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Esprimo il mio pensiero sulla scuola
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liya
chica
Sumat
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Re: Esprimo il mio pensiero sulla scuola
Non parlo della teoria, che conosciamo bene, l’insegnante di sostegno “dovrebbe essere” esperto dei processi di integrazione, tecnico della programmazione differenziata e del pei, contitolare nella gestione della classe ecc., ma di come tutti i giorni si sentono e sono percepiti dagli altri colleghi di ruolo che “hanno la classe” e di come vivono questo rapporto è tutta un’altra storia.
In concreto a molti è caldamente consigliato di “portarsi fuori” i ragazzi certificati, insieme ai soliti bulletti rompiscatole che “hanno bisogno di un approfondimento individualizzato” (”tanto per la socializzazione hanno tutte le altre ore”). Vi siete mai chiesti come mai uno che lavora per l’integrazione di tutta la classe, porta fuori dei ragazzi (lasciando dei banchi vuoti)? Capita che gli chiedono di fare lezione contemporaneamente ad un sordo e a un cieco (faccio per dire) “tanto sono solo due e si possono gestire facilmente pensa che io ne ho 20″. Quante ore riesce a fare in classe e che problemi emergono nella convivenza tra i colleghi? Capita che sono richiamati al silenzio o che gli chiedono di bussare prima di entrare nella classe anche nelle loro ore. Li mandano a prendere i gessi o la lavagna luminosa. Gli contestano le prove differenziate dopo averli delegati a prepararle. Gli contestano il riferimento a teorie psicologiche o psicopedagogiche perché “non sono laureati in psicologia” e anche perché (”sono cose che devono trattare gli esperti”). Agli esami di fine anno usano toni burberi e alzano la voce per addomesticare le loro valutazioni, all’andazzo corrente (metti voti alti così tutti sono contenti).
Gli capita di constatare che i peggiori docenti curricolari (nel rapporto col docente di sostegno) sono quelli che fino all’anno prima e magari, per dieci anni hanno insegnato sul sostegno. Sindrome del liberto? Si fa sostegno, per vocazione, per ripiego o perché lo trovano meno stressante che tenere una classe?
In concreto a molti è caldamente consigliato di “portarsi fuori” i ragazzi certificati, insieme ai soliti bulletti rompiscatole che “hanno bisogno di un approfondimento individualizzato” (”tanto per la socializzazione hanno tutte le altre ore”). Vi siete mai chiesti come mai uno che lavora per l’integrazione di tutta la classe, porta fuori dei ragazzi (lasciando dei banchi vuoti)? Capita che gli chiedono di fare lezione contemporaneamente ad un sordo e a un cieco (faccio per dire) “tanto sono solo due e si possono gestire facilmente pensa che io ne ho 20″. Quante ore riesce a fare in classe e che problemi emergono nella convivenza tra i colleghi? Capita che sono richiamati al silenzio o che gli chiedono di bussare prima di entrare nella classe anche nelle loro ore. Li mandano a prendere i gessi o la lavagna luminosa. Gli contestano le prove differenziate dopo averli delegati a prepararle. Gli contestano il riferimento a teorie psicologiche o psicopedagogiche perché “non sono laureati in psicologia” e anche perché (”sono cose che devono trattare gli esperti”). Agli esami di fine anno usano toni burberi e alzano la voce per addomesticare le loro valutazioni, all’andazzo corrente (metti voti alti così tutti sono contenti).
Gli capita di constatare che i peggiori docenti curricolari (nel rapporto col docente di sostegno) sono quelli che fino all’anno prima e magari, per dieci anni hanno insegnato sul sostegno. Sindrome del liberto? Si fa sostegno, per vocazione, per ripiego o perché lo trovano meno stressante che tenere una classe?
Ospite- Ospite
Esprimo il mio pensiero sulla scuola
Etimologia del verbo educare: ovvero ogni uomo è un progetto
(di Giuseppe Felaco*)
Troppo pessimistico e provocatorio il quadro qui tratteggiato dal genitore di un alunno con disabilità sulla reale situazione dell'inclusione nella scuola? Ed è condivisibile sostenere che «l'Italia si sia fermata semplicemente all'inserimento in classi comuni dei bambini con disabilità» o quasi, lasciando incompiuto tutto ciò che sarebbe poi servito fare? O che un Gruppo di Lavoro Handicap si svolga come "un'inutile commedia" e l'insegnante di sostegno sia a malapena tollerato dai colleghi curricolari? Riceviamo e ben volentieri pubblichiamo
Ma come viene attuato realmente in una scuola il GLH [Gruppo di Lavoro Handicap, da Legge 104/92, articolo 15, N.d.R.]?
Di solito funziona così: si fanno due GLH, uno - se tutto va bene - circa un mese dopo l'inizio delle lezioni, l'altro un mese prima che finisca l'anno scolastico. Durata? 15-20 minuti ciascuno - perché se ne devono fare diversi - e poi se si è fortunati o se gli dèi sono favorevoli, c'è anche il preside, che con i rappresentanti ASL si guarda spesso negli occhi, controllando l'orologio per il timore di non stare nei tempi.
Nessuno ha in mano penna e carta per prendere un appunto, nessuno conduce la seduta, demandata completamente all'insegnante di sostegno, che mette insieme nervosamente alcune frasi, perché in molti casi non conosce ancora bene il bambino o forse non ha avuto informazioni da nessuno, oppure cerca di mediare per non mettersi contro tutti. Dal canto loro gli insegnanti curricolari fanno qualche intervento tanto per giustificare la loro presenza e per coprire la mancata conoscenza del precedente PEI (Piano Educativo Individualizzato).
Dal canto suo il genitore prova a chiedere notizie dello stesso PEI (che poi gli faranno firmare) e dei programmi, ma viene liquidato con un sorriso rassicurante, quasi da presa in giro: «Signore, ma quella è solo burocrazia, l'importante è ciò che si fa in classe». Come può a questo punto un genitore credere che quell'inutile commedia passi dalla teoria alla pratica?
Altro quesito: ma chi è esattamente l'insegnante di sostegno? È uno che "dovrebbe essere" esperto dei processi di integrazione, tecnico della programmazione differenziata e del PEI, contitolare nella gestione della classe ecc., ma su come quotidianamente quell'insegnante venga percepito dagli altri colleghi di ruolo che "hanno la classe" e di come essi vivano questo rapporto, è tutta un'altra storia.
In concreto, a molti insegnanti di sostegno è caldamente consigliato di "portarsi fuori" i ragazzi certificati, insieme ai soliti "bulletti rompiscatole" che hanno bisogno di un "approfondimento individualizzato" (tanto per la socializzazione hanno tutte le altre ore). Ma nessuno si chiede mai perché un docente che lavora per l’integrazione di tutta la classe, porti fuori dei ragazzi?
Capita anche che gli chiedano di fare lezione contemporaneamente a un alunno sordo e a uno cieco - solo per fare un esempio - «tanto sono solo due e si possono gestire facilmente (pensa che io ne ho 20!»).
Quante ore, dunque, riescono a fare gli insegnanti di sostegno in classe e quali problemi emergono nella convivenza tra i colleghi? Capita che vengano richiamati al silenzio o che si chieda loro di bussare prima di entrare nella classe anche nelle loro ore. Che vengano mandati a prendere i gessi o la lavagna luminosa. E che si contestino loro le prove differenziate, dopo averli delegati a prepararle. Si contesta ad esempio il riferimento a teorie psicologiche o psicopedagogiche perché «non sono laureati in psicologia» e anche perché «sono cose che devono trattare gli esperti».
Agli esami di fine anno si usano toni burberi e si alza la voce per uniformare le loro valutazioni all’andazzo corrente («metti voti alti, così tutti sono contenti»). Interessante, infine, è notare che nel rapporto con il docente di sostegno, i peggiori docenti curricolari sono proprio quelli che fino all’anno prima e magari per dieci anni avevano insegnato sul sostegno. "Sindrome del liberto"?
A questo punto è necessario un altro quesito fondamentale: come perseguire l'integrazione di un alunno disabile? Ebbene, non significa solo farlo stare in classe, né tanto meno staccato dal resto della classe in un banchetto a parte con l'insegnante di sostegno (dove può stare qui l'integrazione?). Ciò che conta veramente è il clima che si riesce a creare e le attività che si svolgono per coinvolgere tutti. Più di ogni altra cosa tutti devono essere resi consapevoli non della presenza di un "diverso", ma di un soggetto che ha delle capacità e delle potenzialità. Non si dovrebbe, insomma, sensibilizzare il resto della classe verso un problema, ma far capire che se ci guardiamo un po' più da vicino, tutti siamo "diversi" e ciascuno, con la sua diversità, può contribuire a insegnare agli altri qualcosa.
Spesso, leggendo riviste specializzate, mi capita di trovare articoli nei quali si evidenzia che l'Italia sia all'avanguardia in materia di integrazione scolastica solo perché ha permesso l'inserimento in classi comuni dei bambini con handicap. Sarà, ma il guaio è che ci siamo fermati lì o quasi.
Educare? Il termine deriva da «tirare fuori», «condurre fuori da» e l'etimologia presuppone che esista qualcosa in ogni uomo che dev'essere scoperto: ogni uomo, quindi, è insieme un mistero e un progetto da realizzare.
*Genitore.
(di Giuseppe Felaco*)
Troppo pessimistico e provocatorio il quadro qui tratteggiato dal genitore di un alunno con disabilità sulla reale situazione dell'inclusione nella scuola? Ed è condivisibile sostenere che «l'Italia si sia fermata semplicemente all'inserimento in classi comuni dei bambini con disabilità» o quasi, lasciando incompiuto tutto ciò che sarebbe poi servito fare? O che un Gruppo di Lavoro Handicap si svolga come "un'inutile commedia" e l'insegnante di sostegno sia a malapena tollerato dai colleghi curricolari? Riceviamo e ben volentieri pubblichiamo
Ma come viene attuato realmente in una scuola il GLH [Gruppo di Lavoro Handicap, da Legge 104/92, articolo 15, N.d.R.]?
Di solito funziona così: si fanno due GLH, uno - se tutto va bene - circa un mese dopo l'inizio delle lezioni, l'altro un mese prima che finisca l'anno scolastico. Durata? 15-20 minuti ciascuno - perché se ne devono fare diversi - e poi se si è fortunati o se gli dèi sono favorevoli, c'è anche il preside, che con i rappresentanti ASL si guarda spesso negli occhi, controllando l'orologio per il timore di non stare nei tempi.
Nessuno ha in mano penna e carta per prendere un appunto, nessuno conduce la seduta, demandata completamente all'insegnante di sostegno, che mette insieme nervosamente alcune frasi, perché in molti casi non conosce ancora bene il bambino o forse non ha avuto informazioni da nessuno, oppure cerca di mediare per non mettersi contro tutti. Dal canto loro gli insegnanti curricolari fanno qualche intervento tanto per giustificare la loro presenza e per coprire la mancata conoscenza del precedente PEI (Piano Educativo Individualizzato).
Dal canto suo il genitore prova a chiedere notizie dello stesso PEI (che poi gli faranno firmare) e dei programmi, ma viene liquidato con un sorriso rassicurante, quasi da presa in giro: «Signore, ma quella è solo burocrazia, l'importante è ciò che si fa in classe». Come può a questo punto un genitore credere che quell'inutile commedia passi dalla teoria alla pratica?
Altro quesito: ma chi è esattamente l'insegnante di sostegno? È uno che "dovrebbe essere" esperto dei processi di integrazione, tecnico della programmazione differenziata e del PEI, contitolare nella gestione della classe ecc., ma su come quotidianamente quell'insegnante venga percepito dagli altri colleghi di ruolo che "hanno la classe" e di come essi vivano questo rapporto, è tutta un'altra storia.
In concreto, a molti insegnanti di sostegno è caldamente consigliato di "portarsi fuori" i ragazzi certificati, insieme ai soliti "bulletti rompiscatole" che hanno bisogno di un "approfondimento individualizzato" (tanto per la socializzazione hanno tutte le altre ore). Ma nessuno si chiede mai perché un docente che lavora per l’integrazione di tutta la classe, porti fuori dei ragazzi?
Capita anche che gli chiedano di fare lezione contemporaneamente a un alunno sordo e a uno cieco - solo per fare un esempio - «tanto sono solo due e si possono gestire facilmente (pensa che io ne ho 20!»).
Quante ore, dunque, riescono a fare gli insegnanti di sostegno in classe e quali problemi emergono nella convivenza tra i colleghi? Capita che vengano richiamati al silenzio o che si chieda loro di bussare prima di entrare nella classe anche nelle loro ore. Che vengano mandati a prendere i gessi o la lavagna luminosa. E che si contestino loro le prove differenziate, dopo averli delegati a prepararle. Si contesta ad esempio il riferimento a teorie psicologiche o psicopedagogiche perché «non sono laureati in psicologia» e anche perché «sono cose che devono trattare gli esperti».
Agli esami di fine anno si usano toni burberi e si alza la voce per uniformare le loro valutazioni all’andazzo corrente («metti voti alti, così tutti sono contenti»). Interessante, infine, è notare che nel rapporto con il docente di sostegno, i peggiori docenti curricolari sono proprio quelli che fino all’anno prima e magari per dieci anni avevano insegnato sul sostegno. "Sindrome del liberto"?
A questo punto è necessario un altro quesito fondamentale: come perseguire l'integrazione di un alunno disabile? Ebbene, non significa solo farlo stare in classe, né tanto meno staccato dal resto della classe in un banchetto a parte con l'insegnante di sostegno (dove può stare qui l'integrazione?). Ciò che conta veramente è il clima che si riesce a creare e le attività che si svolgono per coinvolgere tutti. Più di ogni altra cosa tutti devono essere resi consapevoli non della presenza di un "diverso", ma di un soggetto che ha delle capacità e delle potenzialità. Non si dovrebbe, insomma, sensibilizzare il resto della classe verso un problema, ma far capire che se ci guardiamo un po' più da vicino, tutti siamo "diversi" e ciascuno, con la sua diversità, può contribuire a insegnare agli altri qualcosa.
Spesso, leggendo riviste specializzate, mi capita di trovare articoli nei quali si evidenzia che l'Italia sia all'avanguardia in materia di integrazione scolastica solo perché ha permesso l'inserimento in classi comuni dei bambini con handicap. Sarà, ma il guaio è che ci siamo fermati lì o quasi.
Educare? Il termine deriva da «tirare fuori», «condurre fuori da» e l'etimologia presuppone che esista qualcosa in ogni uomo che dev'essere scoperto: ogni uomo, quindi, è insieme un mistero e un progetto da realizzare.
*Genitore.
Ultima modifica di leterbuck il Dom Ott 30, 2011 10:24 pm - modificato 1 volta. (Motivazione : ampliato titolo per la ricerca e riuniti post con argomenti simili)
Ospite- Ospite
momentaneo
Una corretta strategia può avere un impatto profondo sullo sviluppo,sulla capacità di comunicazione e sull'acquisizione di abilità nei bambini.
Dobbiamo tener presente che l'interazione è la prima sfida da affrontare, quindi la nostra attenzione si focalizzerà in primo luogo sull'aiutarli ad interagire, a creare relazioni con gli altri e ad agire in modo spontaneo piuttosto che secondo abitudini acquisite meccanicamente.
Il segreto sta nel riuscire ad avere i bambini dalla nostra parte e suscitare in loro un interesse riguardo quello che stiamo cercando di comunicare, poi gli potremo insegnare qualsiasi cosa vogliamo.
Solo così apprenderanno facilmente con successo e a velocità sempre maggiore.
Da dove iniziamo?
Cominciamo col non cercare di bloccare o modificare i loro interessi,ma uniamoci ai loro.
Spesso si obietta che unirsi ai bambini non fa altro che rafforzare i comportamenti scorretti, invece, è vero il contrario.
Seguirli non fa altro che stabilire una vera connessione tra il bambino e il suo genitore o insegnante.
Le ragioni di questo non sono in alcun modo misteriose. Solitamente si chiede in
continuazione di smettere di fare ciò che stanno facendo e iniziare a fare ciò che vuole qualcun'altro. Poi ci stupiamo di fronte al fatto,che suscitare l'interesse dei bambini sembri una vera sfida. Noi siamo forse diversi? La chiave per un'interazione sociale vera e genuina sta in un dare ed avere tra le persone, un interesse nei confronti dei desideri e delle motivazioni uno dell'altro. Non stringiamo forse relazioni con quelle persone che mostrano i loro interessi e che allo stesso tempo sanno focalizzarsi sui nostri? Eppure quando insegniamo,
utilizziamo tattiche che sono diametralmente opposte ai principi basilari dell'interazione umana.
La linea di partenza, è cominciare, seguendo i loro interessi,collegandoci a loro, solo allora l'insegnamento e l'interazione sociale divengono possibili e riusciremo così ad insegnare ai bambini quello che a loro manca.. Il principio chiave è facilitare l'acquisizione di capacità capitalizzando le motivazioni, piuttosto
che imporre un particolare metodo di apprendimento per imparare e interagire. Tradizionalmente tendiamo a considerare per prima cosa ciò che noi vorremmo che il bambino imparasse, solo in un secondo tempo pensiamo a come insegnare. Il processo invece, si deve ribaltare.
Ci dobbiamo focalizzare prima nell'individuare le aree di interesse del bambino e poi decidere cosa insegnare e come.
In questo modo usiamo le abilità di apprendimento e gli interessi che già possiede invece di cercare di insegnare in contro tendenza usandoun nostro metodo.
Per l'effettivo utilizzo di questo principio è fondamentale riconoscere che l'apprendimento è il fattore in assoluto più importante per la crescita.
Questo concetto deve essere ben chiaro e palese in ogni area di apprendimento.
Sappiamo che i bambini imparano di più e più velocemente quando sono motivati e interessati a ciò che stanno imparando. Eppure vediamo questo principio raramente applicato.
Spesso il metodo di insegnamento e gli interessi del bambino non combaciano.
Eliminando dall'insegnamento le componenti di pressione e stress che normalmente sono presenti e focalizzandoci sulle aree di apprendimento in cui c'è necessità, stimoliamo il desiderio a imparare, che accresce le capacità di apprendimento senza sforzo e con la loro volontaria cooperazione.
L'interazione e la connessione ci porteranno in prospettiva sempre più avanti, quindi cerchiamo di raggiungere gli obiettivi precisi ma mai a dispetto dell'interazione e della connessione.
Dobbiamo tener presente che l'interazione è la prima sfida da affrontare, quindi la nostra attenzione si focalizzerà in primo luogo sull'aiutarli ad interagire, a creare relazioni con gli altri e ad agire in modo spontaneo piuttosto che secondo abitudini acquisite meccanicamente.
Il segreto sta nel riuscire ad avere i bambini dalla nostra parte e suscitare in loro un interesse riguardo quello che stiamo cercando di comunicare, poi gli potremo insegnare qualsiasi cosa vogliamo.
Solo così apprenderanno facilmente con successo e a velocità sempre maggiore.
Da dove iniziamo?
Cominciamo col non cercare di bloccare o modificare i loro interessi,ma uniamoci ai loro.
Spesso si obietta che unirsi ai bambini non fa altro che rafforzare i comportamenti scorretti, invece, è vero il contrario.
Seguirli non fa altro che stabilire una vera connessione tra il bambino e il suo genitore o insegnante.
Le ragioni di questo non sono in alcun modo misteriose. Solitamente si chiede in
continuazione di smettere di fare ciò che stanno facendo e iniziare a fare ciò che vuole qualcun'altro. Poi ci stupiamo di fronte al fatto,che suscitare l'interesse dei bambini sembri una vera sfida. Noi siamo forse diversi? La chiave per un'interazione sociale vera e genuina sta in un dare ed avere tra le persone, un interesse nei confronti dei desideri e delle motivazioni uno dell'altro. Non stringiamo forse relazioni con quelle persone che mostrano i loro interessi e che allo stesso tempo sanno focalizzarsi sui nostri? Eppure quando insegniamo,
utilizziamo tattiche che sono diametralmente opposte ai principi basilari dell'interazione umana.
La linea di partenza, è cominciare, seguendo i loro interessi,collegandoci a loro, solo allora l'insegnamento e l'interazione sociale divengono possibili e riusciremo così ad insegnare ai bambini quello che a loro manca.. Il principio chiave è facilitare l'acquisizione di capacità capitalizzando le motivazioni, piuttosto
che imporre un particolare metodo di apprendimento per imparare e interagire. Tradizionalmente tendiamo a considerare per prima cosa ciò che noi vorremmo che il bambino imparasse, solo in un secondo tempo pensiamo a come insegnare. Il processo invece, si deve ribaltare.
Ci dobbiamo focalizzare prima nell'individuare le aree di interesse del bambino e poi decidere cosa insegnare e come.
In questo modo usiamo le abilità di apprendimento e gli interessi che già possiede invece di cercare di insegnare in contro tendenza usandoun nostro metodo.
Per l'effettivo utilizzo di questo principio è fondamentale riconoscere che l'apprendimento è il fattore in assoluto più importante per la crescita.
Questo concetto deve essere ben chiaro e palese in ogni area di apprendimento.
Sappiamo che i bambini imparano di più e più velocemente quando sono motivati e interessati a ciò che stanno imparando. Eppure vediamo questo principio raramente applicato.
Spesso il metodo di insegnamento e gli interessi del bambino non combaciano.
Eliminando dall'insegnamento le componenti di pressione e stress che normalmente sono presenti e focalizzandoci sulle aree di apprendimento in cui c'è necessità, stimoliamo il desiderio a imparare, che accresce le capacità di apprendimento senza sforzo e con la loro volontaria cooperazione.
L'interazione e la connessione ci porteranno in prospettiva sempre più avanti, quindi cerchiamo di raggiungere gli obiettivi precisi ma mai a dispetto dell'interazione e della connessione.
Ospite- Ospite
R.
Mi chiedo dove sia andata a finire la conquista dei diritti umani e la tutela delle persone più deboli se il sostegno scolastico alle persone diversamente abili diventa, come dice Di Falco, solo un modo per arrotondare lo stipendio degli insegnanti curricolari. Qualora il docente curricolare si sentisse troppo pressato o stressato dall'attività 'aggiuntiva' prestata sul sostegno, potrebbe, sempre a detta di Di Falco, degnarsi a concedere ad un docente di sostegno (stessi titoli di studio più una specializzazione biennale specifica), il surplus altrimenti destinato al più meritevole docente curricolare.
Complimenti, Bravo, non c'è che dire.
Complimenti, Bravo, non c'è che dire.
carmela- Ospite
Re: Esprimo il mio pensiero sulla scuola
Il mestiere di genitore non si impara in una scuola di formazione alla genitorialità ed esserlo di un bambino con handicap è ancora più difficile.
Non voglio qui approfondire le diverse problematiche dell'handicap e di cosa esso sia in grado di suscitare nell'animo di un genitore, in particolare nel dover gestire la negatività che tali stati d'animo possono determinare sulla personalità del bambino il quale ha in sé tutta la forza della sua fanciullezza che lo spinge a correre incontro alla vita, con strumenti che non sono proprio come quelli di qualunque altro bambino.
E tuttavia le ore trascorse insieme - quando non sono sovrastate dall'ansia, dalla paura di non farcela - ritrovano un loro svolgersi sereno. I momenti dedicati sono ricchi di dialogo, di parole accompagnate da gesti, da carezze, da contatti affettivi, che rendono ancora più forte la volontà di costruire la vicinanza col bambino. Accrescono la necessità di accompagnarlo nel percorso dell'esistenza, affinché possa trovare, all'incontro con il mondo esterno, un contatto buono.
Il genitore affida alla scuola il proprio figlio, la cosa più importante, e si preoccupa di trovare, in essa, un dirigente "che faccia la differenza", che abbia la voglia e la capacità di accettare una sfida.
Quel signore sicuramente c'è, basta cercarlo, forse non si troverà nella scuola sotto casa, ma vale la pena scovarlo, se non si vuole correre il rischio di ritrovarsi in una scuola con "semplici" e demotivati insegnanti.
Ci vogliono "maestri" sufficientemente onesti da addossarsi personalmente il peso delle responsabilità, rivestendo appieno il proprio ruolo, per affrontare così agevolmente il difficile compito affidato. Un ruolo che richiede ed esige comprensione, prudenza, capacità di insegnare e l'impegno a dare il buon esempio, per condurre il bambino a un contatto sereno col mondo.
Il genitore apprezza i sacrifici e riconosce i problemi che gli insegnanti devono affrontare, sa che possono farcela a dare al bambino l'ispirazione giusta per sfruttare appieno il suo potenziale.
Se solo insegnassero, oltre alla sociologia, nozioni preziose per i rapporti con gli altri, l'autostima oltre all'ortografia, il senso civico oltre alle scienze, la tolleranza oltre alla grammatica e l'entusiasmo per la conoscenza oltre alla maestria nella materia... Se fossero disponibili a mostrarsi come consulenti, amici, moderatori esperti di dinamiche di gruppo, specialisti in difficoltà dell'apprendimento, oratori specializzati in motivazione, oltre che maestri esperti della materia che insegnano...
Se solo preparassero le lezioni con creatività e dinamismo, in modo da mantenere l'attenzione di un gruppo numeroso, con metodi di insegnamento fatti "su misura" per singoli studenti, ognuno con i suoi modi diversi di imparare e difficoltà di apprendimento...
Certo! Hanno scelto la professione che presenta più sfide, ma anche quella che offre più soddisfazioni di qualunque altra. Anche se il loro lavoro non paga granché in termini di denaro, le gratifiche psicologiche ed emotive possono essere enormi. Si parla della luce negli occhi di uno studente che ha ritrovato la motivazione per studiare, del sorriso che compare quando un concetto "impossibile" viene finalmente afferrato, della risata gioiosa di un bambino rifiutato che viene accettato dal gruppo, dei sorrisi pieni di gratitudine, degli abbracci e dei "grazie" di genitori riconoscenti, di un biglietto di ringraziamento scritto da uno studente "perduto" che invece decide di continuare e di farcela, della soddisfazione interiore che si prova sapendo di aver fatto la differenza, di aver fatto qualcosa che conta veramente, di aver lasciato un segno indelebile per il futuro, per così tante persone, per così tanto tempo.
A volte, nella vita, mettere come limite il non limite induce ad andare avanti oltre l'apparente confine e scoprire, con gioia, che al di là della lotta tra il bene e il male c'è molto di più: c'è la vera vita.
Non voglio qui approfondire le diverse problematiche dell'handicap e di cosa esso sia in grado di suscitare nell'animo di un genitore, in particolare nel dover gestire la negatività che tali stati d'animo possono determinare sulla personalità del bambino il quale ha in sé tutta la forza della sua fanciullezza che lo spinge a correre incontro alla vita, con strumenti che non sono proprio come quelli di qualunque altro bambino.
E tuttavia le ore trascorse insieme - quando non sono sovrastate dall'ansia, dalla paura di non farcela - ritrovano un loro svolgersi sereno. I momenti dedicati sono ricchi di dialogo, di parole accompagnate da gesti, da carezze, da contatti affettivi, che rendono ancora più forte la volontà di costruire la vicinanza col bambino. Accrescono la necessità di accompagnarlo nel percorso dell'esistenza, affinché possa trovare, all'incontro con il mondo esterno, un contatto buono.
Il genitore affida alla scuola il proprio figlio, la cosa più importante, e si preoccupa di trovare, in essa, un dirigente "che faccia la differenza", che abbia la voglia e la capacità di accettare una sfida.
Quel signore sicuramente c'è, basta cercarlo, forse non si troverà nella scuola sotto casa, ma vale la pena scovarlo, se non si vuole correre il rischio di ritrovarsi in una scuola con "semplici" e demotivati insegnanti.
Ci vogliono "maestri" sufficientemente onesti da addossarsi personalmente il peso delle responsabilità, rivestendo appieno il proprio ruolo, per affrontare così agevolmente il difficile compito affidato. Un ruolo che richiede ed esige comprensione, prudenza, capacità di insegnare e l'impegno a dare il buon esempio, per condurre il bambino a un contatto sereno col mondo.
Il genitore apprezza i sacrifici e riconosce i problemi che gli insegnanti devono affrontare, sa che possono farcela a dare al bambino l'ispirazione giusta per sfruttare appieno il suo potenziale.
Se solo insegnassero, oltre alla sociologia, nozioni preziose per i rapporti con gli altri, l'autostima oltre all'ortografia, il senso civico oltre alle scienze, la tolleranza oltre alla grammatica e l'entusiasmo per la conoscenza oltre alla maestria nella materia... Se fossero disponibili a mostrarsi come consulenti, amici, moderatori esperti di dinamiche di gruppo, specialisti in difficoltà dell'apprendimento, oratori specializzati in motivazione, oltre che maestri esperti della materia che insegnano...
Se solo preparassero le lezioni con creatività e dinamismo, in modo da mantenere l'attenzione di un gruppo numeroso, con metodi di insegnamento fatti "su misura" per singoli studenti, ognuno con i suoi modi diversi di imparare e difficoltà di apprendimento...
Certo! Hanno scelto la professione che presenta più sfide, ma anche quella che offre più soddisfazioni di qualunque altra. Anche se il loro lavoro non paga granché in termini di denaro, le gratifiche psicologiche ed emotive possono essere enormi. Si parla della luce negli occhi di uno studente che ha ritrovato la motivazione per studiare, del sorriso che compare quando un concetto "impossibile" viene finalmente afferrato, della risata gioiosa di un bambino rifiutato che viene accettato dal gruppo, dei sorrisi pieni di gratitudine, degli abbracci e dei "grazie" di genitori riconoscenti, di un biglietto di ringraziamento scritto da uno studente "perduto" che invece decide di continuare e di farcela, della soddisfazione interiore che si prova sapendo di aver fatto la differenza, di aver fatto qualcosa che conta veramente, di aver lasciato un segno indelebile per il futuro, per così tante persone, per così tanto tempo.
A volte, nella vita, mettere come limite il non limite induce ad andare avanti oltre l'apparente confine e scoprire, con gioia, che al di là della lotta tra il bene e il male c'è molto di più: c'è la vera vita.
Ospite- Ospite
cosa penso degli insegnanti
Nel disturbo pervasivo dello sviluppo non è possibile pensare di avere un buon risultato partendo dalla didattica o avendo come priorità la letto-scrittura. Per avere una buona riuscita bisogna conoscere per lo meno come catturare l'attenzione, che linguaggio usare, quali canali sfruttare e come far nascere la motivazione ad apprendere.
Per capirci: la paginetta di A B C e le fotocopie in bianco e nero, prese dai libri delle elementari, sono generalmente una vera e propria tortura ed un ottimo metodo per aumentare la frustrazione. Immaginate che vi presentino un compito fitto di geroglifici e vi chiedano, magari in arabo, di completarlo mentre voi non siete in grado, assolutamente, di comprenderne il significato e lo scopo.
Immaginate la frustrazione, derivante dal non riuscire, dal non capire e dal non saper gestire la comunicazione, che è spesso alla base di quei comportamenti problematici che, non pochi insegnanti, forse tutti, percepiscono come incomprensibili e privi di un'apparente causa scatenante.
Spesso si sente dire dagli insegnanti: "non vuole scrivere"; "ha strappato il compito"; "se gli chiedo di fare qualcosa si butta per terra" e simili.
Sembrano non riuscire a rendersi conto di quale importanza abbia anche strutturare e presentare il compito in modo chiaro e ordinato, magari colorato, per rendere ben visibile l'inizio e la fine di un compito senza sovraffollare canali di comunicazione già tanto difficili da gestire.
Un intervento di tale genere permetterebbe agli stessi insegnanti di lavorare meglio aumentando le possibilità di successo.
Suggerirei agli insegnati di documentarsi su alcuni punti:
- che cos'è e, soprattutto, che aree coinvolge un disturbo pervasivo dello sviluppo;
- quale linguaggio è preferibile usare quando si parla ad un bambino con autismo;
- quali distrazioni e fastidi possono venire dall'ambiente circostante (luce, rumori);
- come aumentare la possibilità di catturare l'attenzione e di motivare il bambino. L'insegnamento senza errori abbasserebbe la frustrazione, trasformandosi in uno strumento sicuro per avere successo.
Nel mondo della scuola però, ci si oppone a tutte quelle esperienze provenienti dal mondo della riabilitazione e delle "terapie" comportamentali, probabilmente perché non si ha ben chiaro che le tecniche comportamentali non sono una terapia sanitaria in senso stretto, ma sono semplicemente lo strumento più efficace per INSEGNARE a bambini e ragazzi con autismo.
Si sente spesso rispondere che gli insegnanti non sono terapisti, che la terapia a scuola non si può fare, ecc…
Si pensa all'insegnamento solo in un modo "classico" o "standard" facendo perdere a questi bambini le opportunità migliori per ottenere il loro completo recupero. Una corretta strategia può avere un impatto profondo sullo sviluppo, sulla capacità di comunicazione e sull'acquisizione di abilità nei bambini.
Dobbiamo tener presente che l'interazione è la prima sfida da affrontare, quindi la nostra attenzione si focalizzerà in primo luogo sull'aiutarli ad interagire, a creare relazioni con gli altri e ad agire in modo spontaneo piuttosto che secondo abitudini acquisite meccanicamente.
Il segreto sta nel riuscire ad avere i bambini dalla nostra parte e suscitare in loro un interesse riguardo quello che stiamo cercando di comunicare, poi gli potremo insegnare qualsiasi cosa vogliamo.
Solo così apprenderanno facilmente con successo e a velocità sempre maggiore.
Da dove iniziamo?
Cominciamo col non cercare di bloccare o modificare i loro interessi,ma uniamoci ai loro.
Spesso si obietta che unirsi ai bambini non fa altro che rafforzare i comportamenti scorretti, invece, è vero il contrario.
Seguirli non fa altro che stabilire una vera connessione tra il bambino e il suo genitore o insegnante.
Le ragioni di questo non sono in alcun modo misteriose. Solitamente si chiede in
continuazione di smettere di fare ciò che stanno facendo e iniziare a fare ciò che vuole qualcun'altro. Poi ci stupiamo di fronte al fatto,che suscitare l'interesse dei bambini sembri una vera sfida. Noi siamo forse diversi? La chiave per un'interazione sociale vera e genuina sta in un dare ed avere tra le persone, un interesse nei confronti dei desideri e delle motivazioni uno dell'altro. Non stringiamo forse relazioni con quelle persone che mostrano i loro interessi e che allo stesso tempo sanno focalizzarsi sui nostri? Eppure quando insegniamo, utilizziamo tattiche che sono diametralmente opposte ai principi basilari dell'interazione umana.
La linea di partenza, è cominciare, seguendo i loro interessi,collegandoci a loro, solo allora l'insegnamento e l'interazione sociale divengono possibili e riusciremo così ad insegnare ai bambini quello che a loro manca.. Il principio chiave è facilitare l'acquisizione di capacità capitalizzando le motivazioni, piuttosto che imporre un particolare metodo di apprendimento per imparare e interagire. Tradizionalmente tendiamo a considerare per prima cosa ciò che noi vorremmo che il bambino imparasse, solo in un secondo tempo pensiamo a come insegnare. Il processo invece, si deve ribaltare.
Ci dobbiamo focalizzare prima nell'individuare le aree di interesse del bambino e poi decidere cosa insegnare e come.
In questo modo usiamo le abilità di apprendimento e gli interessi che già possiede invece di cercare di insegnare in contro tendenza usandoun nostro metodo.
Per l'effettivo utilizzo di questo principio è fondamentale riconoscere che l'apprendimento è il fattore in assoluto più importante per la crescita.
Questo concetto deve essere ben chiaro e palese in ogni area di apprendimento.
Sappiamo che i bambini imparano di più e più velocemente quando sono motivati e interessati a ciò che stanno imparando. Eppure vediamo questo principio raramente applicato.
Spesso il metodo di insegnamento e gli interessi del bambino non combaciano.
Eliminando dall'insegnamento le componenti di pressione e stress che normalmente sono presenti e focalizzandoci sulle aree di apprendimento in cui c'è necessità, stimoliamo il desiderio a imparare, che accresce le capacità di apprendimento senza sforzo e con la loro volontaria cooperazione.
L'interazione e la connessione ci porteranno in prospettiva sempre più avanti, quindi cerchiamo di raggiungere gli obiettivi precisi ma mai a dispetto dell'interazione e della connessione.
Per capirci: la paginetta di A B C e le fotocopie in bianco e nero, prese dai libri delle elementari, sono generalmente una vera e propria tortura ed un ottimo metodo per aumentare la frustrazione. Immaginate che vi presentino un compito fitto di geroglifici e vi chiedano, magari in arabo, di completarlo mentre voi non siete in grado, assolutamente, di comprenderne il significato e lo scopo.
Immaginate la frustrazione, derivante dal non riuscire, dal non capire e dal non saper gestire la comunicazione, che è spesso alla base di quei comportamenti problematici che, non pochi insegnanti, forse tutti, percepiscono come incomprensibili e privi di un'apparente causa scatenante.
Spesso si sente dire dagli insegnanti: "non vuole scrivere"; "ha strappato il compito"; "se gli chiedo di fare qualcosa si butta per terra" e simili.
Sembrano non riuscire a rendersi conto di quale importanza abbia anche strutturare e presentare il compito in modo chiaro e ordinato, magari colorato, per rendere ben visibile l'inizio e la fine di un compito senza sovraffollare canali di comunicazione già tanto difficili da gestire.
Un intervento di tale genere permetterebbe agli stessi insegnanti di lavorare meglio aumentando le possibilità di successo.
Suggerirei agli insegnati di documentarsi su alcuni punti:
- che cos'è e, soprattutto, che aree coinvolge un disturbo pervasivo dello sviluppo;
- quale linguaggio è preferibile usare quando si parla ad un bambino con autismo;
- quali distrazioni e fastidi possono venire dall'ambiente circostante (luce, rumori);
- come aumentare la possibilità di catturare l'attenzione e di motivare il bambino. L'insegnamento senza errori abbasserebbe la frustrazione, trasformandosi in uno strumento sicuro per avere successo.
Nel mondo della scuola però, ci si oppone a tutte quelle esperienze provenienti dal mondo della riabilitazione e delle "terapie" comportamentali, probabilmente perché non si ha ben chiaro che le tecniche comportamentali non sono una terapia sanitaria in senso stretto, ma sono semplicemente lo strumento più efficace per INSEGNARE a bambini e ragazzi con autismo.
Si sente spesso rispondere che gli insegnanti non sono terapisti, che la terapia a scuola non si può fare, ecc…
Si pensa all'insegnamento solo in un modo "classico" o "standard" facendo perdere a questi bambini le opportunità migliori per ottenere il loro completo recupero. Una corretta strategia può avere un impatto profondo sullo sviluppo, sulla capacità di comunicazione e sull'acquisizione di abilità nei bambini.
Dobbiamo tener presente che l'interazione è la prima sfida da affrontare, quindi la nostra attenzione si focalizzerà in primo luogo sull'aiutarli ad interagire, a creare relazioni con gli altri e ad agire in modo spontaneo piuttosto che secondo abitudini acquisite meccanicamente.
Il segreto sta nel riuscire ad avere i bambini dalla nostra parte e suscitare in loro un interesse riguardo quello che stiamo cercando di comunicare, poi gli potremo insegnare qualsiasi cosa vogliamo.
Solo così apprenderanno facilmente con successo e a velocità sempre maggiore.
Da dove iniziamo?
Cominciamo col non cercare di bloccare o modificare i loro interessi,ma uniamoci ai loro.
Spesso si obietta che unirsi ai bambini non fa altro che rafforzare i comportamenti scorretti, invece, è vero il contrario.
Seguirli non fa altro che stabilire una vera connessione tra il bambino e il suo genitore o insegnante.
Le ragioni di questo non sono in alcun modo misteriose. Solitamente si chiede in
continuazione di smettere di fare ciò che stanno facendo e iniziare a fare ciò che vuole qualcun'altro. Poi ci stupiamo di fronte al fatto,che suscitare l'interesse dei bambini sembri una vera sfida. Noi siamo forse diversi? La chiave per un'interazione sociale vera e genuina sta in un dare ed avere tra le persone, un interesse nei confronti dei desideri e delle motivazioni uno dell'altro. Non stringiamo forse relazioni con quelle persone che mostrano i loro interessi e che allo stesso tempo sanno focalizzarsi sui nostri? Eppure quando insegniamo, utilizziamo tattiche che sono diametralmente opposte ai principi basilari dell'interazione umana.
La linea di partenza, è cominciare, seguendo i loro interessi,collegandoci a loro, solo allora l'insegnamento e l'interazione sociale divengono possibili e riusciremo così ad insegnare ai bambini quello che a loro manca.. Il principio chiave è facilitare l'acquisizione di capacità capitalizzando le motivazioni, piuttosto che imporre un particolare metodo di apprendimento per imparare e interagire. Tradizionalmente tendiamo a considerare per prima cosa ciò che noi vorremmo che il bambino imparasse, solo in un secondo tempo pensiamo a come insegnare. Il processo invece, si deve ribaltare.
Ci dobbiamo focalizzare prima nell'individuare le aree di interesse del bambino e poi decidere cosa insegnare e come.
In questo modo usiamo le abilità di apprendimento e gli interessi che già possiede invece di cercare di insegnare in contro tendenza usandoun nostro metodo.
Per l'effettivo utilizzo di questo principio è fondamentale riconoscere che l'apprendimento è il fattore in assoluto più importante per la crescita.
Questo concetto deve essere ben chiaro e palese in ogni area di apprendimento.
Sappiamo che i bambini imparano di più e più velocemente quando sono motivati e interessati a ciò che stanno imparando. Eppure vediamo questo principio raramente applicato.
Spesso il metodo di insegnamento e gli interessi del bambino non combaciano.
Eliminando dall'insegnamento le componenti di pressione e stress che normalmente sono presenti e focalizzandoci sulle aree di apprendimento in cui c'è necessità, stimoliamo il desiderio a imparare, che accresce le capacità di apprendimento senza sforzo e con la loro volontaria cooperazione.
L'interazione e la connessione ci porteranno in prospettiva sempre più avanti, quindi cerchiamo di raggiungere gli obiettivi precisi ma mai a dispetto dell'interazione e della connessione.
Ospite- Ospite
esprimo il mio pensiero sulla scuola
Sappiamo bene che il ruolo del dirigente scolastico è quello di vigilare sull'azione dei docenti, ma purtroppo conosciamo bene la realtà e come stanno veramente le cose. È un "lasciar correre", un "tirare a campare"... E del resto perché complicarsi la vita? Li lasciano fare un po' come vogliono, in modo che questa azione funga da contrappeso, che le classi siano sempre coperte e le "carte" siano a posto.
Ma non sono i soli, anche tutti gli altri, fino al gradino più alto dell’Istruzione, fanno il medesimo ragionamento. Sanno e tacciono. Non vogliono rompere quell’equilibrio che si è venuto a creare. Non vogliono complicarsi la vita. E così, con il loro agire da "uomini buoni", non producono niente di buono per se stessi e per gli altri; e per amore del vivere in pace, evitano di prendere posizione di fronte al dilagare di errori che vedono e sanno riconoscere. La loro "bontà" si limita a mantenere in piedi questo castello di carta.
Non hanno reagito nemmeno quando gli insegnanti curricolari hanno "semplificato" la situazione, trasformando in curricolare il ruolo del sostegno, quando gli alunni con disabilità già erano penalizzati da un monte ore ridotto. Non è importato loro, pur di deresponsabilizzarsi da qualsiasi progetto che prevedesse anche il loro impegno. Forse per pigrizia o malavoglia hanno escogitato - con furbizia e calcolo - il modo migliore per diminuire i loro doveri. Anzi, nei confronti di questi alunni si comportano come se gli stessi non facessero parte del gruppo a loro affidato.
Tuttora ogni tanto si assiste, tra gli insegnanti di sostegno - parlo di quelli nuovi, alle prime armi, quelli che non sono ancora stati "addomesticati" all’andazzo corrente - ad accenni di resistenza, a tentativi di ribellione con l’intento di cambiare qualcosa, ma poi, per non farsi isolare, in genere lasciano perdere. Anche quelli più "resistenti" si arrendono, per non mettersi contro tutti. Anche loro decidono di indossare la maschera dell'indifferenza, conformandosi alla realtà circostante e alle sue pressioni. E così vivono confinati, negli ultimi banchi, negli angoli più remoti delle aule, dove è stato "ritagliato uno spazio", dove "non danno fastidio", consumando "tranquillamente" con il loro alunno quelle poche ore, lavorando in modo parallelo alla classe, senza mai incrociare in alcun modo le proprie attività con quelle degli altri.
I buoni risultati per l’integrazione scolastica non arrivano perché le ore di sostegno sono insufficienti, ci dicono, ma non è così: è solo il modo per giustificare la poca voglia o l'incapacità di mettersi insieme, per accettare una sfida e risolvere innanzitutto la solitudine e il senso di vergogna di tanti ragazzi che "non capiscono", persi in un mondo in cui gli altri "capiscono".
Ma a chi giova tutto ciò? Certo, con questo non pretendo che tutti i dirigenti scolastici debbano avere una spina dorsale forte. Ma sicuramente sono tra i primi responsabili del diffondersi dei mali che ha colpito la scuola del nostro Paese, un tempo fiore all’occhiello per il mondo intero. Poveri ragazzi, in che mani siete finiti!
*Genitore.
Ultima modifica di leterbuck il Dom Ott 30, 2011 10:16 pm - modificato 1 volta. (Motivazione : ampliato titolo per la ricerca e riuniti post con argomenti simili)
Ospite- Ospite
esprimo il mio pensiero sulla scuola
Ci vogliono "Maestri" che facciano la differenza, che abbiano la voglia e la capacità di accettare una sfida,che cerchino di fare qualcosa che conta veramente:
questo serve ad un bimbo che corre incontro alla vita con strumenti che non sono proprio come quelli di qualunque altro bambino
questo serve ad un bimbo che corre incontro alla vita con strumenti che non sono proprio come quelli di qualunque altro bambino
Ultima modifica di leterbuck il Dom Ott 30, 2011 10:21 pm - modificato 1 volta. (Motivazione : ampliato titolo per la ricerca e riuniti post con argomenti simili)
Ospite- Ospite
Esprimo il mio pensiero su insegnante curriculare e insegnante di sostegno
La chiave di volta.
Bisogna operare una scelta che fungerà da spartiacque tra la cattiva scuola e quella buona, che dia visibilità ai tanti insegnanti curricolari preparati che aspettano solo di poter liberamente dimostrare la loro capacità professionale.
La chiave di volta sta dunque nel convertire i fondi che servono ...per pagare gli stipendi agli insegnanti di sostegno in incentivi mensili da assegnare agli insegnanti curricolari che hanno una classe dove sia presente un alunno con disabilità. Nel caso poi si dovessero presentare delle difficoltà o l’insegnante curricolare ritenesse di non farcela a gestire la classe, egli potrebbe richiedere l'aiuto dell’insegnate di sostegno, che sarebbe remunerato attingendo dal surplus che gli era stato assegnato in precedenza.
Ultima modifica di leterbuck il Dom Ott 30, 2011 10:03 pm - modificato 1 volta. (Motivazione : reso titolo minuscolo e significativo per la ricerca)
Ospite- Ospite
Re: Esprimo il mio pensiero sulla scuola
... la chiave di volta??? Togliere l'insegnante di sostegno ? non credo che sia attuabile e nè consigliabile.
Per me la vera chiave di volta ... è espressa chiaramente qui :
una VERA classe di concorso e in più 1 o 2 ore a sett di "Integrazione Scolastica/Ed. ai Diritti Umani " con tutta la classe. L'
Chiediamo che L’INTEGRAZIONE SCOLASTICA venga riconosciuta come materia curricolare, l’ Educazione ai Diritti Umani” non è in realtà la radice da dove proviene l’ integrazione tra persone diverse ma con gli stessi diritti ? (104/92)
Lo scopo degli insegnanti di sostegno all’origine non era quella di garantire il diritto allo studio ed all’integrazione di alunni disabili e/o con difficoltà di apprendimento ( e quanti ce ne sono oggi…) vedi legge quadro: 104/92. Ma adesso in realtà cosa facciamo? Nella maggior parte delle ripetizioni e dei recuperi che i curricolari non riescono a fare, e non mi dite che ci considerano esperti in strategie didattiche ! Perchè la Didattica Speciale che abbiamo studiato all’Università è ben altra cosa.
Inoltre, ci sembra giusto che tutti gli alunni riconoscano in noi una figura professionale precisa a cui fare riferimento anche, e non solo, nelle problematiche relazionali della classe come per es. nei casi di bullismo o di prevaricazioni, non sono questi i diritti umani ? Una figura precisa e non una costola degli altri insegnanti, questo chiediamo, un riconoscimento della classe di concorso, una DIGNITA’ PROFESSIONALE !
—> FIRMA LA PETIZIONE ON LINE <— su FACEBOOK: https://www.facebook.com/?ref=home#!/notes/insegnanti-di-sostegno-ed-integrazione-scolastica/integrazione-scolastica-come-materia-curricolare-firma-e-fai-firmare/133598883319355
Per me la vera chiave di volta ... è espressa chiaramente qui :
una VERA classe di concorso e in più 1 o 2 ore a sett di "Integrazione Scolastica/Ed. ai Diritti Umani " con tutta la classe. L'
Chiediamo che L’INTEGRAZIONE SCOLASTICA venga riconosciuta come materia curricolare, l’ Educazione ai Diritti Umani” non è in realtà la radice da dove proviene l’ integrazione tra persone diverse ma con gli stessi diritti ? (104/92)
Lo scopo degli insegnanti di sostegno all’origine non era quella di garantire il diritto allo studio ed all’integrazione di alunni disabili e/o con difficoltà di apprendimento ( e quanti ce ne sono oggi…) vedi legge quadro: 104/92. Ma adesso in realtà cosa facciamo? Nella maggior parte delle ripetizioni e dei recuperi che i curricolari non riescono a fare, e non mi dite che ci considerano esperti in strategie didattiche ! Perchè la Didattica Speciale che abbiamo studiato all’Università è ben altra cosa.
Inoltre, ci sembra giusto che tutti gli alunni riconoscano in noi una figura professionale precisa a cui fare riferimento anche, e non solo, nelle problematiche relazionali della classe come per es. nei casi di bullismo o di prevaricazioni, non sono questi i diritti umani ? Una figura precisa e non una costola degli altri insegnanti, questo chiediamo, un riconoscimento della classe di concorso, una DIGNITA’ PROFESSIONALE !
—> FIRMA LA PETIZIONE ON LINE <— su FACEBOOK: https://www.facebook.com/?ref=home#!/notes/insegnanti-di-sostegno-ed-integrazione-scolastica/integrazione-scolastica-come-materia-curricolare-firma-e-fai-firmare/133598883319355
Re: Esprimo il mio pensiero sulla scuola
A chi serve la scuola ai bambini o agli insegnanti?
Dimentichiamo troppo spesso che gli utenti della scuola sono i bambini, no gli insegnanti.
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Ospite- Ospite
Re: Esprimo il mio pensiero sulla scuola
lo so ...
ma , stando dal di dentro della scuola, SO quanto l'insegnante di sostegno deve lottare per far CAPIRE all'insegnante curricolare che il bambino diversamente abile è parte della classe : tante volte , per loro, diventa soltanto il TUO ALUNNO ...
Ben vengano insegnanti curriculari che facciano anche ciò che fa l'insegnante di sostegno ... ma non credo che ciò sia possibile soltanto con un aumento di stipendio !!!!
Non può essere il DENARO IL METRO DI GIUDIZIO ! ...
Per far ciò ci vuole AGGIORNAMENTO e STUDIO !!!
Perchè non mettere obbligatorio nel percorso universitario (SSIS , scienze della formazione ecc ecc ) anche per chi non vuole diventare insegnante di sostegno , gli esami di Pedagogia e didattica speciale? perchè un docente quando insegnerà non avrà nelle sue classi alunni speciali ???
QUI LA CONTRADDIZIONE è A MONTE!!!
ma , stando dal di dentro della scuola, SO quanto l'insegnante di sostegno deve lottare per far CAPIRE all'insegnante curricolare che il bambino diversamente abile è parte della classe : tante volte , per loro, diventa soltanto il TUO ALUNNO ...
Ben vengano insegnanti curriculari che facciano anche ciò che fa l'insegnante di sostegno ... ma non credo che ciò sia possibile soltanto con un aumento di stipendio !!!!
Non può essere il DENARO IL METRO DI GIUDIZIO ! ...
Per far ciò ci vuole AGGIORNAMENTO e STUDIO !!!
Perchè non mettere obbligatorio nel percorso universitario (SSIS , scienze della formazione ecc ecc ) anche per chi non vuole diventare insegnante di sostegno , gli esami di Pedagogia e didattica speciale? perchè un docente quando insegnerà non avrà nelle sue classi alunni speciali ???
QUI LA CONTRADDIZIONE è A MONTE!!!
Vogliamo lasciare la scuola com’è adesso?
Vogliamo lasciare la scuola com’è adesso?
Qui non si tratta di migliorare o di riformare la scuola in qualche dettaglio, ma di trasformarla radicalmente. L'educazione si deve usare come processo di liberazione e non come strumento per aumentare il consenso e abituare per tempo tutti al conformismo di gruppo.
Oggi questa è la scuola!
I dirigenti scolastici dovrebbero vigilare sull'azione dei docenti, ma conosciamo bene la realtà e come stanno veramente le cose. È un "lasciar correre", un "tirare a campare"... E del resto perché complicarsi la vita? Ma non sono i soli, anche tutti gli altri, fino al gradino più alto dell’Istruzione, fanno il medesimo ragionamento. Sanno e tacciono.
Gli insegnanti curricolari fanno po’ come vogliono, in modo che questa azione funga da contrappeso, che le classi siano sempre coperte e le "carte" siano a posto. Tanto è vero che hanno "semplificato" la situazione, trasformando in curricolare il ruolo del sostegno. Non è importato loro, pur di deresponsabilizzarsi da qualsiasi progetto che prevedeva anche il loro impegno. Forse per pigrizia o malavoglia hanno escogitato - con furbizia e calcolo - il modo migliore per diminuire i loro doveri. Anzi, nei confronti di questi alunni si comportano come se gli stessi non facessero parte del gruppo a loro affidato.
Gli insegnanti di sostegno - parlo di quelli nuovi, alle prime armi, quelli che non sono ancora stati "addomesticati" all’andazzo corrente - ad accenni di resistenza, a tentativi di ribellione con l’intento di cambiare qualcosa, ma poi, per non farsi isolare, in genere lasciano perdere.
Anche quelli più "resistenti" si arrendono, per non mettersi contro tutti. Anche loro decidono di indossare la maschera dell'indifferenza, conformandosi alla realtà circostante e alle sue pressioni. E così vivono confinati, negli ultimi banchi, negli angoli più remoti delle aule, dove è stato "ritagliato uno spazio", dove "non danno fastidio", consumano "tranquillamente" con il loro alunno quelle poche ore, lavorando in modo parallelo alla classe, senza mai incrociare in alcun modo le proprie attività con quelle degli altri.
I buoni risultati per l’integrazione scolastica non arrivano perché le ore di sostegno sono insufficienti, ci dicono, ma non è così: è solo il modo per giustificare la poca voglia o l'incapacità di mettersi insieme, per accettare una sfida e risolvere innanzitutto la solitudine e il senso di vergogna di tanti ragazzi che "non capiscono", persi in un mondo in cui gli altri "capiscono". Bisogna operare una scelta che fungerà da spartiacque tra la cattiva scuola e quella buona, che dia visibilità ai tanti insegnanti curricolari preparati che aspettano solo di poter liberamente dimostrare la loro capacità professionale.
Cordialità,
Giuseppe Felaco
Ospite- Ospite
Re: Esprimo il mio pensiero sulla scuola
Non rispondono! Non perdere la pace: vuol dire che non hanno niente da dire.
Ospite- Ospite
Re: Esprimo il mio pensiero sulla scuola
America francesco ha scritto:
Non rispondono! Non perdere la pace: vuol dire che non hanno niente da dire.
... lo stesso post del signor Felaco era già stato postato ... ma l'ho lasciato nuovamente stare ( cf https://sostegno.forumattivo.com/valvola-di-sfogo-e-punto-d-incontro-f13/dirigenti-scolastici-insegnati-curricolari-e-di-sostegno-simili-agli-alpinisti-t1041.htm )
ma signor America le voglio dire che se non rispondiamo non è perchè non abbiamo nulla da dire ... ma a volte diventa "frustrante " rispondere a suoi post perchè non c'è mai vero dialogo, ma , spesso un "dire e non dire" e un "accanirsi" verso alcune "tipologie di lavoro " ( vedi specialisti, vedi insegnanti di sostegno ... ed altri.
A me piacerebbe avere un VERO DIALOGO ... e non trovare copia incollati gli stessi interventi in vari luoghi.
E' ciò che frena il dialogo ... dialogare con mezzi comunicativi diversi : chi di getto ed in modo informale e aperto aldialogo e chi attraverso "articoli" accusatori e con poca voglia al dialogo.
Quando ci sarà questo (spontaneità ed apertura al dialogo) da parte del signor Felaco, molto probabilmente assisteremo ad uno scambio proficuo e costruttivo per tutti.
cordialmente,
Gabriella
Re: Esprimo il mio pensiero sulla scuola
aggiungo per essere chiara e non fraintesa :
io sono ben lieta che il sig Felaco posti sul forum le sue riflessioni, ma avrei piacere che poi quando , a volte, gli chiediamo qualcosa o vi sono delle risposte ai suoi post, rispondesse in modo "informale" e non copia-incollando un altro suo commento/articolo .
vado a memoria ... ad esempio in un thread gli avevamo chiesto da dove nascesse " tutto questa sfiducia in noi insegnanti" e quali tipi di intervento lui attuasse ... ma sono rimasti senza risposta ...
Comunque con più calma ... nei prossimi giorni risponderò all'argomento sollevato in questo thread ... sperando che anche altri vogliano contribuire con i loro commenti.
io sono ben lieta che il sig Felaco posti sul forum le sue riflessioni, ma avrei piacere che poi quando , a volte, gli chiediamo qualcosa o vi sono delle risposte ai suoi post, rispondesse in modo "informale" e non copia-incollando un altro suo commento/articolo .
vado a memoria ... ad esempio in un thread gli avevamo chiesto da dove nascesse " tutto questa sfiducia in noi insegnanti" e quali tipi di intervento lui attuasse ... ma sono rimasti senza risposta ...
Comunque con più calma ... nei prossimi giorni risponderò all'argomento sollevato in questo thread ... sperando che anche altri vogliano contribuire con i loro commenti.
Re: Esprimo il mio pensiero sulla scuola
Qui con si tratta di difendere o criticare una categoria o le altre, ma di tutelare al meglio dei minori (alunni) in situazione di handicap con bisogni speciali.
L'insegnante ha il dovere di informarsi e di formarsi e, nella scuola questo spazio c'è. Certo, bisogna volerlo trovare!
L'insegnante ha il dovere di informarsi e di formarsi e, nella scuola questo spazio c'è. Certo, bisogna volerlo trovare!
Ospite- Ospite
Re: Esprimo il mio pensiero sulla scuola
Giuseppe Felaco ha scritto:Qui con si tratta di difendere o criticare una categoria o le altre, ma di tutelare al meglio dei minori (alunni) in situazione di handicap con bisogni speciali.
L'insegnante ha il dovere di informarsi e di formarsi e, nella scuola questo spazio c'è. Certo, bisogna volerlo trovare!
... me lo lasci dire ma LEI tante volte sembra solo criticare alcune categorie (insegnati, dottori ... specialisti ...)
E' giusto ciò che dice sulla formazione , ma la dovremmo estendere a tante categorie (anzi ...a tutte! ).
Io non posso parlare per gli altri, ma parlo solo per me e porto come ricferimento il mio caso :
- io mi aggiorno ogni anno tramite corsi in presenza ed online ed attraverso l'acquisto di libri e l'abbonamento a riviste specifiche.
MA L'AGGIORNAMENTO COSTA ( ed anche molto !!!) ...
ed è anche questo il motivo per cui cerco di poter offrire a tanti colleghi al possibilità di trovare nel forum , gli atti dei convegni, le slides di vari corsi di aggiornamento ...
Re: Esprimo il mio pensiero sulla scuola
Qui, non si tratta di criticare ma, di difendere e tutelare al meglio dei minori (alunni) in situazione di handicap con bisogni speciali.
ANGELO FERITO.
ANGELO FERITO.
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Re: Esprimo il mio pensiero sulla scuola
a volte mi sembra di essere un disco rotto che ripete sempre lo stesso concetto che lei sembra (ma credo che sia intenzionale) non capire !
Re: Esprimo il mio pensiero sulla scuola
sinceramente Gabriella mi sembra abbastanza inutile continuare a parlare con chi fa monologhi e basta. Evidentemente il signore in questione non sa che ci sono insegnanti curicolari che ritengono che integrazione voglia dire solo far stare fisicamente dentro una classe un bambino diversamente abile: che importa che debba fare piccoli gruppi, programmazione individualizzata ecc..l'importante è che stoi a con gli altri e l'integrazione è fatta!!!
così stiamo attenti alle esigene dei bambini????evidentemente io non ho capito nulla in tanti anni di studio.....
così stiamo attenti alle esigene dei bambini????evidentemente io non ho capito nulla in tanti anni di studio.....
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Re: Esprimo il mio pensiero sulla scuola
LA BRAVA INSEGNANTE
Essere insegnante è un partecipare al processo di integrazione di tutti gli alunni anche di quelli certificati, definiti via via portatori di handicap, handicappati, alunni in situazione di handicap, disabili, diversamente abili, diversabili. Tutti conosciamo l’importanza delle parole “ le parole possono essere pietre “ tutti sappiamo come le parole descrivono dettagliatamente una realtà, ma possano anche concorrere a darle una diversa forma: significa, parlare di integrazione piuttosto che di inserimento? La “persona disabile “, richiama costruttivamente alla valorizzazione e alla realizzazione dell’abilità, non si deve tradurre in atteggiamenti “discriminanti nell’impostazione didattica. L’inserimento dei disabili a scuola se si guarda con interesse professionale è di seguire da “molto vicino” l’alunno, perché la prossimità al singolo permette di cogliere le modalità di apprendimento e le loro problematiche, è un’azione complementare al gestire una classe, che può contribuire a variare la diversità in “normalità”. Per affrontare al meglio le problematiche dell’handicap bisognerebbe porsi continuamente la seguente domanda: quali sono i miei handicap che non mi consentono di affrontare con migliori risultati le problematiche dell’ handicap? Penso all’importanza di accogliere e favorire qualunque alunno a “fare parte” in maniera significativa della sua scuola e della sua classe. Al clima di classe solidale, alla collaborazione tra i docenti curricolari e di sostegno nel raccordare il PEI con la programmazione di classe. Alla ricerca di strategie di facilitazione, alle tecnologie informatiche e al coinvolgimento delle famiglie. Certo! Non è semplice “Insegnare” è la professione che presenta più sfide ma, anche quella che offre più soddisfazioni di qualunque altra. Anche se il lavoro non paga granché in termini di denaro, le gratifiche psicologiche ed emotive possono essere enormi. Si parla della luce negli occhi di uno studente che ritrova la motivazione per studiare, del sorriso che compare quando un concetto "impossibile" è finalmente afferrato, della risata gioiosa di un bambino rifiutato che è accettato dal gruppo, dei sorrisi pieni di gratitudine, degli abbracci e dei “grazie” di genitori riconoscenti. Da un biglietto di ringraziamento scritto da uno studente “perduto” che invece decide di continuare e di farcela, della soddisfazione interiore che si prova sapendo di aver fatto la differenza, di aver fatto qualcosa che conta veramente, di aver lasciato un segno indelebile per il futuro, per così tante persone, per così tanto tempo.
Ospite- Ospite
Questa scuola tutta da cambiare
Questa scuola tutta da cambiare
(di Giuseppe Felaco*)Da «Superando.it»
«Qui non si tratta di migliorare o di riformare la scuola in qualche dettaglio, ma di trasformarla radicalmente», esordisce senza troppi giri di parole Giuseppe Felaco. E parlando di integrazione degli studenti con disabilità, non risparmia né i dirigenti scolastici, né gli insegnanti curricolari, né quelli di sostegno. Poi aggiunge: «Ci dicono che i buoni risultati per l’integrazione scolastica non arrivano perché le ore di sostegno sono insufficienti, ma non è così: è solo il modo per giustificare la poca voglia o l'incapacità di mettersi insieme, per accettare una sfida e risolvere innanzitutto la solitudine e il senso di vergogna di tanti ragazzi che "non capiscono", persi in un mondo in cui gli altri "capiscono"». Un'opinione provocatoria e sin troppo "tranchant", ma certamente destinata a far discutere
Senza usare troppi giri di parole, qui non si tratta di migliorare o di riformare la scuola in qualche dettaglio, ma di trasformarla radicalmente. Parliamo ad esempio di integrazione degli studenti con disabilità e proviamo a fare una panoramica della situazione.
I dirigenti scolastici dovrebbero vigilare sull'azione dei docenti, ma conosciamo bene la realtà e come stanno veramente le cose. È un "lasciar correre", un "tirare a campare"... E del resto perché complicarsi la vita? Ma non sono i soli, anche tutti gli altri, fino al gradino più alto dell'Istruzione, fanno il medesimo ragionamento. Sanno e tacciono.
Gli insegnanti curricolari fanno un po' come vogliono, in modo che la loro azione funga da "contrappeso", che le classi siano sempre coperte e le "carte" siano a posto. Tanto è vero che hanno "semplificato" la situazione, trasformando in curricolare il ruolo del sostegno. Non è importato loro, pur di deresponsabilizzarsi da qualsiasi progetto che prevedesse anche il loro impegno. Forse per pigrizia o malavoglia hanno escogitato, con furbizia e calcolo, il modo migliore per diminuire i loro doveri. Anzi, nei confronti degli alunni con disabilità, si comportano come se gli stessi non facessero parte del gruppo loro affidato.
Gli insegnanti di sostegno - parlo di quelli nuovi, alle prime armi, quelli che non sono ancora stati "addomesticati" all’andazzo corrente - accennano a tentativi di resistenza, di ribellione, con l’intento di cambiare qualcosa, ma poi, per non farsi isolare, in genere lasciano perdere e anche quelli più "resistenti" si arrendono, per non mettersi contro tutti. Anche loro, insomma, decidono di indossare la maschera dell'indifferenza, conformandosi alla realtà circostante e alle sue pressioni.
E così vivono confinati, negli ultimi banchi, negli angoli più remoti delle aule, dove è stato "ritagliato uno spazio", dove "non danno fastidio", consumando "tranquillamente" con il loro alunno quelle poche ore, lavorando in modo parallelo alla classe, senza mai incrociare in alcun modo le proprie attività con quelle degli altri.
«I buoni risultati per l’integrazione scolastica non arrivano perché le ore di sostegno sono insufficienti», ci dicono, ma non è così: è solo il modo per giustificare la poca voglia o l'incapacità di mettersi insieme, per accettare una sfida e risolvere innanzitutto la solitudine e il senso di vergogna di tanti ragazzi che "non capiscono", persi in un mondo in cui gli altri "capiscono".
Bisogna operare una scelta che fungerà da spartiacque tra la cattiva scuola e quella buona, che dia visibilità ai tanti insegnanti curricolari preparati che aspettano solo di poter liberamente dimostrare la loro capacità professionale.
*Genitore.
"Il mondo non e' pericoloso a causa di coloro che fanno del male,ma a causa di coloro che guardano e lasciano stare".
( Albert Einstein )
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Ospite- Ospite
Re: Esprimo il mio pensiero sulla scuola
"Il mondo non e' pericoloso a causa di coloro che fanno del male, ma a causa di coloro che guardano e lasciano stare".
( Albert Einstein )
Oggi tuttti si arrendono, conformandosi alla realtà circostante e alle sue pressioni. Questo, purtroppo, è il dato culturale e sociale di oggi.
Qui non si tratta di essere d'accordo o meno con quello che scrivo, perché è semplicemente la descrizione della realtà che tutti conosciamo e nessuno vuole affrontare.
L’accoglienza del "diverso" deve nascere principalmente da una volontà interiore, non può essere imposta per legge. Non è possibile imporre la cultura dell'handicap per legge; anzi, è quanto mai opportuno, invece, lavorare dall'interno, sensibilizzando studenti, docenti e dirigenti scolastici "normodotati".
Questo, però, non vuole dire che la legge debba tenersi alla larga, anzi! Se è vero che non si può imporre una cultura, è altrettanto vero che non si può affidare alla bontà d’animo ciò che è un diritto delle persone con disabilità. La "bontà d’animo" è importante, ma quando si tratta dei diritti dello studente, è lo Stato che si deve muovere, non ipotizzando soluzioni future, ma affrontando e risolvendo i problemi esistenti, "sporcandosi le mani" nella realtà, per rendere funzionali ora le risorse informative e didattiche, perché è ora che le persone ne hanno bisogno.
A tutt’oggi le ASL, la Scuola e la Riabilitazione lavorano in piena autonomia, salvo che per un piccolo spazio, per il disbrigo di pratiche formali. Mai, insomma, che nessuna parte "superi il confine altrui". Forse non sanno comunicare? Oppure sanno "solo" dire che va tutto bene e che ciascuno ha fatto la propria parte, ma quando si tratta di concretizzare, di costruire insieme, è tanto difficile... Ma è così difficile costruire un raccordo tra le parti? A questo punto ci si chiede: «Chi è il garante che dovrebbe regolare tutto ciò?». L’imperativo è: "Dobbiamo andare avanti!”, ma avanti dove? Dobbiamo davvero "correre" a scuola? Siamo sicuri che sia questa la strategia migliore? Dobbiamo per forza assecondare una società che ci impone la fretta a tutti i costi? Che ci impone di "non perdere tempo a parlare", di "sbrigare ad ogni costo il programma", ciò che sembra costituire uno dei principali motivi d’ansia dei nostri insegnanti...
A tal proposito ci sarebbe molto da riflettere, ad esempio su come individuare alcuni princìpi-guida per la progettazione intorno a un’idea forte, al raccordo del PEI [Piano Educativo Individualizzato, N.d.R.] con la programmazione di classe, alla ricerca di strategie di facilitazione, alle tecnologie informatiche, al coinvolgimento delle famiglie.
L’opzione "persona disabile" richiama costruttivamente alla valorizzazione e alla costruzione di abilità. L’inserimento dei disabili a scuola - se lo si guarda con interesse professionale - deve portare a seguire l'alunno "da molto vicino". Dovrebbe trattarsi, in altre parole, di un’azione complementare al gestire una classe, contribuendo a variare la diversità in "normalità". La prossimità al singolo, infatti, permette di cogliere le modalità di apprendimento e le loro problematiche.
Nella fase iniziale i ragazzi erano inseriti solo là dove gli insegnanti erano disponibili, mentre ora l'inserimento è "normale". E tuttavia sono ancora in pochi a condividerne la responsabilità.
Un pessimista vede la difficoltà in ogni opportunità; un ottimista vede l'opportunità in ogni difficoltà.
Winston Churchill
( Albert Einstein )
Oggi tuttti si arrendono, conformandosi alla realtà circostante e alle sue pressioni. Questo, purtroppo, è il dato culturale e sociale di oggi.
Qui non si tratta di essere d'accordo o meno con quello che scrivo, perché è semplicemente la descrizione della realtà che tutti conosciamo e nessuno vuole affrontare.
L’accoglienza del "diverso" deve nascere principalmente da una volontà interiore, non può essere imposta per legge. Non è possibile imporre la cultura dell'handicap per legge; anzi, è quanto mai opportuno, invece, lavorare dall'interno, sensibilizzando studenti, docenti e dirigenti scolastici "normodotati".
Questo, però, non vuole dire che la legge debba tenersi alla larga, anzi! Se è vero che non si può imporre una cultura, è altrettanto vero che non si può affidare alla bontà d’animo ciò che è un diritto delle persone con disabilità. La "bontà d’animo" è importante, ma quando si tratta dei diritti dello studente, è lo Stato che si deve muovere, non ipotizzando soluzioni future, ma affrontando e risolvendo i problemi esistenti, "sporcandosi le mani" nella realtà, per rendere funzionali ora le risorse informative e didattiche, perché è ora che le persone ne hanno bisogno.
A tutt’oggi le ASL, la Scuola e la Riabilitazione lavorano in piena autonomia, salvo che per un piccolo spazio, per il disbrigo di pratiche formali. Mai, insomma, che nessuna parte "superi il confine altrui". Forse non sanno comunicare? Oppure sanno "solo" dire che va tutto bene e che ciascuno ha fatto la propria parte, ma quando si tratta di concretizzare, di costruire insieme, è tanto difficile... Ma è così difficile costruire un raccordo tra le parti? A questo punto ci si chiede: «Chi è il garante che dovrebbe regolare tutto ciò?». L’imperativo è: "Dobbiamo andare avanti!”, ma avanti dove? Dobbiamo davvero "correre" a scuola? Siamo sicuri che sia questa la strategia migliore? Dobbiamo per forza assecondare una società che ci impone la fretta a tutti i costi? Che ci impone di "non perdere tempo a parlare", di "sbrigare ad ogni costo il programma", ciò che sembra costituire uno dei principali motivi d’ansia dei nostri insegnanti...
A tal proposito ci sarebbe molto da riflettere, ad esempio su come individuare alcuni princìpi-guida per la progettazione intorno a un’idea forte, al raccordo del PEI [Piano Educativo Individualizzato, N.d.R.] con la programmazione di classe, alla ricerca di strategie di facilitazione, alle tecnologie informatiche, al coinvolgimento delle famiglie.
L’opzione "persona disabile" richiama costruttivamente alla valorizzazione e alla costruzione di abilità. L’inserimento dei disabili a scuola - se lo si guarda con interesse professionale - deve portare a seguire l'alunno "da molto vicino". Dovrebbe trattarsi, in altre parole, di un’azione complementare al gestire una classe, contribuendo a variare la diversità in "normalità". La prossimità al singolo, infatti, permette di cogliere le modalità di apprendimento e le loro problematiche.
Nella fase iniziale i ragazzi erano inseriti solo là dove gli insegnanti erano disponibili, mentre ora l'inserimento è "normale". E tuttavia sono ancora in pochi a condividerne la responsabilità.
Un pessimista vede la difficoltà in ogni opportunità; un ottimista vede l'opportunità in ogni difficoltà.
Winston Churchill
Ospite- Ospite
Re: Esprimo il mio pensiero sulla scuola
Se Hitler avesse detto.....
Cambiamo il nostro sguardo!
Cordialità, Giuseppe
Cambiamo il nostro sguardo!
Cordialità, Giuseppe
Ospite- Ospite
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