento anomalo di una o di entrambe le palpebre superiori, condizione definita ptosi congenita: uno dei muscoli elevatori è sostituito da tessuto fibroso, in proporzione all'entità della ptosi, e la palpebra superiore non si rilascia normalmente nello sguardo in basso.
Anche nelle forme più gravi, la rima palpebrale superiore non si abbassa di molto al di sotto del margine inferiore della pupilla: se ciò avviene il difetto può avere origini neurologiche.
I bambini affetti da ptosi sollevano le sopracciglia con il muscolo frontale nel tentativo di elevare la palpebra; se una o entrambe le palpebre ptosiche coprono la parte superiore della pupilla il bambino solleva il mento per guardare davanti a sé.
Questo problema diventa evidente quando il piccolo ha un buon controllo del capo, di norma a 4-5 mesi di età.
Il trattamento è di tipo chirurgico e mira a ripristinare la posizione normale della palpebra superiore.
Nei casi gravi, quando cioè la ptosi richiede una posizione di compensazione del mento per guardare avanti, l'intervento chirurgico dovrà essere effettuato entro il primo anno di età; nelle forme meno gravi l'operazione può essere rimandata di alcuni anni.
Congiuntiviti
Nei bambini come negli adulti, l'infiammazione della congiuntiva può avere diverse origini.
La congiuntivite gonococcica è una grave forma di congiuntivite neonatale. L'infezione si estende rapidamente presentando abbondante secrezione purulenta e gonfiore della palpebra.
Sebbene la congiuntivite non richiede, generalmente, un trattamento di emergenza, quella di origine gonococcica costituisce un'eccezione: il genococco è, infatti, in grado di penetrare rapidamente nella cornea e un ritardo nell'inizio del trattamento, anche di 24 o 48 ore, può dar luogo ad ulcerazione o perforazione corneale.
La congiuntivite neonatale da Chlamydia (oftalmoblenorrea o congiuntivite da inclusi) è causata dal batterio Chlamydia trachomatis, trasmesso durante il parto a seguito del contatto diretto della congiuntiva con le secrezioni della porzione cervicale dell'utero.
Si manifesta nei neonati di 1-2 settimane presentandosi inizialmente come una congiuntivite acuta purulenta che evolve in congiuntivite papillare con quantità modeste di essudato.
Indagini di laboratorio permettono di formulare la diagnosi. Il neonato può, inoltre, sviluppare una congiuntivite non specifica, generalmente causata da inoculazione, nella congiuntiva, di microrganismi batterici vaginali (Staphylococcus, Steptococcus ed altra flora vaginale) durante il parto.
La terapia delle diverse forme di congiuntivite è sempre basata sull'instillazione frequente di colliri antibiotici, possibilmente mirati sul batterio causa specifica della patologia; talvolta, nelle forme più gravi, è necessario associare una terapia generale con antibiotici.
Cheratocongiuntiviti
Le più comuni cheratocongiuntiviti dell'età pediatrica sono quelle allergiche, caratterizzate da iperemia e lacrimazione.
Il trattamento è sintomatico e consiste nell'uso di antistaminici e cortisonici, desensibilizzazione ed eliminazione dell'antigene. Le cheratomicosi sono molto rare e colpiscono i bambini esposti al frequente contatto con la terra o a microtraumatismi.
L'unica metodica di indagine è l'esame biomicroscopico della cornea, della congiuntiva e delle palpebre, in grado di evidenziare le alterazioni esistenti.
Glaucoma Congenito
Il glaucoma infantile è un'affezione rara e può interessare uno o entrambi gli occhi.
In più dell'80% di casi, i sintomi compaiono prima che il bambino abbia compiuto un anno di età; i più comuni sono: lacrimazione eccessiva, fotofobia (sensibilità alla luce), blefarospasmo (battito palpebrale frequente).
L'esame oculistico rileva un offuscamento corneale secondario ad edema, una aumentata pressione intraoculare ed una escavazione della papilla del nervo ottico.
Con il progredire della malattia, il diametro corneale aumenta (buftalmo) e la sclera assume una colorazione bluastra.
La terapia consiste, quando possibile, in trattamenti farmacologici, ma è spesso consigliato l'intervento chirurgico.
Cataratta
La cataratta è l'opacizzazione del cristallino, la lente naturale interna all'occhio.
Quando un occhio è affetto da cataratta, il cristallino opaco arresta parzialmente il passaggio dei raggi luminosi che vengono deviati in più direzioni, impedendo così la normale focalizzazione sulla retina.
Nei bambini la cataratta può essere di tipo traumatico o congenito; in quest'ultimo caso, la cataratta non ha generalmente un andamento progressivo. Se l'esordio avviene nella prima infanzia, si può manifestare un'ambliopia che costituisce la causa principale delle difficoltà visive ed il motivo del ricorso alle cure dello specialista.
Il trattamento è esclusivamente di tipo chirurgico.
Persistenza del Vitreo
La persistenza del vitreo iperplastico primitivo è la causa più comune di cataratta monolaterale nel neonato e nella prima infanzia. Nella crescita prenatale, il segmento posteriore dell'occhio è infarcito di rami dell'arteria ialoide proveniente dal nervo ottico (vitreo primario).
Successivamente, questi vasi sanguigni scompaiono, per essere sostituiti dal vitreo secondario che a sua volta origina il vitreo trasparente e avascolare tipico di ogni persona vivente.
Se alcuni vasi sanguigni permangono tipicamente l'arteria ialoide che porta dal disco ottico alla superficie posteriore del cristallino permane anche il vitreo primario.
L'occhio con vitreo iperplastico primitivo persistente è di solito più piccolo del controlaterale normale.
Coloboma
Il coloboma dell'iride è la manifestazione esterna della mancata chiusura della fessura fetale.
Può essere monolaterale o bilaterale, può presentarsi isolato, come manifestazione oculare o associato ad anomalie cardiache, dell'udito o del sistema nervoso centrale.
Se limitato all'iride, consente una visione normale, mentre il coloboma della coroide (coloboma della retina), che interessa il nervo ottico o l'area della macula, limita notevolmente la capacità visiva.
tratto da http://www.amedeolucente.it/
Ambliopia
Per ambliopia si intende una diminuzione dell'acuità visiva in un occhio che non presenta alcuna modificazione strutturale clinicamente evidenziabile in grado di spiegare tale perdita di funzione.
A causa del diverso sviluppo tra i due occhi, nella fase di formazione dell'apparato visivo, il bambino comincia ad utilizzarne uno solo; il mancato esercizio dell'occhio più debole accentua la differenza tra i due e può portare all'ipovisione di quello meno sviluppato.
Se l'ambliopia riguarda entrambi gli occhi è facile, per il genitore, accorgersene poiché il bambino mostra chiaramente di non vederci bene: non segue con lo sguardo, non tende le mani verso gli oggetti, non impara a camminare.
Se, invece, l'ambliopia interessa un solo occhio è più difficile rilevare il difetto, poiché il bambino mostra di vedere bene con entrambi gli occhi: impara anche a camminare, tutt'al più cade facilmente in quanto, senza la visione binoculare, non acquisisce la percezione della profondità.
Le cause che generalmente determinano l'ambliopia possono essere classificate in tre categorie:
* strabismo
* anisometropia ovvero differenza nei difetti di refrazione tra i due occhi (ad esempio, uno miope e l'altro ipermetrope)
* deprivazione, quando cioè lo stimolo luminoso non riesce ad arrivare alla retina (cataratta congenita, ptosi palpebrale).
"L'occhio pigro" è un difetto visivo molto diffuso tra i bambini che però, se correttamente affrontato e non sottovalutato, può essere felicemente risolto nella quasi totalità dei casi.
La terapia consiste nell'occlusione dell'occhio sano, nell'utilizzo di lenti correttive e di varie forme di stimolazione che favoriscono il recupero visivo dell'occhio ambliope.
L'intervento correttivo deve però avvenire in età pediatrica: se l'ambliopia viene diagnosticata oltre i sei anni di età, diventa quasi del tutto inguaribile.
Ptosi congenita
Alcuni bambini possono presentare, alla nascita, un abbassamento anomalo di una o di entrambe le palpebre superiori, condizione definita ptosi congenita: uno dei muscoli elevatori è sostituito da tessuto fibroso, in proporzione all'entità della ptosi, e la palpebra superiore non si rilascia normalmente nello sguardo in basso.
Anche nelle forme più gravi, la rima palpebrale superiore non si abbassa di molto al di sotto del margine inferiore della pupilla: se ciò avviene il difetto può avere origini neurologiche.
I bambini affetti da ptosi sollevano le sopracciglia con il muscolo frontale nel tentativo di elevare la palpebra; se una o entrambe le palpebre ptosiche coprono la parte superiore della pupilla il bambino solleva il mento per guardare davanti a sé.
Questo problema diventa evidente quando il piccolo ha un buon controllo del capo, di norma a 4-5 mesi di età.
Il trattamento è di tipo chirurgico e mira a ripristinare la posizione normale della palpebra superiore.
Nei casi gravi, quando cioè la ptosi richiede una posizione di compensazione del mento per guardare avanti, l'intervento chirurgico dovrà essere effettuato entro il primo anno di età; nelle forme meno gravi l'operazione può essere rimandata di alcuni anni.
Congiuntiviti
Nei bambini come negli adulti, l'infiammazione della congiuntiva può avere diverse origini.
La congiuntivite gonococcica è una grave forma di congiuntivite neonatale. L'infezione si estende rapidamente presentando abbondante secrezione purulenta e gonfiore della palpebra.
Sebbene la congiuntivite non richiede, generalmente, un trattamento di emergenza, quella di origine gonococcica costituisce un'eccezione: il genococco è, infatti, in grado di penetrare rapidamente nella cornea e un ritardo nell'inizio del trattamento, anche di 24 o 48 ore, può dar luogo ad ulcerazione o perforazione corneale.
La congiuntivite neonatale da Chlamydia (oftalmoblenorrea o congiuntivite da inclusi) è causata dal batterio Chlamydia trachomatis, trasmesso durante il parto a seguito del contatto diretto della congiuntiva con le secrezioni della porzione cervicale dell'utero.
Si manifesta nei neonati di 1-2 settimane presentandosi inizialmente come una congiuntivite acuta purulenta che evolve in congiuntivite papillare con quantità modeste di essudato.
Indagini di laboratorio permettono di formulare la diagnosi. Il neonato può, inoltre, sviluppare una congiuntivite non specifica, generalmente causata da inoculazione, nella congiuntiva, di microrganismi batterici vaginali (Staphylococcus, Steptococcus ed altra flora vaginale) durante il parto.
La terapia delle diverse forme di congiuntivite è sempre basata sull'instillazione frequente di colliri antibiotici, possibilmente mirati sul batterio causa specifica della patologia; talvolta, nelle forme più gravi, è necessario associare una terapia generale con antibiotici.
Cheratocongiuntiviti
Le più comuni cheratocongiuntiviti dell'età pediatrica sono quelle allergiche, caratterizzate da iperemia e lacrimazione.
Il trattamento è sintomatico e consiste nell'uso di antistaminici e cortisonici, desensibilizzazione ed eliminazione dell'antigene. Le cheratomicosi sono molto rare e colpiscono i bambini esposti al frequente contatto con la terra o a microtraumatismi.
L'unica metodica di indagine è l'esame biomicroscopico della cornea, della congiuntiva e delle palpebre, in grado di evidenziare le alterazioni esistenti.
Glaucoma Congenito
Il glaucoma infantile è un'affezione rara e può interessare uno o entrambi gli occhi.
In più dell'80% di casi, i sintomi compaiono prima che il bambino abbia compiuto un anno di età; i più comuni sono: lacrimazione eccessiva, fotofobia (sensibilità alla luce), blefarospasmo (battito palpebrale frequente).
L'esame oculistico rileva un offuscamento corneale secondario ad edema, una aumentata pressione intraoculare ed una escavazione della papilla del nervo ottico.
Con il progredire della malattia, il diametro corneale aumenta (buftalmo) e la sclera assume una colorazione bluastra.
La terapia consiste, quando possibile, in trattamenti farmacologici, ma è spesso consigliato l'intervento chirurgico.
Cataratta
La cataratta è l'opacizzazione del cristallino, la lente naturale interna all'occhio.
Quando un occhio è affetto da cataratta, il cristallino opaco arresta parzialmente il passaggio dei raggi luminosi che vengono deviati in più direzioni, impedendo così la normale focalizzazione sulla retina.
Nei bambini la cataratta può essere di tipo traumatico o congenito; in quest'ultimo caso, la cataratta non ha generalmente un andamento progressivo. Se l'esordio avviene nella prima infanzia, si può manifestare un'ambliopia che costituisce la causa principale delle difficoltà visive ed il motivo del ricorso alle cure dello specialista.
Il trattamento è esclusivamente di tipo chirurgico.
Persistenza del Vitreo
La persistenza del vitreo iperplastico primitivo è la causa più comune di cataratta monolaterale nel neonato e nella prima infanzia. Nella crescita prenatale, il segmento posteriore dell'occhio è infarcito di rami dell'arteria ialoide proveniente dal nervo ottico (vitreo primario).
Successivamente, questi vasi sanguigni scompaiono, per essere sostituiti dal vitreo secondario che a sua volta origina il vitreo trasparente e avascolare tipico di ogni persona vivente.
Se alcuni vasi sanguigni permangono tipicamente l'arteria ialoide che porta dal disco ottico alla superficie posteriore del cristallino permane anche il vitreo primario.
L'occhio con vitreo iperplastico primitivo persistente è di solito più piccolo del controlaterale normale.
Coloboma
Il coloboma dell'iride è la manifestazione esterna della mancata chiusura della fessura fetale.
Può essere monolaterale o bilaterale, può presentarsi isolato, come manifestazione oculare o associato ad anomalie cardiache, dell'udito o del sistema nervoso centrale.
Se limitato all'iride, consente una visione normale, mentre il coloboma della coroide (coloboma della retina), che interessa il nervo ottico o l'area della macula, limita notevolmente la capacità visiva.
tratto da http://www.amedeolucente.it/
Ultima modifica di Maestra Gabriella il Dom Ott 21, 2012 5:18 pm - modificato 2 volte. (Motivazione : reso link attivo)
guardian angel- Millenium member
- Numero di messaggi : 3720
Data d'iscrizione : 29.09.10
Località : Toscana
Patologie visive causa di squilibri tonici-posturali
Patologie visive cause di squilibri tonici-posturali
* vizi di refrazione, miopia, ipermetropia, astigmatismo
* anisometropie (causate da diverse gradazioni ottiche tra i due occhi, con conseguenti errori prismatici indotti orizzontali o verticali)
* errori di centratura ed effetti prismatici indotti
* alterazioni della dominanza oculare
* ambliopia (deficit della visione centrale mono o bilaterale che insorge nei primi anni di vita, nel quale non sia dimostrabili alterazioni manifeste delle strutture oculari e che, se trattato adeguatamente e tempestivamente, è suscettibile di miglioramento o regressione)
* disturbi di convergenza
* strabismo
Il segno più evidente e comune a tutte le anomalie neuromuscolari degli occhi è un alterato allineamento degli assi visivi (strabismi):
- eteroforie strabismi latenti, ossia che non si manifestano grazie al processo di fusione oculare (fissazione di un oggetto);
- eterotropie strabismi manifesti ovvero non tenuti sotto controllo dal meccanismo di fusione oculare.
Lo strabismo si divide inoltre in due tipi:
- strabismo concomitante in cui la deviazione dell'asse oculare è sempre la stessa indipendentemente dalla direzione dello sguardo;
- strabismo non concomitante in cui vi è paresi (riduzione della motilità) o paralisi (perdita della capacità di contrazione) di uno o più muscoli oculari così che la deviazione oculare varia nelle diverse direzioni di sguardo ed è maggiore quando gli occhi sono rivolti verso la direzione di azione del muscolo paretico o paralitico.
L'esatto allineamento degli occhi è garantito da un normale funzionamento oculomotorio, sensoriale e di fusione. La fusione oculare è un processo che consente al cervello di unire in un'unica immagine le impressioni visive ricevute dai due occhi (esse vanno a stimolare i punti corrispondenti, ossia con comune direzione visiva, delle due retine); se ciò non avviene si ha il fenomeno della diplopia ossia si "vede doppio". Tale processo matura normalmente al sesto mese di vita e indica il completamento dello sviluppo della visione binoculare; la corretta focalizzazione oculare arriva alla massima stabilità quando il bambino aquisisce una corretta sincronizzazione della deambulazione a circa 11-12 anni.
Nelle patologie e problemamtiche visive la prevenzione è piu che mai detrminante. Nel neonato le caratteristiche morfologiche e strutturali delle vie visive sono differenti da quelle dell'adulto. L'apparato visivo, anche se già relativamente maturo alla nascita, nei primi mesi di vita risente in maniera determinante dell'influenza ambientale. La maturazione visiva è una maturazione legata allo stimolo; per la funzione visiva è l'imput sensoriale che contribuisce in maniera determinante a strutturare la funzione stessa (se un bambino viene tenuto in totale assenza di stimoli, la sua vista non si svilupperà). La corteccia cerebrale visiva alla nascita è immatura sia dal punto di vista anatomico che funzionale. Questo sviluppo dipende in gran parte dall'esperienza visiva aquisita in un breve periodo di circa 4 mesi, definito "periodo critico". In questo periodo il sistema visivo è estremamente sensibile e plastico, risente cioè moltissimo degli effetti positivi o negativi di stimoli adeguati o scorretti; è il periodo in cui vanno tempestivamente rimosse le cause più gravi di deprivazione visiva. Nei primissimi mesi di vita avviene una riorganizzazione anatomica delle connessioni all'interno della corteccia visiva che sviluppano l'accomodazione, la convergenza e i movimenti oculari rapidi (saccadi) che consentono di dirigere prontamente gli occhi verso un oggetto.
Tra il quarto e il sesto mese il bambino è in grado di fissare un oggetto, di seguirne i movimenti e di volgere rapidamente lo sguardo verso uno stimolo visivo. Al sesto mese, col maturare del processo di fusione oculare, che consente al cervello di unire in un'unica immagine le impressioni visive ricevute dai due occhi, lo sviluppo della visione binoculare singola è completato.
Una volta aquisita, la funzione sensoriale e motoria degli occhi del bambino diviene stabile a circa 11-12 anni contemporaneamente al completo sviluppo dell'equilibrio (mentre la postura vede già la sua strutturazione a circa 6 anni).
Pertanto un ostacolo alla normale maturazione dell'apparato visivo, che appare nei primi 6 mesi di vita, può determinare un danno grave e spesso irreversibile (arresto dello sviluppo) mentre, se il problema si presenta dopo il sesto mese, vi è di norma una sua regressione o estinzione, il danno risulta comunque minore e un trattamento tempestivo (riabilitazione ortottica e oculistica) fornisce in genere risultati soddisfacenti.
Da tutto ciò risulta evidente l'importanza, anche in ambito posturale, dell'appropriata prevenzione e cura della funzione visiva.
(Fonte: http://www.giovannichetta.it/vista.html )
* vizi di refrazione, miopia, ipermetropia, astigmatismo
* anisometropie (causate da diverse gradazioni ottiche tra i due occhi, con conseguenti errori prismatici indotti orizzontali o verticali)
* errori di centratura ed effetti prismatici indotti
* alterazioni della dominanza oculare
* ambliopia (deficit della visione centrale mono o bilaterale che insorge nei primi anni di vita, nel quale non sia dimostrabili alterazioni manifeste delle strutture oculari e che, se trattato adeguatamente e tempestivamente, è suscettibile di miglioramento o regressione)
* disturbi di convergenza
* strabismo
Il segno più evidente e comune a tutte le anomalie neuromuscolari degli occhi è un alterato allineamento degli assi visivi (strabismi):
- eteroforie strabismi latenti, ossia che non si manifestano grazie al processo di fusione oculare (fissazione di un oggetto);
- eterotropie strabismi manifesti ovvero non tenuti sotto controllo dal meccanismo di fusione oculare.
Lo strabismo si divide inoltre in due tipi:
- strabismo concomitante in cui la deviazione dell'asse oculare è sempre la stessa indipendentemente dalla direzione dello sguardo;
- strabismo non concomitante in cui vi è paresi (riduzione della motilità) o paralisi (perdita della capacità di contrazione) di uno o più muscoli oculari così che la deviazione oculare varia nelle diverse direzioni di sguardo ed è maggiore quando gli occhi sono rivolti verso la direzione di azione del muscolo paretico o paralitico.
L'esatto allineamento degli occhi è garantito da un normale funzionamento oculomotorio, sensoriale e di fusione. La fusione oculare è un processo che consente al cervello di unire in un'unica immagine le impressioni visive ricevute dai due occhi (esse vanno a stimolare i punti corrispondenti, ossia con comune direzione visiva, delle due retine); se ciò non avviene si ha il fenomeno della diplopia ossia si "vede doppio". Tale processo matura normalmente al sesto mese di vita e indica il completamento dello sviluppo della visione binoculare; la corretta focalizzazione oculare arriva alla massima stabilità quando il bambino aquisisce una corretta sincronizzazione della deambulazione a circa 11-12 anni.
Nelle patologie e problemamtiche visive la prevenzione è piu che mai detrminante. Nel neonato le caratteristiche morfologiche e strutturali delle vie visive sono differenti da quelle dell'adulto. L'apparato visivo, anche se già relativamente maturo alla nascita, nei primi mesi di vita risente in maniera determinante dell'influenza ambientale. La maturazione visiva è una maturazione legata allo stimolo; per la funzione visiva è l'imput sensoriale che contribuisce in maniera determinante a strutturare la funzione stessa (se un bambino viene tenuto in totale assenza di stimoli, la sua vista non si svilupperà). La corteccia cerebrale visiva alla nascita è immatura sia dal punto di vista anatomico che funzionale. Questo sviluppo dipende in gran parte dall'esperienza visiva aquisita in un breve periodo di circa 4 mesi, definito "periodo critico". In questo periodo il sistema visivo è estremamente sensibile e plastico, risente cioè moltissimo degli effetti positivi o negativi di stimoli adeguati o scorretti; è il periodo in cui vanno tempestivamente rimosse le cause più gravi di deprivazione visiva. Nei primissimi mesi di vita avviene una riorganizzazione anatomica delle connessioni all'interno della corteccia visiva che sviluppano l'accomodazione, la convergenza e i movimenti oculari rapidi (saccadi) che consentono di dirigere prontamente gli occhi verso un oggetto.
Tra il quarto e il sesto mese il bambino è in grado di fissare un oggetto, di seguirne i movimenti e di volgere rapidamente lo sguardo verso uno stimolo visivo. Al sesto mese, col maturare del processo di fusione oculare, che consente al cervello di unire in un'unica immagine le impressioni visive ricevute dai due occhi, lo sviluppo della visione binoculare singola è completato.
Una volta aquisita, la funzione sensoriale e motoria degli occhi del bambino diviene stabile a circa 11-12 anni contemporaneamente al completo sviluppo dell'equilibrio (mentre la postura vede già la sua strutturazione a circa 6 anni).
Pertanto un ostacolo alla normale maturazione dell'apparato visivo, che appare nei primi 6 mesi di vita, può determinare un danno grave e spesso irreversibile (arresto dello sviluppo) mentre, se il problema si presenta dopo il sesto mese, vi è di norma una sua regressione o estinzione, il danno risulta comunque minore e un trattamento tempestivo (riabilitazione ortottica e oculistica) fornisce in genere risultati soddisfacenti.
Da tutto ciò risulta evidente l'importanza, anche in ambito posturale, dell'appropriata prevenzione e cura della funzione visiva.
(Fonte: http://www.giovannichetta.it/vista.html )
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Re: L'occhio e le patologie visive
SVILUPPO DEL SISTEMA VISIVO
E SEGNI PRECOCI DI IPOVISIONE
Dott.ssa Claudia Cordaro
Centro Regionale per l’ipovisione
Ass. “La Nostra Famiglia” di Pasian di Prato (UD)
Polo I.R.C.C.S. “E. Medea” del Friuli
http://cti.besta.it/_res/_doc/conv_20apr/int1.pdf
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Re: L'occhio e le patologie visive
L'occhio: anatomia e fisiologia
http://www.ocupisa.it/box/dia/Anatomia_Fisiologia2009.pdf
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Re: L'occhio e le patologie visive
La prevenzione della cecità infantile
http://www.salvatorecapobianco.it/Difesa%20Vista.htm
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Aspetti psicologici della minorazione visiva
LA MANO SUL CAPPELLO
HANDICAP E DISABILITA’ NELLA MINORAZIONE VISIVA
Aspetti psicologici della minorazione visiva
di Enrico Negri, psicologo
.......La sofferenza dei minorati della visione deriva fondamentalmente dal confronto con la realtà e con le persone normovedenti; come vedremo successivamente nel capitolo sull’analisi dei casi clinici, il problema non è la minorazione in sé ma quanto il confronto con la realtà dei più fortunati. Questa sofferenza, che si manifesta essenzialmente attraverso il senso di inferiorità e inadeguatezza, è resa ancora più profonda dal mito trainante della nostra cultura ovvero quello dell’uomo forte ed efficiente, dinamico, integro e "perfetto". Così come le persone tendono a considerare più intelligente e appetibile una persona integra ed efficiente, l’invalido tenderà a considerarsi e a percepirsi come più impacciato, goffo e meno appetibile, interessante e richiesto da un punto di vista sociale e delle relazioni interpersonali e sentimentali. A volte la clamorosa e pervicace negazione dei propri problemi e della propria minorazione diventa l’unico strumento di difesa disperata contro lo sgretolamento della propria identità sociale. Nelle nostre società occidentali, infatti, le persone che rappresentano, più fedelmente, i valori e l’immagine della persona vincente, tendono a essere considerate migliori e più capaci nel complesso: questo effetto, che è stato studiato molto soprattutto dafli psicologi sociali, si chiama effetto alone. Molte ricerche hanno dimostrato come la bellezza fisica nelle donne stimolasse negli uomini l’idea che esse fossero anche intelligenti, simpatiche e intraprendenti. In pratica una caratteristica della persona porta con sé, a volte in modo inconsapevole, altri giudizi sulle sue qualità e capacità. L’effetto alone, tuttavia, non è portatore solo di giudizi positivi ma a volte è foriero di pregiudizi negativi verso coloro che non rappresentano a pieno i valori e le caratteristiche della nostra cultura e che, per qualche ragione, sono considerati o appaiono diversi. Non solo gli invalidi sono vittime dell’effetto alone negativo: per esempio gli obesi sono spesso considerati, a torto, più stupidi delle persone magre e questo perché essi non aderiscono, a causa del loro aspetto, al mito della magrezza tanto sbandierato e che tanti problemi psicologici sta creando soprattutto alle giovani generazioni. Molto spesso questi pregiudizi negativi sono condivisi anche dal gruppo di persone che né è vittima e provoca, in esse, sentimenti di inferiorità e inadeguatezza.
Riassumendo, la società occidentale può ostacolare il processo di emancipazione dell’individuo disabile in due modi: in primo luogo trasformando la sua disabilià in uno svantaggio permanente vale a dire in un handicap. In secondo luogo costruendo miti di perfezione ed efficienza che gravano molti individui, non solo disabili, di un pesante senso di inferiorità e di esclusione. In questo ambito la psicologia serve a poco, sarebbe necessaria piuttosto una rivoluzione culturale capace di smontare il mito dell’uomo "americano" che fa per sostituirlo con quello dell’uomo - un indiano forse - che semplicemente esiste, squotendo alla base i pregiudizi e le credenze che lo sostengono e che esso stesso ha prodotto.
"Siamo abituati al fatto che l’uomo legge con gli occhi e parla con la bocca. Solo un grandioso esperimento culturale che dimostra che si può leggere con le dita e parlare con la mano ci rivela tutta la convenzionalità e la mobilità delle forme culturali del comportamento".
Queste parole di Vygotskij (1986) mi sembra possano degnamente concludere queste riflessioni sull’handicap. Le sue intuizioni geniali anticipano le ricerche sulle persone cieche dalla nascita che hanno riacquistato la vista grazie a un’operazione chirurgica. Per loro uno stimolo per noi ovvio come il volto umano è un’assoluta novità, una configurazione di elementi privi di significato. Lo stesso problema incontrano coloro che devono imparare a sentire dopo un impianto cocleare. Posso solo aggiungere, portando all’estremo questa idea, che si impara anche a vedere con gli occhi e a sentire con le orecchie.
IL BAMBINO SUBVEDENTE
Nel bambino con minorazione visiva lo sviluppo psicologico segue un percorso differente da quello del bambino vedente: la mancanza di uno dei canali sensoriali, attraverso i quali si realizzano le esperienze più significative nei primi anni di vita, determinano un ritardo nelle principali fasi evolutive. Generalmente il bambino non vedente arriva più tardi alla consapevolezza di una propria individualità anche perché necessariamente, a causa dell’handicap, la madre deve svolgere con il bambino più a lungo un ruolo di aiuto, sostegno e mediazione con l’ambiente circostante, sostituendosi al figlio nello svolgere quelle azioni che il bambino vedente riesce precocemente a raggiungere. Per esempio come ha evidenziato S. Freiberg (1977), la crisi dell’estraneo determinata dalla capacità di discriminare le figure familiari dalle altre, che normalmente viene raggiunta verso i 7-9 mesi, nel caso del bambino non vedente si verifica intorno ai 16-18 mesi. In questa fase, al momento della separazione dai genitori si manifestano paura e angoscia, reazioni che nel bambino non vedente hanno intensità maggiore che nel vedente. Pertanto anche brevi allontanamenti possono essere vissuti dal bambino in modo gravemente traumatico.
Separazioni precoci tra il bambino ed i suoi familiari, anche se apparentemente il bambino non reagisce in quanto non è ancora in grado di discriminare tra i genitori e gli altri adulti, costituiscono un ulteriore ostacolo nell’evoluzione del rapporto oggettuale nel processo di individuazione di sé, con gravi conseguenze per la salute mentale del bambino stesso. Il bambino in questi casi rimane in uno stato di confusione senza una chiara idea di sé stesso e degli altri. Le frequenti forme di psicosi rilevate nei bambini non vedenti sono dovute il più delle volte a questa distorsione nello sviluppo della relazione con i genitori.
Inoltre, l’assenza della vista che normalmente ha la funzione di integrare i dati afferenti dagli altri canali sensoriali, determina un ritardo nell’acquisizione della rappresentazione di un oggetto come entità globale. Per esempio, è più difficile per un bambino non vedente integrare in un unico oggetto la sensazione tattile proveniente dal corpo di una persona con la sua voce.
D’altra parte il controllo sull’ambiente si attua principalmente attraverso la vista e pertanto un bambino non vedente non può essere in grado di controllare continuativamente a distanza oggetti e persone come fa il bambino vedente.
Anche lo sviluppo delle funzioni motorie è spesso molto ritardato non per una mancanza di potenzialità funzionali ma in quanto il bambino non vedente è inibito nelle sue tendenze esplorative per la minore inclinazione verso la padronanza dell’ambiente, generalmente stimolato dal canale visivo e verso l’autonomia. Ad esempio, la deambulazione autonoma, come ha rilevato S. Fraiberg (1977) tra i primi, avviene con un ritardo di circa 6-8 mesi rispetto al bambino vedente.
Anche nell’acquisizione del linguaggio si rileva un ritardo significativo in presenza di una minorazione visiva. Nello sviluppo di questa funzione, infatti, ricopre un ruolo fondamentale la mediazione dell’adulto che attraverso la gestualità indica al bambino le associazioni tra fonemi e oggetti. In presenza di una minorazione o, peggio, di una cecità completa, questa associazione può essere mediata solo ed esclusivamente attraverso l’esplorazione tattile degli stimoli perdendo l’immediatezza e la globalità della percezione visiva.
Per tutti i genitori di bambini con gravi handicap, al momento della scoperta della minorazione del figlio, si verifica una situazione fortemente traumatica. Il trauma deriva dalla discrepanza tra il bambino "ideale", che hanno costruito come oggetto d’amore durante l’attesa, e il bambino minorato, che la realtà presenta loro. Quest’ultimo costituisce una ferita narcisistica che mette in discussione il loro valore di procreatori e a volte, a un livello più profondo, la validità globale del loro rapporto di coppia. Inoltre, quasi sempre, sviluppano un accentuato sentimento di colpa nei confronti del figlio.
Le reazioni che derivano da queste forti tensioni sono molteplici e di varia natura e possono modificarsi nel tempo. Più reazioni, anche apparentemente contraddittorie possono coesistere nella stessa persona. In alcuni casi la coppia parentale reagisce nello stesso modo rinforzando le modalità difensive messe in atto per tollerare l’angoscia profonda che l’handicap produce: in altri casi madre e padre sviluppano processi emozionali differenti e spesso evidenziano scarse capacità di comprensione reciproca, di sostegno e di solidarietà all’interno della coppia (Winnicott, 1974).
Nel caso di bambini nati a termine apparentemente sani, la diagnosi di cecità congenita, intervenendo qualche mese dopo la nascita e modificando l’immagine del bambino, rischia di distorcere il rapporto che i genitori hanno iniziato con lui. La reazione più frequente che si rileva nella letteratura clinica, nella fase diagnostica (comune a molti gravi handicap) è costituita dal bisogno di negare la minorazione, con la conseguente ricerca, a volte maniacale, di elementi che lo disconfermino, divenedo spesso in alcuni casi la modalità prevalente in cui i genitori reagiscono alla minorazione del figlio. Questo comportamento favorito dall’intervallo particolarmente ampio che intercorre quasi sempre tra la formulazione dell’ipotesi e la successiva conferma della diagnosi di cecità, fa sì che il genitore possa coltivare la speranza che la diagnosi ipotizzata venga smentita anche ricorrendo alla consultazione di specialisti diversi in campo medico. Ciò persiste nella maggioranza dei casi anche dopo l’accertamento diagnostico concretizzandosi nella ricerca di superspecialisti o di interventi miracolosi (pranoterapisti o guaritori) e diviene il veicolo principale attraverso il quale si esprime la non accettazione da parte dei genitori della cecità del figlio. Si tratta di un meccanismo difensivo che si instaura quando il problema suscita una angoscia tale che l’individuo è incapace di tollerarla: il genitore cerca percorsi attraverso i quali impegnarsi attivamente nel continuo tentativo di opporsi al dato negato alla coscienza. L’efficienza e l’impegno nel cercare specialisti o altre soluzioni, se da un lato sottolineano il sopravvivere della speranza di superare la cecità, dall’altra offrono anche una possibilità di sfogo alle tensioni interne e danno al genitore l’illusione di poter sfuggire all’impotenza di fronte all’handicap irreversibile.
Questi atteggiamenti, che inizialmente sono inevitabili, risultano nel tempo, molto negativi per il bambino minorato in quanto il genitore completamente orientato alla ricerca di soluzioni che eliminino l’handicap non si misura concretamente con la realtà del figlio, non ne rileva i bisogni e non si impegna a sufficienza nel trovare delle soluzioni adattive che assicurino un adeguato sviluppo del figlio.
Questi atteggiamenti dei genitori spesso finiscono per provocare nei figli sentimenti e vissuti di esclusione e rifiuto da parte della famiglia. Il bambino si sente una specie di oggetto di studio, interessante quasi esclusivamente da un punto di vista medico e scientifico; i genitori arrivano a lodarlo e incoraggiarlo solo quando è cooperativo e fa dei progressi, che spesso sono solo la proiezione dei loro desideri. Il bambino, continuamente in movimento tra cliniche, specialisti, medici e guaritori si sente trattato come un portatore di problemi da risolvere e, nel contempo, vede negata la sua vita affettiva ed emotiva. Puntando l’attenzione esclusivamente sulla sua minorazione egli non può che sentirsi inadeguato e poco interessante avvertendo, nel profondo, la sensazione di aver deluso le aspettative dei genitori e della famiglia. Anche in età adulta le persone con minorazione spesso si trascinano dietro vissuti di inadeguatezza, di sfiducia e disistima.
In altri casi i genitori possono sviluppare una particolare relazione con il bambino caratterizzata da iperprotezione e tendenza a limitarlo nel conseguimento dell’autonomia; questi genitori tendono a mantenere il bambino in uno stato di immaturità trattandolo in modo inadeguato alle sue esigenze di crescita e facendogli richieste inferiori alle sue potenzialità. Questa ultima tendenza dei genitori è in parte deterrninata dal comportamento del bambino non vedente che, come è stato precedentemente detto, ha una minore inclinazione verso la padronanza dell’ambiente e verso l’autonomia e presenta spesso una accentuata idiosincrasia per tutto ciò che è nuovo.
Infine, dopo la fase di negazione del problema, molte coppie genitoriali, ma soprattutto la madre, incapaci di accettare e rielaborare l’handicap del figlio sviluppano atteggiamenti e vissuti depressivi. Questa situazione emotiva dei genitori può essere molto rischiosa per il bambino: la madre poco attiva e stimolante a causa della depressione, di fronte ad un bambino che per la sua minorazione si presenta generalmente poco espressivo ed in particolare incapace di suscitare le prime comunicazioni ed i primi scambi spontanei che avvengono nei primi mesi prevalentemente con lo sguardo, diviene ancora più inefficiente. Soprattutto tenendo conto di questo dato è stato messo a punto dalla Hampstead Clinic di Londra, circa 25 anni fa, un particolare tipo di intervento che è costituito da sedute psicoterapeutiche con la mamma e il bambino finalizzate a sostenere l’interesse della madre nei confronti del figlio, ad aiutarla a comprenderlo e ad utilizzare in modo costruttivo e stimolante per il bambino le risorse concrete dell’ambiente.
(Fonte: http://www.psicopedagogie.it/ipovedenti.html )
HANDICAP E DISABILITA’ NELLA MINORAZIONE VISIVA
Aspetti psicologici della minorazione visiva
di Enrico Negri, psicologo
.......La sofferenza dei minorati della visione deriva fondamentalmente dal confronto con la realtà e con le persone normovedenti; come vedremo successivamente nel capitolo sull’analisi dei casi clinici, il problema non è la minorazione in sé ma quanto il confronto con la realtà dei più fortunati. Questa sofferenza, che si manifesta essenzialmente attraverso il senso di inferiorità e inadeguatezza, è resa ancora più profonda dal mito trainante della nostra cultura ovvero quello dell’uomo forte ed efficiente, dinamico, integro e "perfetto". Così come le persone tendono a considerare più intelligente e appetibile una persona integra ed efficiente, l’invalido tenderà a considerarsi e a percepirsi come più impacciato, goffo e meno appetibile, interessante e richiesto da un punto di vista sociale e delle relazioni interpersonali e sentimentali. A volte la clamorosa e pervicace negazione dei propri problemi e della propria minorazione diventa l’unico strumento di difesa disperata contro lo sgretolamento della propria identità sociale. Nelle nostre società occidentali, infatti, le persone che rappresentano, più fedelmente, i valori e l’immagine della persona vincente, tendono a essere considerate migliori e più capaci nel complesso: questo effetto, che è stato studiato molto soprattutto dafli psicologi sociali, si chiama effetto alone. Molte ricerche hanno dimostrato come la bellezza fisica nelle donne stimolasse negli uomini l’idea che esse fossero anche intelligenti, simpatiche e intraprendenti. In pratica una caratteristica della persona porta con sé, a volte in modo inconsapevole, altri giudizi sulle sue qualità e capacità. L’effetto alone, tuttavia, non è portatore solo di giudizi positivi ma a volte è foriero di pregiudizi negativi verso coloro che non rappresentano a pieno i valori e le caratteristiche della nostra cultura e che, per qualche ragione, sono considerati o appaiono diversi. Non solo gli invalidi sono vittime dell’effetto alone negativo: per esempio gli obesi sono spesso considerati, a torto, più stupidi delle persone magre e questo perché essi non aderiscono, a causa del loro aspetto, al mito della magrezza tanto sbandierato e che tanti problemi psicologici sta creando soprattutto alle giovani generazioni. Molto spesso questi pregiudizi negativi sono condivisi anche dal gruppo di persone che né è vittima e provoca, in esse, sentimenti di inferiorità e inadeguatezza.
Riassumendo, la società occidentale può ostacolare il processo di emancipazione dell’individuo disabile in due modi: in primo luogo trasformando la sua disabilià in uno svantaggio permanente vale a dire in un handicap. In secondo luogo costruendo miti di perfezione ed efficienza che gravano molti individui, non solo disabili, di un pesante senso di inferiorità e di esclusione. In questo ambito la psicologia serve a poco, sarebbe necessaria piuttosto una rivoluzione culturale capace di smontare il mito dell’uomo "americano" che fa per sostituirlo con quello dell’uomo - un indiano forse - che semplicemente esiste, squotendo alla base i pregiudizi e le credenze che lo sostengono e che esso stesso ha prodotto.
"Siamo abituati al fatto che l’uomo legge con gli occhi e parla con la bocca. Solo un grandioso esperimento culturale che dimostra che si può leggere con le dita e parlare con la mano ci rivela tutta la convenzionalità e la mobilità delle forme culturali del comportamento".
Queste parole di Vygotskij (1986) mi sembra possano degnamente concludere queste riflessioni sull’handicap. Le sue intuizioni geniali anticipano le ricerche sulle persone cieche dalla nascita che hanno riacquistato la vista grazie a un’operazione chirurgica. Per loro uno stimolo per noi ovvio come il volto umano è un’assoluta novità, una configurazione di elementi privi di significato. Lo stesso problema incontrano coloro che devono imparare a sentire dopo un impianto cocleare. Posso solo aggiungere, portando all’estremo questa idea, che si impara anche a vedere con gli occhi e a sentire con le orecchie.
IL BAMBINO SUBVEDENTE
Nel bambino con minorazione visiva lo sviluppo psicologico segue un percorso differente da quello del bambino vedente: la mancanza di uno dei canali sensoriali, attraverso i quali si realizzano le esperienze più significative nei primi anni di vita, determinano un ritardo nelle principali fasi evolutive. Generalmente il bambino non vedente arriva più tardi alla consapevolezza di una propria individualità anche perché necessariamente, a causa dell’handicap, la madre deve svolgere con il bambino più a lungo un ruolo di aiuto, sostegno e mediazione con l’ambiente circostante, sostituendosi al figlio nello svolgere quelle azioni che il bambino vedente riesce precocemente a raggiungere. Per esempio come ha evidenziato S. Freiberg (1977), la crisi dell’estraneo determinata dalla capacità di discriminare le figure familiari dalle altre, che normalmente viene raggiunta verso i 7-9 mesi, nel caso del bambino non vedente si verifica intorno ai 16-18 mesi. In questa fase, al momento della separazione dai genitori si manifestano paura e angoscia, reazioni che nel bambino non vedente hanno intensità maggiore che nel vedente. Pertanto anche brevi allontanamenti possono essere vissuti dal bambino in modo gravemente traumatico.
Separazioni precoci tra il bambino ed i suoi familiari, anche se apparentemente il bambino non reagisce in quanto non è ancora in grado di discriminare tra i genitori e gli altri adulti, costituiscono un ulteriore ostacolo nell’evoluzione del rapporto oggettuale nel processo di individuazione di sé, con gravi conseguenze per la salute mentale del bambino stesso. Il bambino in questi casi rimane in uno stato di confusione senza una chiara idea di sé stesso e degli altri. Le frequenti forme di psicosi rilevate nei bambini non vedenti sono dovute il più delle volte a questa distorsione nello sviluppo della relazione con i genitori.
Inoltre, l’assenza della vista che normalmente ha la funzione di integrare i dati afferenti dagli altri canali sensoriali, determina un ritardo nell’acquisizione della rappresentazione di un oggetto come entità globale. Per esempio, è più difficile per un bambino non vedente integrare in un unico oggetto la sensazione tattile proveniente dal corpo di una persona con la sua voce.
D’altra parte il controllo sull’ambiente si attua principalmente attraverso la vista e pertanto un bambino non vedente non può essere in grado di controllare continuativamente a distanza oggetti e persone come fa il bambino vedente.
Anche lo sviluppo delle funzioni motorie è spesso molto ritardato non per una mancanza di potenzialità funzionali ma in quanto il bambino non vedente è inibito nelle sue tendenze esplorative per la minore inclinazione verso la padronanza dell’ambiente, generalmente stimolato dal canale visivo e verso l’autonomia. Ad esempio, la deambulazione autonoma, come ha rilevato S. Fraiberg (1977) tra i primi, avviene con un ritardo di circa 6-8 mesi rispetto al bambino vedente.
Anche nell’acquisizione del linguaggio si rileva un ritardo significativo in presenza di una minorazione visiva. Nello sviluppo di questa funzione, infatti, ricopre un ruolo fondamentale la mediazione dell’adulto che attraverso la gestualità indica al bambino le associazioni tra fonemi e oggetti. In presenza di una minorazione o, peggio, di una cecità completa, questa associazione può essere mediata solo ed esclusivamente attraverso l’esplorazione tattile degli stimoli perdendo l’immediatezza e la globalità della percezione visiva.
Per tutti i genitori di bambini con gravi handicap, al momento della scoperta della minorazione del figlio, si verifica una situazione fortemente traumatica. Il trauma deriva dalla discrepanza tra il bambino "ideale", che hanno costruito come oggetto d’amore durante l’attesa, e il bambino minorato, che la realtà presenta loro. Quest’ultimo costituisce una ferita narcisistica che mette in discussione il loro valore di procreatori e a volte, a un livello più profondo, la validità globale del loro rapporto di coppia. Inoltre, quasi sempre, sviluppano un accentuato sentimento di colpa nei confronti del figlio.
Le reazioni che derivano da queste forti tensioni sono molteplici e di varia natura e possono modificarsi nel tempo. Più reazioni, anche apparentemente contraddittorie possono coesistere nella stessa persona. In alcuni casi la coppia parentale reagisce nello stesso modo rinforzando le modalità difensive messe in atto per tollerare l’angoscia profonda che l’handicap produce: in altri casi madre e padre sviluppano processi emozionali differenti e spesso evidenziano scarse capacità di comprensione reciproca, di sostegno e di solidarietà all’interno della coppia (Winnicott, 1974).
Nel caso di bambini nati a termine apparentemente sani, la diagnosi di cecità congenita, intervenendo qualche mese dopo la nascita e modificando l’immagine del bambino, rischia di distorcere il rapporto che i genitori hanno iniziato con lui. La reazione più frequente che si rileva nella letteratura clinica, nella fase diagnostica (comune a molti gravi handicap) è costituita dal bisogno di negare la minorazione, con la conseguente ricerca, a volte maniacale, di elementi che lo disconfermino, divenedo spesso in alcuni casi la modalità prevalente in cui i genitori reagiscono alla minorazione del figlio. Questo comportamento favorito dall’intervallo particolarmente ampio che intercorre quasi sempre tra la formulazione dell’ipotesi e la successiva conferma della diagnosi di cecità, fa sì che il genitore possa coltivare la speranza che la diagnosi ipotizzata venga smentita anche ricorrendo alla consultazione di specialisti diversi in campo medico. Ciò persiste nella maggioranza dei casi anche dopo l’accertamento diagnostico concretizzandosi nella ricerca di superspecialisti o di interventi miracolosi (pranoterapisti o guaritori) e diviene il veicolo principale attraverso il quale si esprime la non accettazione da parte dei genitori della cecità del figlio. Si tratta di un meccanismo difensivo che si instaura quando il problema suscita una angoscia tale che l’individuo è incapace di tollerarla: il genitore cerca percorsi attraverso i quali impegnarsi attivamente nel continuo tentativo di opporsi al dato negato alla coscienza. L’efficienza e l’impegno nel cercare specialisti o altre soluzioni, se da un lato sottolineano il sopravvivere della speranza di superare la cecità, dall’altra offrono anche una possibilità di sfogo alle tensioni interne e danno al genitore l’illusione di poter sfuggire all’impotenza di fronte all’handicap irreversibile.
Questi atteggiamenti, che inizialmente sono inevitabili, risultano nel tempo, molto negativi per il bambino minorato in quanto il genitore completamente orientato alla ricerca di soluzioni che eliminino l’handicap non si misura concretamente con la realtà del figlio, non ne rileva i bisogni e non si impegna a sufficienza nel trovare delle soluzioni adattive che assicurino un adeguato sviluppo del figlio.
Questi atteggiamenti dei genitori spesso finiscono per provocare nei figli sentimenti e vissuti di esclusione e rifiuto da parte della famiglia. Il bambino si sente una specie di oggetto di studio, interessante quasi esclusivamente da un punto di vista medico e scientifico; i genitori arrivano a lodarlo e incoraggiarlo solo quando è cooperativo e fa dei progressi, che spesso sono solo la proiezione dei loro desideri. Il bambino, continuamente in movimento tra cliniche, specialisti, medici e guaritori si sente trattato come un portatore di problemi da risolvere e, nel contempo, vede negata la sua vita affettiva ed emotiva. Puntando l’attenzione esclusivamente sulla sua minorazione egli non può che sentirsi inadeguato e poco interessante avvertendo, nel profondo, la sensazione di aver deluso le aspettative dei genitori e della famiglia. Anche in età adulta le persone con minorazione spesso si trascinano dietro vissuti di inadeguatezza, di sfiducia e disistima.
In altri casi i genitori possono sviluppare una particolare relazione con il bambino caratterizzata da iperprotezione e tendenza a limitarlo nel conseguimento dell’autonomia; questi genitori tendono a mantenere il bambino in uno stato di immaturità trattandolo in modo inadeguato alle sue esigenze di crescita e facendogli richieste inferiori alle sue potenzialità. Questa ultima tendenza dei genitori è in parte deterrninata dal comportamento del bambino non vedente che, come è stato precedentemente detto, ha una minore inclinazione verso la padronanza dell’ambiente e verso l’autonomia e presenta spesso una accentuata idiosincrasia per tutto ciò che è nuovo.
Infine, dopo la fase di negazione del problema, molte coppie genitoriali, ma soprattutto la madre, incapaci di accettare e rielaborare l’handicap del figlio sviluppano atteggiamenti e vissuti depressivi. Questa situazione emotiva dei genitori può essere molto rischiosa per il bambino: la madre poco attiva e stimolante a causa della depressione, di fronte ad un bambino che per la sua minorazione si presenta generalmente poco espressivo ed in particolare incapace di suscitare le prime comunicazioni ed i primi scambi spontanei che avvengono nei primi mesi prevalentemente con lo sguardo, diviene ancora più inefficiente. Soprattutto tenendo conto di questo dato è stato messo a punto dalla Hampstead Clinic di Londra, circa 25 anni fa, un particolare tipo di intervento che è costituito da sedute psicoterapeutiche con la mamma e il bambino finalizzate a sostenere l’interesse della madre nei confronti del figlio, ad aiutarla a comprenderlo e ad utilizzare in modo costruttivo e stimolante per il bambino le risorse concrete dell’ambiente.
(Fonte: http://www.psicopedagogie.it/ipovedenti.html )
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