Cerca
Argomenti simili
Ultimi argomenti attivi
Statistiche
Abbiamo 29685 membri registratiL'ultimo utente registrato è Maria0
I nostri utenti hanno pubblicato un totale di 18603 messaggi in 3281 argomenti
Videofavola per raccontare le malattie rare e kit didattico
Pagina 1 di 1
Videofavola per raccontare le malattie rare e kit didattico
La storia raccontata in "Con gli occhi tuoi" nasce dalle emozioni e dalla fantasia di alcuni piccoli allievi di seconda e terza elementare.
Ci fermiamo a riflettere sul risultato. E, immediatamente, il privilegio di averli accompagnati lungo questo percorso suscita in noi la tentazione di trasformare il titolo della nostra breve testimonianza in una domanda: perché la scuola? Perché la scuola entra da protagonista in un progetto di sensibilizzazione sulle malattie rare? Perché la scuola abbraccia la concretezza di un’operazione sociale e artistica che sembra esulare dai suoi consueti binari programmatici?
La risposta appare facile. Rischia perfino di suonare scontata laddove, invece, scontata non lo è affatto. Tuttavia proviamo a rispondere semplicemente, visto che la semplicità è sempre il cuore delle faccende più ardue: perché tra i banchi, sin dalla tenera età, si formano le donne e gli uomini di domani. È qui che costruiamo buona parte della nostra storia di esseri umani, la nostra vocazione all’umanità, il nostro bisogno di sentirci parte del mondo, di entrare in relazione con gli altri. È qui che ci misuriamo con i limiti nostri e altrui, con la fragilità, la diversità. È qui che introiettiamo il valore della solidarietà, che impariamo a riconoscere le differenze come un valore, che ci alleniamo a trasformare la molteplicità in un’unicità molteplice. È qui, tanto più, che impariamo il senso profondo della comprensione.
E se comprendere vuol dire letteralmente farsi carico di, caricarsi sulle spalle l’altro, ecco allora che l’aver coinvolto i bambini di due classi primarie romane nella composizione di questa favola ha significato non solo aver messo in opera un progetto di creatività condivisa ma anche – e soprattutto – averli chiamati a conoscere un pezzo di mondo. Averli aiutati a capovolgere il pensiero sulla malattia, sul limite, così da tradurlo in un messaggio etico di integrazione e di inclusione. In un atto – appunto – di profonda comprensione.
Essi hanno reagito come solo i bambini sanno fare: con un entusiasmo e un’aderenza spiazzanti. Hanno colto il filo conduttore del nostro lavoro nelle classi (il bambino malato è un bambino come gli altri che ha il diritto di condividere la sua fragilità e di essere valorizzato dal gruppo per le sue qualità e la sua specificità di individuo), hanno capito l’importanza di essere determinati e uniti nella ricerca di una cura e hanno dato a tali poderosi obiettivi il respiro lieve dell’inaspettato, le linee sghembe dell’immaginazione. Cosicché questo viaggio dentro la comprensione del reale ha finito col suggerire loro parole, idee, immagini, situazioni, disegni ricchi di una bellezza e di un significato che molto hanno da insegnare anche agli adulti.
Ovviamente l’esito finale segna il punto di arrivo di un laboratorio complesso, che ha coinvolto le energie dell’intero team progettuale e che vuole rappresentare un prototipo applicabile in altri contesti e con altri destinatari. Il lavoro ha preso il via dalla proiezione di un cortometraggio che raccontava l’integrazione scolastica di un adolescente malato. I piccoli spettatori hanno espresso pareri personali sul film e poi hanno messo a fuoco le loro emozioni, stimolati dalla tecnica del brain-storming e indirizzati a rielaborare quanto provato secondo precise parole-chiave e secondo idee suddivisibili in tre ambiti semantici diversi: positivo, negativo e neutro. Gli spunti, le voci, le visioni, gli stimoli emersi durante questa prima fase del progetto sono confluiti nelle preziose pagine di un diario di bordo che ha funzionato da straordinario volano di invenzioni. Concetti nevralgici quali generosità, tenerezza (a loro volta legate insieme nel felice neologismo “generezza”), aiutare, amicizia, solitudine, tristezza, cura e personaggi fortemente proiettivi e/o familiari come bambini, ragazzi, animali, figure magiche hanno offerto un materiale di partenza di inestimabile valore. Materiale poi confluito nella trama vera e propria e nei due differenti finali che la completano (uno per classe).
La seconda parte del laboratorio si è concentrata, invece, sulla creatività artistico-figurativa dei bambini e sulla parte visuale dello story-board. La favola di Robertino e del pony Musica è stata letta agli alunni dei due gruppi-classe ed essi ne hanno illustrato le parti più emozionanti, offrendo spunti poi rielaborati dalla pittrice Vera Puoti, instancabile artefice di scenari e personaggi dai colori vividi, con la tecnica del disegno digitale.
In definitiva, la storia è venuta fuori quasi da sé. Quasi fosse la somma di tante sensibilità diverse. La mano adulta l’ha solo sistemata, rattoppata, fortificata. In questo sistemare, rattoppare, fortificare abbiamo svolto il ruolo di allenatori emotivi, di dentisti dell’anima? Forse sì. Ma non possiamo che essere consapevoli e onorate del grande regalo che i bambini stessi ci hanno fatto. Un regalo che, tanto più, dimostra la forza della scuola, il suo ruolo pedagogico determinante, la sua radice di umanesimo, la sua attenzione alla sacralità dell’essere umano. La scuola va oltre. Oltre la grammatica, la matematica, le competenze in odore di prove Invalsi, la scuola tocca il mondo, si apre alla società, ai più deboli, accoglie la sublime dis-armonia del reale.
Dopo accreditate iniziative come Il volo di Pegaso e Controvento, che già negli anni scorsi hanno visto l’Istituto Superiore di Sanità e alcune scuole medie e superiori della Penisola impegnati insieme sul fronte delle malattie rare, il progetto Con gli occhi tuoi chiama in causa l’istruzione primaria e segna così un’ulteriore importante conquista di questa battaglia contro l’ignoranza, l’indifferenza, la discriminazione. E allora: perché la scuola? Semplicemente perché educare i nostri bambini e i nostri ragazzi allo sguardo sull’altro significa aiutarli ad essere, domani, donne e uomini veri.
Laura Novelli
(con un ringraziamento speciale alle maestre Clotilde Iadeluca e Gabriella Sabbadini)
Prefazione
Come infatti la pioggia e la neve scendono giù
dal cielo e non vi ritornano
senza avere irrigato la terra,
senza averla fecondata e fatta germogliare,
perché dia il seme al seminatore
e pane da mangiare,
così sarà della parola
uscita dalla mia bocca:
non ritornerà a me senza effetto,
senza aver operato ciò che desidero
e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata.
Isaia 55,10
Ci sono dolori che faticano a trovare le parole per essere espressi, che cercano una forma in cui raccontarsi per essere riconosciuti, accettati, compresi, con cui trovare un loro posto nel mondo.
Un dolore quando ha un nome, una frase che lo esprime, può trovare dall’altra parte un’emozione che lo accoglie, una garza per la ferita che ha generato.
Anche mediante la parola l’uomo prova a dominare la sofferenza. Attraverso questo strumento fragile, eppure fortissimo, costruisce universi nell’anima e può elevarsi dal mondo materiale.
Eppure ci sono dolori che sembrano sfuggire alla possibilità di essere detti. Essere ammalati di una malattia rara, per esempio, significa spesso avere una patologia dal nome impronunciabile, sconosciuto persino alla gran parte dei medici, non avere un farmaco che può curarla e, in quattro casi su dieci, di non disporre neanche di un nome con cui definirla, cioè della possibilità di una diagnosi.
Significa entrare con le proprie famiglie in un labirinto di solitudine, non essere riconosciuti come titolari di un dolore, di un bisogno di aiuto, di cure e di solidarietà.
È straordinario che una favola nata dai bambini, provi a spiegare le malattie rare. Un racconto suggerito dai più piccoli, che non hanno avuto paura di entrare nel dolore e ci hanno insegnato a rovesciarlo attraverso la loro fantasia affinché su di esso potesse vincere la vita.
Raccontare le malattie rare in questo modo è una grande lezione sulla forza della parola, quella parola che cura perché accoglie e perché infonde speranza, soprattutto quando a pronunciarla sono dei bambini, gli adulti di domani.
Con gli occhi tuoi hanno detto i bambini. Ed è stato un atto d’amore. Guardare il mondo con gli occhi di un altro, apparentemente distante, è un modo di cominciare ad amarlo, a intuire la tenerezza dentro la sua fragilità. Significa comprendere, come ci insegna il Vangelo, che siamo tutti figli di un unico Padre che si prende cura di noi e, in quanto Suoi figli, ci assomigliamo tutti anche quando siamo diversi.
La Parola di Dio fatta carne in Gesù Cristo è la forma totale e definitiva di presenza di Dio nella vita e nella storia degli uomini che dona all’umano una dignità unica e incomparabile. E’ la Parola efficace, che porta a compimento il desiderio di Dio. La parola che non solo cura, ma salva l’uomo e gli dona la pienezza di vita, per sempre.
Mi piace pensare che, in forza di questa scandalosa commistione tra il divino e l’umano, anche nella parola pronunciata dagli uomini si nasconda una forza misteriosa. Una forza mite, capace di arricchire la relazione sia suscitando il senso profondo della com-passione, il soffrire insieme che diventa empatia, sia attivando percorsi di riscatto, che si traducono in accoglienza e in dono reciproco.
Guardare con gli occhi di un altro che soffre significa, infatti, avere uno sguardo più ricco, moltiplicare i toni della scala cromatica con cui si guarda l’esistenza, poter sostenere con più forza la nostra stessa vita, quella di oggi e quella che ci verrà donata domani.
Raccontare il dolore, soprattutto se a farlo sono i bambini, vuol dire usare la scrittura per vincere la paura, per restituire al dolore un senso, quel senso che è l’amore. Proprio come Gesù, che attraverso la Croce ha amato gli uomini fino alla fine, insegnandoci come persino la tenebra del dolore e l’abisso della morte, possano, mediante l’amore, trasformarsi in fonte di luce. La luce, l’elemento essenziale perché ogni uomo veda la realtà e la scopra anche con gli occhi tuoi più ricca.
Mons. Andrea Manto
Introduzione
Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
non già perché con quattr’occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue.
Eugenio Montale
Sono questi i versi che Eugenio Montale dedica alla moglie dopo la sua morte, dopo un lungo tempo in cui aveva smesso di scrivere e con i quali ricomincia, attraverso la parola, a tessere nuovamente il senso dell’esperienza del dolore.
Erano gravemente miopi gli occhi di Drusilla, ma a restituire al poeta la nitidezza dei contorni in cui si disegnava il mondo
non era la somma dei loro sguardi quanto la potenza dello sguardo interiore di lei.
Il poeta aveva imparato a guardare con gli occhi della sua compagna, si era spostato naturalmente nel suo sguardo e dalla sua prospettiva aveva imparato a scorgere altri orizzonti, si era arricchito di altro senso.
Con gli occhi tuoi si chiama la favola dell’Istituto Superiore di Sanità con cui i bambini raccontano il mondo delle malattie rare. A loro, infatti, abbiamo chiesto lo sforzo di guardare con gli occhi di un altro, qualcuno apparentemente diverso, più fragile, che ha bisogno di essere riconosciuto anche, e forse soprattutto, attraverso uno sguardo. All’inizio ci sembrava un’utopia. Domandare ai bambini della scuola elementare di condurre un’operazione così complessa che il più delle volte, anzi quasi mai, riesce agli adulti: chiedere loro di esplorare il mondo della malattia scavalcando la paura, cercando di scorgervi, paradossalmente, la bellezza e la ricchezza in cui il cuore umano può riuscire a trasformare il dolore.
Lo abbiamo fatto con due classi della scuola primaria, una seconda e una terza, abbiamo chiesto loro di osservare la vita da un altro angolo del mondo, da un lato obliquo, scomodo, difficile da risalire e spesso anche soltanto da immaginare. Abbiamo cercato di mostrare che da quel lato si può vedere oltre e di più, una realtà invisibile agli occhi come diceva il Piccolo Principe, ma l’unica, forse, che si nutre di un incontro profondo, capace di restituire nello sguardo dimensioni nascoste dell’esistenza, la propria e quella dell’altro.
E così è nato Robertino che non è capace di correre e non riesce a vincere, ma suona e insegna agli altri a suonare. Poi è nato Zurlo che, invece, vuole solo vincere tutte le gare, ma poi scopre quanta forza dia portare un altro sulle spalle, prestargli le proprie gambe. Tanto più che mentre lo fa scopre che è bellissimo correre senza un traguardo da tagliare. E sempre dalla fantasia dei bambini è nato il dottor Michele, un buffo personaggio, l’unico che sa qualcosa di queste strane malattie, prigioniero in un’ampolla nel bosco. Il dottor Michele ci dice che nessuno può farcela da solo e che, aspettando una cura, è necessario nutrire quel tempo di attesa, perché non diventi sterile, con il sentimento della speranza.
Queste cose ce le hanno dette i bambini, che si sono inventati i personaggi, le trame e gli hanno dato un volto attraverso i loro disegni, magistralmente rielaborati da Vera Puoti per UNIAMO, la Federazione Italiana dei pazienti con malattie rare. Grazie a UNIAMO i bambini hanno dialogato con i malati aprendo le porte a un’immaginazione partecipata ed empatica che ha permesso lo sviluppo della fiaba e dei suoi due differenti finali. Le insegnanti, insieme al gruppo di esperti del Centro Nazionale Malattie Rare dell’Istituto Superiore di Sanità, hanno dedicato ore a cercare di comprendere questo mondo, facendo disegnare i bimbi, scrivendo, incontrando i malati e portando questa esperienza di vita in quella palestra di integrazione e di crescita straordinaria che è la scuola quando si apre al mondo e ne fa oggetto di studio e di educazione.
Questo volume non è uno strumento pedagogico, nasce da un progetto di comunicazione in omaggio alla Giornata Mondiale delle Malattie Rare che ha come obiettivo la sensibilizzazione su questo tema. Serve a spiegare a tutti che le persone colpite da queste patologie, invisibili spesso anche ai medici e a tutto il Servizio Sanitario Nazionale, esistono e hanno diritti pari agli altri malati, negli ospedali, negli ambulatori, ma anche nella Società Civile che ha il dovere non solo di riconoscerli, ma anche di assegnargli uno spazio da abitare che non sia ai margini del mondo.
Per ogni malato raro si ammala un intero nucleo familiare e intorno ad esso si stringe il cerchio della solitudine e dell’isolamento che si traduce spesso nella totale mancanza di assistenza. Ed ecco perché la scuola. Perché ad allenare lo sguardo verso chi è più fragile bisogna cominciare subito. Prima che sia troppo tardi e la fragilità diventi un bersaglio da colpire invece che da sostenere e accogliere. Perché promuovendo la cultura dell’inclusione e della solidarietà, ogni comunità, prima fra tutte quella scolastica, diventi capace di tradurre in pratica i diversi significati della parola cura.
La Guida all’Uso di questa videofavola è un materiale a sostegno degli insegnanti per garantire rigore e corretta informazione da un punto di vista sociosanitario per affrontare questo tema. La videofavola, infatti, nasce come un’operazione di comunicazione che si serve di diverse professionalità ed è diretta alla scuola come luogo primario per l’educazione all’integrazione e alla solidarietà. Si tratta di un progetto ideato anche un po’ in progress la cui idea si è sviluppata e perfezionata attraverso il contatto con le classi e ha trovato la sua forma anche grazie alla cooperazione sul campo tra gli insegnanti, i bambini e le diverse competenze che sono intervenute nella costruzione di questo progetto. Il prodotto finale è diventato un audiovisivo disponibile sul portale del Ministero della Salute (www.salute.gov.it), e sul sito del Centro Nazionale Malattie Rare a uso delle scuole, che da quest’anno avranno a disposizione uno strumento per celebrare anche loro, se lo vogliono, la Giornata Mondiale delle Malattie Rare per la quale finora c’erano a disposizione solo gadget o opuscoli informativi.
Abbiamo condiviso con il Vicariato di Roma, che ci ha onorato del suo Patrocinio, i temi e gli obiettivi principali di questa favola e cioè l’integrazione e l’inclusione dei più fragili.
Un ringraziamento speciale in questo senso va a Mons. Andrea Manto, Direttore del Centro per la Pastorale della Salute del Vicariato, che ha seguito con attenzione l’intero progetto e grazie al quale è stato possibile raccogliere spunti preziosi, soprattutto nell’elaborazione dei due finali.
L’augurio è che la favola che ci hanno raccontato i bambini parli anche agli adulti. Che nel regno della Generezza, dove è ambientato il racconto, un regno nato dal connubio di generosità e tenerezza, dove l’amore è sempre possibile, entrino anche i grandi e imparino che, soprattutto attraverso la tenerezza, è possibile capovolgere la sorte.
E non solo chi è malato, ma anche chi è sano, sforzandosi di guardare con gli occhi dell’altro, non può che aggiungere alla propria vita un’esperienza umana, essenziale per la conoscenza del mondo, ma anche e soprattutto di se stessi.
Mirella Taranto, Domenica Taruscio
http://www.congliocchituoi.salute.gov.it/
Ci fermiamo a riflettere sul risultato. E, immediatamente, il privilegio di averli accompagnati lungo questo percorso suscita in noi la tentazione di trasformare il titolo della nostra breve testimonianza in una domanda: perché la scuola? Perché la scuola entra da protagonista in un progetto di sensibilizzazione sulle malattie rare? Perché la scuola abbraccia la concretezza di un’operazione sociale e artistica che sembra esulare dai suoi consueti binari programmatici?
La risposta appare facile. Rischia perfino di suonare scontata laddove, invece, scontata non lo è affatto. Tuttavia proviamo a rispondere semplicemente, visto che la semplicità è sempre il cuore delle faccende più ardue: perché tra i banchi, sin dalla tenera età, si formano le donne e gli uomini di domani. È qui che costruiamo buona parte della nostra storia di esseri umani, la nostra vocazione all’umanità, il nostro bisogno di sentirci parte del mondo, di entrare in relazione con gli altri. È qui che ci misuriamo con i limiti nostri e altrui, con la fragilità, la diversità. È qui che introiettiamo il valore della solidarietà, che impariamo a riconoscere le differenze come un valore, che ci alleniamo a trasformare la molteplicità in un’unicità molteplice. È qui, tanto più, che impariamo il senso profondo della comprensione.
E se comprendere vuol dire letteralmente farsi carico di, caricarsi sulle spalle l’altro, ecco allora che l’aver coinvolto i bambini di due classi primarie romane nella composizione di questa favola ha significato non solo aver messo in opera un progetto di creatività condivisa ma anche – e soprattutto – averli chiamati a conoscere un pezzo di mondo. Averli aiutati a capovolgere il pensiero sulla malattia, sul limite, così da tradurlo in un messaggio etico di integrazione e di inclusione. In un atto – appunto – di profonda comprensione.
Essi hanno reagito come solo i bambini sanno fare: con un entusiasmo e un’aderenza spiazzanti. Hanno colto il filo conduttore del nostro lavoro nelle classi (il bambino malato è un bambino come gli altri che ha il diritto di condividere la sua fragilità e di essere valorizzato dal gruppo per le sue qualità e la sua specificità di individuo), hanno capito l’importanza di essere determinati e uniti nella ricerca di una cura e hanno dato a tali poderosi obiettivi il respiro lieve dell’inaspettato, le linee sghembe dell’immaginazione. Cosicché questo viaggio dentro la comprensione del reale ha finito col suggerire loro parole, idee, immagini, situazioni, disegni ricchi di una bellezza e di un significato che molto hanno da insegnare anche agli adulti.
Ovviamente l’esito finale segna il punto di arrivo di un laboratorio complesso, che ha coinvolto le energie dell’intero team progettuale e che vuole rappresentare un prototipo applicabile in altri contesti e con altri destinatari. Il lavoro ha preso il via dalla proiezione di un cortometraggio che raccontava l’integrazione scolastica di un adolescente malato. I piccoli spettatori hanno espresso pareri personali sul film e poi hanno messo a fuoco le loro emozioni, stimolati dalla tecnica del brain-storming e indirizzati a rielaborare quanto provato secondo precise parole-chiave e secondo idee suddivisibili in tre ambiti semantici diversi: positivo, negativo e neutro. Gli spunti, le voci, le visioni, gli stimoli emersi durante questa prima fase del progetto sono confluiti nelle preziose pagine di un diario di bordo che ha funzionato da straordinario volano di invenzioni. Concetti nevralgici quali generosità, tenerezza (a loro volta legate insieme nel felice neologismo “generezza”), aiutare, amicizia, solitudine, tristezza, cura e personaggi fortemente proiettivi e/o familiari come bambini, ragazzi, animali, figure magiche hanno offerto un materiale di partenza di inestimabile valore. Materiale poi confluito nella trama vera e propria e nei due differenti finali che la completano (uno per classe).
La seconda parte del laboratorio si è concentrata, invece, sulla creatività artistico-figurativa dei bambini e sulla parte visuale dello story-board. La favola di Robertino e del pony Musica è stata letta agli alunni dei due gruppi-classe ed essi ne hanno illustrato le parti più emozionanti, offrendo spunti poi rielaborati dalla pittrice Vera Puoti, instancabile artefice di scenari e personaggi dai colori vividi, con la tecnica del disegno digitale.
In definitiva, la storia è venuta fuori quasi da sé. Quasi fosse la somma di tante sensibilità diverse. La mano adulta l’ha solo sistemata, rattoppata, fortificata. In questo sistemare, rattoppare, fortificare abbiamo svolto il ruolo di allenatori emotivi, di dentisti dell’anima? Forse sì. Ma non possiamo che essere consapevoli e onorate del grande regalo che i bambini stessi ci hanno fatto. Un regalo che, tanto più, dimostra la forza della scuola, il suo ruolo pedagogico determinante, la sua radice di umanesimo, la sua attenzione alla sacralità dell’essere umano. La scuola va oltre. Oltre la grammatica, la matematica, le competenze in odore di prove Invalsi, la scuola tocca il mondo, si apre alla società, ai più deboli, accoglie la sublime dis-armonia del reale.
Dopo accreditate iniziative come Il volo di Pegaso e Controvento, che già negli anni scorsi hanno visto l’Istituto Superiore di Sanità e alcune scuole medie e superiori della Penisola impegnati insieme sul fronte delle malattie rare, il progetto Con gli occhi tuoi chiama in causa l’istruzione primaria e segna così un’ulteriore importante conquista di questa battaglia contro l’ignoranza, l’indifferenza, la discriminazione. E allora: perché la scuola? Semplicemente perché educare i nostri bambini e i nostri ragazzi allo sguardo sull’altro significa aiutarli ad essere, domani, donne e uomini veri.
Laura Novelli
(con un ringraziamento speciale alle maestre Clotilde Iadeluca e Gabriella Sabbadini)
Prefazione
Come infatti la pioggia e la neve scendono giù
dal cielo e non vi ritornano
senza avere irrigato la terra,
senza averla fecondata e fatta germogliare,
perché dia il seme al seminatore
e pane da mangiare,
così sarà della parola
uscita dalla mia bocca:
non ritornerà a me senza effetto,
senza aver operato ciò che desidero
e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata.
Isaia 55,10
Ci sono dolori che faticano a trovare le parole per essere espressi, che cercano una forma in cui raccontarsi per essere riconosciuti, accettati, compresi, con cui trovare un loro posto nel mondo.
Un dolore quando ha un nome, una frase che lo esprime, può trovare dall’altra parte un’emozione che lo accoglie, una garza per la ferita che ha generato.
Anche mediante la parola l’uomo prova a dominare la sofferenza. Attraverso questo strumento fragile, eppure fortissimo, costruisce universi nell’anima e può elevarsi dal mondo materiale.
Eppure ci sono dolori che sembrano sfuggire alla possibilità di essere detti. Essere ammalati di una malattia rara, per esempio, significa spesso avere una patologia dal nome impronunciabile, sconosciuto persino alla gran parte dei medici, non avere un farmaco che può curarla e, in quattro casi su dieci, di non disporre neanche di un nome con cui definirla, cioè della possibilità di una diagnosi.
Significa entrare con le proprie famiglie in un labirinto di solitudine, non essere riconosciuti come titolari di un dolore, di un bisogno di aiuto, di cure e di solidarietà.
È straordinario che una favola nata dai bambini, provi a spiegare le malattie rare. Un racconto suggerito dai più piccoli, che non hanno avuto paura di entrare nel dolore e ci hanno insegnato a rovesciarlo attraverso la loro fantasia affinché su di esso potesse vincere la vita.
Raccontare le malattie rare in questo modo è una grande lezione sulla forza della parola, quella parola che cura perché accoglie e perché infonde speranza, soprattutto quando a pronunciarla sono dei bambini, gli adulti di domani.
Con gli occhi tuoi hanno detto i bambini. Ed è stato un atto d’amore. Guardare il mondo con gli occhi di un altro, apparentemente distante, è un modo di cominciare ad amarlo, a intuire la tenerezza dentro la sua fragilità. Significa comprendere, come ci insegna il Vangelo, che siamo tutti figli di un unico Padre che si prende cura di noi e, in quanto Suoi figli, ci assomigliamo tutti anche quando siamo diversi.
La Parola di Dio fatta carne in Gesù Cristo è la forma totale e definitiva di presenza di Dio nella vita e nella storia degli uomini che dona all’umano una dignità unica e incomparabile. E’ la Parola efficace, che porta a compimento il desiderio di Dio. La parola che non solo cura, ma salva l’uomo e gli dona la pienezza di vita, per sempre.
Mi piace pensare che, in forza di questa scandalosa commistione tra il divino e l’umano, anche nella parola pronunciata dagli uomini si nasconda una forza misteriosa. Una forza mite, capace di arricchire la relazione sia suscitando il senso profondo della com-passione, il soffrire insieme che diventa empatia, sia attivando percorsi di riscatto, che si traducono in accoglienza e in dono reciproco.
Guardare con gli occhi di un altro che soffre significa, infatti, avere uno sguardo più ricco, moltiplicare i toni della scala cromatica con cui si guarda l’esistenza, poter sostenere con più forza la nostra stessa vita, quella di oggi e quella che ci verrà donata domani.
Raccontare il dolore, soprattutto se a farlo sono i bambini, vuol dire usare la scrittura per vincere la paura, per restituire al dolore un senso, quel senso che è l’amore. Proprio come Gesù, che attraverso la Croce ha amato gli uomini fino alla fine, insegnandoci come persino la tenebra del dolore e l’abisso della morte, possano, mediante l’amore, trasformarsi in fonte di luce. La luce, l’elemento essenziale perché ogni uomo veda la realtà e la scopra anche con gli occhi tuoi più ricca.
Mons. Andrea Manto
Introduzione
Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
non già perché con quattr’occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue.
Eugenio Montale
Sono questi i versi che Eugenio Montale dedica alla moglie dopo la sua morte, dopo un lungo tempo in cui aveva smesso di scrivere e con i quali ricomincia, attraverso la parola, a tessere nuovamente il senso dell’esperienza del dolore.
Erano gravemente miopi gli occhi di Drusilla, ma a restituire al poeta la nitidezza dei contorni in cui si disegnava il mondo
non era la somma dei loro sguardi quanto la potenza dello sguardo interiore di lei.
Il poeta aveva imparato a guardare con gli occhi della sua compagna, si era spostato naturalmente nel suo sguardo e dalla sua prospettiva aveva imparato a scorgere altri orizzonti, si era arricchito di altro senso.
Con gli occhi tuoi si chiama la favola dell’Istituto Superiore di Sanità con cui i bambini raccontano il mondo delle malattie rare. A loro, infatti, abbiamo chiesto lo sforzo di guardare con gli occhi di un altro, qualcuno apparentemente diverso, più fragile, che ha bisogno di essere riconosciuto anche, e forse soprattutto, attraverso uno sguardo. All’inizio ci sembrava un’utopia. Domandare ai bambini della scuola elementare di condurre un’operazione così complessa che il più delle volte, anzi quasi mai, riesce agli adulti: chiedere loro di esplorare il mondo della malattia scavalcando la paura, cercando di scorgervi, paradossalmente, la bellezza e la ricchezza in cui il cuore umano può riuscire a trasformare il dolore.
Lo abbiamo fatto con due classi della scuola primaria, una seconda e una terza, abbiamo chiesto loro di osservare la vita da un altro angolo del mondo, da un lato obliquo, scomodo, difficile da risalire e spesso anche soltanto da immaginare. Abbiamo cercato di mostrare che da quel lato si può vedere oltre e di più, una realtà invisibile agli occhi come diceva il Piccolo Principe, ma l’unica, forse, che si nutre di un incontro profondo, capace di restituire nello sguardo dimensioni nascoste dell’esistenza, la propria e quella dell’altro.
E così è nato Robertino che non è capace di correre e non riesce a vincere, ma suona e insegna agli altri a suonare. Poi è nato Zurlo che, invece, vuole solo vincere tutte le gare, ma poi scopre quanta forza dia portare un altro sulle spalle, prestargli le proprie gambe. Tanto più che mentre lo fa scopre che è bellissimo correre senza un traguardo da tagliare. E sempre dalla fantasia dei bambini è nato il dottor Michele, un buffo personaggio, l’unico che sa qualcosa di queste strane malattie, prigioniero in un’ampolla nel bosco. Il dottor Michele ci dice che nessuno può farcela da solo e che, aspettando una cura, è necessario nutrire quel tempo di attesa, perché non diventi sterile, con il sentimento della speranza.
Queste cose ce le hanno dette i bambini, che si sono inventati i personaggi, le trame e gli hanno dato un volto attraverso i loro disegni, magistralmente rielaborati da Vera Puoti per UNIAMO, la Federazione Italiana dei pazienti con malattie rare. Grazie a UNIAMO i bambini hanno dialogato con i malati aprendo le porte a un’immaginazione partecipata ed empatica che ha permesso lo sviluppo della fiaba e dei suoi due differenti finali. Le insegnanti, insieme al gruppo di esperti del Centro Nazionale Malattie Rare dell’Istituto Superiore di Sanità, hanno dedicato ore a cercare di comprendere questo mondo, facendo disegnare i bimbi, scrivendo, incontrando i malati e portando questa esperienza di vita in quella palestra di integrazione e di crescita straordinaria che è la scuola quando si apre al mondo e ne fa oggetto di studio e di educazione.
Questo volume non è uno strumento pedagogico, nasce da un progetto di comunicazione in omaggio alla Giornata Mondiale delle Malattie Rare che ha come obiettivo la sensibilizzazione su questo tema. Serve a spiegare a tutti che le persone colpite da queste patologie, invisibili spesso anche ai medici e a tutto il Servizio Sanitario Nazionale, esistono e hanno diritti pari agli altri malati, negli ospedali, negli ambulatori, ma anche nella Società Civile che ha il dovere non solo di riconoscerli, ma anche di assegnargli uno spazio da abitare che non sia ai margini del mondo.
Per ogni malato raro si ammala un intero nucleo familiare e intorno ad esso si stringe il cerchio della solitudine e dell’isolamento che si traduce spesso nella totale mancanza di assistenza. Ed ecco perché la scuola. Perché ad allenare lo sguardo verso chi è più fragile bisogna cominciare subito. Prima che sia troppo tardi e la fragilità diventi un bersaglio da colpire invece che da sostenere e accogliere. Perché promuovendo la cultura dell’inclusione e della solidarietà, ogni comunità, prima fra tutte quella scolastica, diventi capace di tradurre in pratica i diversi significati della parola cura.
La Guida all’Uso di questa videofavola è un materiale a sostegno degli insegnanti per garantire rigore e corretta informazione da un punto di vista sociosanitario per affrontare questo tema. La videofavola, infatti, nasce come un’operazione di comunicazione che si serve di diverse professionalità ed è diretta alla scuola come luogo primario per l’educazione all’integrazione e alla solidarietà. Si tratta di un progetto ideato anche un po’ in progress la cui idea si è sviluppata e perfezionata attraverso il contatto con le classi e ha trovato la sua forma anche grazie alla cooperazione sul campo tra gli insegnanti, i bambini e le diverse competenze che sono intervenute nella costruzione di questo progetto. Il prodotto finale è diventato un audiovisivo disponibile sul portale del Ministero della Salute (www.salute.gov.it), e sul sito del Centro Nazionale Malattie Rare a uso delle scuole, che da quest’anno avranno a disposizione uno strumento per celebrare anche loro, se lo vogliono, la Giornata Mondiale delle Malattie Rare per la quale finora c’erano a disposizione solo gadget o opuscoli informativi.
Abbiamo condiviso con il Vicariato di Roma, che ci ha onorato del suo Patrocinio, i temi e gli obiettivi principali di questa favola e cioè l’integrazione e l’inclusione dei più fragili.
Un ringraziamento speciale in questo senso va a Mons. Andrea Manto, Direttore del Centro per la Pastorale della Salute del Vicariato, che ha seguito con attenzione l’intero progetto e grazie al quale è stato possibile raccogliere spunti preziosi, soprattutto nell’elaborazione dei due finali.
L’augurio è che la favola che ci hanno raccontato i bambini parli anche agli adulti. Che nel regno della Generezza, dove è ambientato il racconto, un regno nato dal connubio di generosità e tenerezza, dove l’amore è sempre possibile, entrino anche i grandi e imparino che, soprattutto attraverso la tenerezza, è possibile capovolgere la sorte.
E non solo chi è malato, ma anche chi è sano, sforzandosi di guardare con gli occhi dell’altro, non può che aggiungere alla propria vita un’esperienza umana, essenziale per la conoscenza del mondo, ma anche e soprattutto di se stessi.
Mirella Taranto, Domenica Taruscio
http://www.congliocchituoi.salute.gov.it/
Ultima modifica di Maestra Gabriella il Dom Lug 20, 2014 3:20 pm - modificato 1 volta.
Re: Videofavola per raccontare le malattie rare e kit didattico
KIT DIDATTICO PER PARLARE DELLE MALATTIE RARE A SCUOLA, SCARICALO GRATUITAMENTE!
attività:
Conosciamo le malattie rare
La videofavola: le due alternative
La videofavola: continuiamo la storia
Giochiamo con le malattie rare?
Ciascuna attività è pensata per le classi II e III insieme oppure IV e V insieme. A discrezione dell'insegnante, le attività per il gruppo II e III possono essere realizzate anche con allievi delle classi prime.
Per ogni attività sono inclusi nel kit una scheda per l'insegnante, con tutte le informazioni necessarie per realizzare l'attività (destinatari, obiettivi, istruzioni, fasi); i materiali per metterla in pratica (moduli, tabelle), da fotocopiare e/o ritagliare.
DOWNLOAD
Con gli occhi tuoi" (.pdf, 2.85 Mb). Il testo della favola con i due finali
http://www.congliocchituoi.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_2110_allegato.pdf
Istruzioni per l'uso (.pdf, 1.37 Mb). Metodi e materiali per parlare di malattie rare nella scuola primaria
http://www.congliocchituoi.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_2111_allegato.pdf
attività:
Conosciamo le malattie rare
La videofavola: le due alternative
La videofavola: continuiamo la storia
Giochiamo con le malattie rare?
Ciascuna attività è pensata per le classi II e III insieme oppure IV e V insieme. A discrezione dell'insegnante, le attività per il gruppo II e III possono essere realizzate anche con allievi delle classi prime.
Per ogni attività sono inclusi nel kit una scheda per l'insegnante, con tutte le informazioni necessarie per realizzare l'attività (destinatari, obiettivi, istruzioni, fasi); i materiali per metterla in pratica (moduli, tabelle), da fotocopiare e/o ritagliare.
DOWNLOAD
Con gli occhi tuoi" (.pdf, 2.85 Mb). Il testo della favola con i due finali
http://www.congliocchituoi.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_2110_allegato.pdf
Istruzioni per l'uso (.pdf, 1.37 Mb). Metodi e materiali per parlare di malattie rare nella scuola primaria
http://www.congliocchituoi.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_2111_allegato.pdf
Argomenti simili
» "Pillole di Malattie Rare"
» SOS Malattie, come spiegarle?
» Malattie autoimmuni, autismo e sindromi correlate
» SOS Malattie, come spiegarle?
» Malattie autoimmuni, autismo e sindromi correlate
Pagina 1 di 1
Permessi in questa sezione del forum:
Non puoi rispondere agli argomenti in questo forum.
Ven Gen 28, 2022 7:14 pm Da tittybariw
» utilizzazione insegnanti sostegno per coprire classi inizio anno scolastico
Sab Gen 08, 2022 4:21 pm Da ANNA BELLESSO
» LE DOPPIE : proposte didattiche
Dom Gen 02, 2022 10:02 pm Da Maestra Gabriella
» I NOMI : schede, giochi e link
Dom Gen 02, 2022 9:51 pm Da Maestra Gabriella
» Scienze umane, materiali didattici
Lun Mag 11, 2020 12:23 am Da MARY SPATARO
» Insegnamento a distanza
Mer Mag 06, 2020 7:36 pm Da Pisfa
» Relazioni finali, relazioni anno di prova, relazioni tutor e FS: dubbi, consigli, richieste, informazioni: chiedere qui!
Mer Apr 29, 2020 8:21 am Da lauraxl
» RELAZIONI DI FINE ANNO SCOLASTICO (Infanzia e Primaria)
Lun Apr 27, 2020 1:11 pm Da lauraxl
» Come insegnare a soffiare il naso in caso di autismo? Una utente Asperger racconta la propria esperienza..
Lun Apr 27, 2020 10:52 am Da simona.stirpe