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Lettera di una mamma
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Lettera di una mamma
A distanza di tre anni, ho ritrovato una lettera letta pubblicamente dalla mamma di un bambino autistico, in occasione di un convegno al quale partecipai a Udine. Era il 24 novembre 2007. Credo valga la pena riproporla. La ricopio dal mio sito (dove la pubblicai all'epoca su autorizzazione-invito di questa mamma) e la reincollo qui. Si commenta da sè:
CHE COSA SIGNIFICA FREQUENTARE IL CENTRO DI LOGOPEDIA:
Quello che vi propongo è la trascrizione di alcuni pensieri del mio vissuto e della mia esperienza personale, anche se non entrerò nel dettaglio del nostro caso. Penso che la vita sia fortemente legata agli incontri che facciamo. Per noi, conoscere il dott. Borghese ha significato e significa poter contare sull’ascolto attento e sensibile di un maestro. Per noi, conoscere le persone che lavorano nel suo staff ha significato e significa incontrare angeli per nostro figlio. La rete di supporto che queste persone sono in grado di offrire non ci fa sentire degli extra-terrestri.
Spero che quello che stiamo vivendo oggi, insieme, qui, possa aiutare altre persone a riflettere sui percorsi possibili e a liberare la propria scelta da ogni condizionamento.
Per il nostro bambino: “Non voglio andare dalle ragazze” (= logopediste). “Non voglio lavorare” (sa che va a lavorare e che il gioco è solo un pretesto, che lo sforzo che deve produrre è grande). Che cosa prova: Paura, sconforto, ritrosia, rifiuto. Ma poi quando esce, mi sorride come se avesse compiuto un’impresa. Un sorriso di liberazione, certo, ma anche di soddisfazione, crescita ed esperienza.
Per la mamma/genitori: Non dobbiamo avere paura. Ce la possiamo fare. Non sarà facile. Se la guardi in modo negativo non ti alzi più dal letto. Se la guardi in modo positivo ti accorgi che ci sono tante cose ora che prima… Si, ci sono molte cose che non vanno, ma le dobbiamo guardare, affrontare e risolvere. Non possiamo fermarci, perché possiamo farcela. Eravamo a zero, adesso forse ce la facciamo. Il primo passo è fermarsi e cambiare, invertire direzione. Il secondo passo è ricostruire, mutare abitudini e comportamenti. Prima di tutto i nostri. Entrare da quella porta è un dovere e ogni volta si rinnova una fitta allo stomaco, che subito diventa un blocco di cemento. Sopravviene, quindi, una leggera nausea e vorrei con tutte le mie forze non trovarmi in quel luogo, anche se so che è il miglior posto per lui. Tuttavia, il desiderio di non trovarmi lì è sempre tanto, che sia Napoli, Milano, o Udine... Poi arriva la logopedista con il suo sorriso ad accogliere il piccolino e tutto sembra affrontabile… entriamo subito nella stanza con il tavolino e le seggioline colorate, tanti giochi e immagini. Un breve aggiornamento su di lui e poi fuori o dentro, dipende. Meglio stare dentro o stare fuori? Stare dentro fa male, ma può essere molto utile (per la mamma) anche se spesso il piccolino lavora meglio da solo. Meglio stare fuori allora: beh, anche stare fuori fa male. In ogni caso comincio a pensare. Lottare, volere, sperare. Sono questi i concetti che frullano nella mente. Accettare NO, lottare SI, volere SI con tutte le forze. Risposte obbligatorie. E… Sperare? Sperare è soprattutto necessario. La cura del mio bambino, ad un certo punto, è diventata “un po’ di più”, è diventata un impegno, un dovere che ha superato le aspettative idealizzate. “Se mi ami, non accettarmi come sono”, questo sento che mi dice il mio bambino, proprio come Feuerstein. La situazione non è immutabile: allora penso alla plasticità, alla flessibilità di pensiero, alla possibilità di modificarsi e di essere modificati nella struttura interiore, nelle strutture cognitive ed emotive. L’unico modo è farsi forza e andare dritti all’obiettivo che significa grande energia mentale e anche fisica. Significa porre attenzione a tutti i dettagli, ad ogni mossa, ad ogni reazione o mancata reazione, e di conseguenza prodursi in uno sforzo continuo affinchè quella frase, quel comportamento, quella reazione, si produca. Una mia cara amica dopo essere stata un po’ da sola con lui mi ha detto: “L’hai tirato su che è una meraviglia, siamo andati in centro e ho incontrato un amico, siamo andati al bar e ha parlato e giocato con lui. Ehi, tu devi essere morta”. La stanchezza si sente eccome, non tralasciare nulla, ha un grande peso e per sentirsi un po’ meglio è prima di tutto necessario imparare. In fondo è l’unica strada che possiamo percorrere per aiutare il nostro bambino, senza possibilità di scelta. Si, noi non abbiamo la possibilità di scegliere, come gli altri, di non partire. Possiamo solo decidere se imboccare l’autostrada o percorre la statale, se fermarci all’autogrill o deviare per una sosta in trattoria. Abbiamo incontrato e incontreremo persone che non avremmo mai pensato di incontrare, conosceremo realtà che non avremmo mai pensato di vedere, impareremo a leggere anche i cartelli stradali più incomprensibili. Non ci saranno tappe per riposare, saremo sempre in viaggio, un lungo viaggio prima di poter tornare veramente a casa nostra, quella casa che a un certo punto abbiamo dovuto lasciare. Non vogliamo una casa nuova, vogliamo quella, la nostra.
Mio figlio starà bene, guarirà vero? E’ un bambino stupendo voglio che sia felice, devo lavorare perché sia felice. Solo questo voglio. A volte non ce la faccio. A volte il grigio che c’è fuori lo sento dentro, insediato ormai nel profondo. E’ davvero tanto che non scrivo, di tutto quello che è successo, di quello che abbiamo fatto, ma scrivere significa rivedere il film e non sempre i passaggi che abbiamo vissuto sono stati quelli che immaginavo o speravo. Sono piccoli passi quelli che dobbiamo fare. Già, ma a volte mi sembrano troppo piccoli, vorrei che finalmente ci fosse un salto da fare e che riuscissimo a farlo e poi si, continuare a correre, ma vedendo il traguardo. Abbiamo percorso tanta strada, tante curve, tante salite, ma non basta. Voglio il traguardo.
Le Ragazze = gioielli preziosi. Ognuna di loro ha una specializzazione diversa, e questa è una ricchezza. Ognuna di loro ha acquisito esperienza sul campo, e questa è una ricchezza. Ognuna di loro ha una personalità diversa che riversa generosamente nel proprio lavoro rendendolo unico e irripetibile, e questa è una ricchezza. Ognuna di loro è giovane e appassionata, e questa è una ricchezza. Ognuna di loro ha una mente veloce capace di vedere al di là, e questa è una ricchezza, oltre che una rarità. Ognuna di loro è amorevole, ma anche severa, ma anche esigente, ma anche compagna di giochi. Ognuna di loro ha una grande umanità.
CHE COSA SIGNIFICA FREQUENTARE IL CENTRO DI LOGOPEDIA:
Quello che vi propongo è la trascrizione di alcuni pensieri del mio vissuto e della mia esperienza personale, anche se non entrerò nel dettaglio del nostro caso. Penso che la vita sia fortemente legata agli incontri che facciamo. Per noi, conoscere il dott. Borghese ha significato e significa poter contare sull’ascolto attento e sensibile di un maestro. Per noi, conoscere le persone che lavorano nel suo staff ha significato e significa incontrare angeli per nostro figlio. La rete di supporto che queste persone sono in grado di offrire non ci fa sentire degli extra-terrestri.
Spero che quello che stiamo vivendo oggi, insieme, qui, possa aiutare altre persone a riflettere sui percorsi possibili e a liberare la propria scelta da ogni condizionamento.
Per il nostro bambino: “Non voglio andare dalle ragazze” (= logopediste). “Non voglio lavorare” (sa che va a lavorare e che il gioco è solo un pretesto, che lo sforzo che deve produrre è grande). Che cosa prova: Paura, sconforto, ritrosia, rifiuto. Ma poi quando esce, mi sorride come se avesse compiuto un’impresa. Un sorriso di liberazione, certo, ma anche di soddisfazione, crescita ed esperienza.
Per la mamma/genitori: Non dobbiamo avere paura. Ce la possiamo fare. Non sarà facile. Se la guardi in modo negativo non ti alzi più dal letto. Se la guardi in modo positivo ti accorgi che ci sono tante cose ora che prima… Si, ci sono molte cose che non vanno, ma le dobbiamo guardare, affrontare e risolvere. Non possiamo fermarci, perché possiamo farcela. Eravamo a zero, adesso forse ce la facciamo. Il primo passo è fermarsi e cambiare, invertire direzione. Il secondo passo è ricostruire, mutare abitudini e comportamenti. Prima di tutto i nostri. Entrare da quella porta è un dovere e ogni volta si rinnova una fitta allo stomaco, che subito diventa un blocco di cemento. Sopravviene, quindi, una leggera nausea e vorrei con tutte le mie forze non trovarmi in quel luogo, anche se so che è il miglior posto per lui. Tuttavia, il desiderio di non trovarmi lì è sempre tanto, che sia Napoli, Milano, o Udine... Poi arriva la logopedista con il suo sorriso ad accogliere il piccolino e tutto sembra affrontabile… entriamo subito nella stanza con il tavolino e le seggioline colorate, tanti giochi e immagini. Un breve aggiornamento su di lui e poi fuori o dentro, dipende. Meglio stare dentro o stare fuori? Stare dentro fa male, ma può essere molto utile (per la mamma) anche se spesso il piccolino lavora meglio da solo. Meglio stare fuori allora: beh, anche stare fuori fa male. In ogni caso comincio a pensare. Lottare, volere, sperare. Sono questi i concetti che frullano nella mente. Accettare NO, lottare SI, volere SI con tutte le forze. Risposte obbligatorie. E… Sperare? Sperare è soprattutto necessario. La cura del mio bambino, ad un certo punto, è diventata “un po’ di più”, è diventata un impegno, un dovere che ha superato le aspettative idealizzate. “Se mi ami, non accettarmi come sono”, questo sento che mi dice il mio bambino, proprio come Feuerstein. La situazione non è immutabile: allora penso alla plasticità, alla flessibilità di pensiero, alla possibilità di modificarsi e di essere modificati nella struttura interiore, nelle strutture cognitive ed emotive. L’unico modo è farsi forza e andare dritti all’obiettivo che significa grande energia mentale e anche fisica. Significa porre attenzione a tutti i dettagli, ad ogni mossa, ad ogni reazione o mancata reazione, e di conseguenza prodursi in uno sforzo continuo affinchè quella frase, quel comportamento, quella reazione, si produca. Una mia cara amica dopo essere stata un po’ da sola con lui mi ha detto: “L’hai tirato su che è una meraviglia, siamo andati in centro e ho incontrato un amico, siamo andati al bar e ha parlato e giocato con lui. Ehi, tu devi essere morta”. La stanchezza si sente eccome, non tralasciare nulla, ha un grande peso e per sentirsi un po’ meglio è prima di tutto necessario imparare. In fondo è l’unica strada che possiamo percorrere per aiutare il nostro bambino, senza possibilità di scelta. Si, noi non abbiamo la possibilità di scegliere, come gli altri, di non partire. Possiamo solo decidere se imboccare l’autostrada o percorre la statale, se fermarci all’autogrill o deviare per una sosta in trattoria. Abbiamo incontrato e incontreremo persone che non avremmo mai pensato di incontrare, conosceremo realtà che non avremmo mai pensato di vedere, impareremo a leggere anche i cartelli stradali più incomprensibili. Non ci saranno tappe per riposare, saremo sempre in viaggio, un lungo viaggio prima di poter tornare veramente a casa nostra, quella casa che a un certo punto abbiamo dovuto lasciare. Non vogliamo una casa nuova, vogliamo quella, la nostra.
Mio figlio starà bene, guarirà vero? E’ un bambino stupendo voglio che sia felice, devo lavorare perché sia felice. Solo questo voglio. A volte non ce la faccio. A volte il grigio che c’è fuori lo sento dentro, insediato ormai nel profondo. E’ davvero tanto che non scrivo, di tutto quello che è successo, di quello che abbiamo fatto, ma scrivere significa rivedere il film e non sempre i passaggi che abbiamo vissuto sono stati quelli che immaginavo o speravo. Sono piccoli passi quelli che dobbiamo fare. Già, ma a volte mi sembrano troppo piccoli, vorrei che finalmente ci fosse un salto da fare e che riuscissimo a farlo e poi si, continuare a correre, ma vedendo il traguardo. Abbiamo percorso tanta strada, tante curve, tante salite, ma non basta. Voglio il traguardo.
Le Ragazze = gioielli preziosi. Ognuna di loro ha una specializzazione diversa, e questa è una ricchezza. Ognuna di loro ha acquisito esperienza sul campo, e questa è una ricchezza. Ognuna di loro ha una personalità diversa che riversa generosamente nel proprio lavoro rendendolo unico e irripetibile, e questa è una ricchezza. Ognuna di loro è giovane e appassionata, e questa è una ricchezza. Ognuna di loro ha una mente veloce capace di vedere al di là, e questa è una ricchezza, oltre che una rarità. Ognuna di loro è amorevole, ma anche severa, ma anche esigente, ma anche compagna di giochi. Ognuna di loro ha una grande umanità.
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